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[CONTRIBUTO] Questo Primo Maggio. Il futuro è della rivoluzione sociale anti-capitalista, o non è.

Riceviamo e pubblichiamo questo comunicato dai compagni e dalle compagne della Tendenza internazionalista rivoluzionaria, già disponibile sul sito della redazione Il Pungolo Rosso (vedi qui):

Questo Primo Maggio

– Tendenza internazionalista rivoluzionaria / RIT

(italiano – english)

In questo 1° Maggio grandeggia su tutto, anche sulle nuove turbolenze finanziarie, lo spettro di un altro orrido massacro mondiale in preparazione. Come avevamo detto da subito, infatti, la guerra tra NATO e Russia (e suoi alleati) in Ucraina è stata un punto di svolta irreversibile della politica internazionale in quanto ha segnato il passaggio della contesa inter-imperialista dal piano delle misure protezionistiche a quello militare.

L’oggetto di questa contesa “per la vita e per la morte” non è solo il ricchissimo territorio dell’Ucraina: è il dominio sull’intero mercato mondiale, sull’accesso alle risorse naturali e alla più ambita di esse, la forza-lavoro viva. Ed è escluso che una simile contesa si svolga in modo pacifico e consensuale: sono la storia e le leggi di funzionamento del capitalismo ad escluderlo. Una sola forza può mettersi di traverso ad un corso degli avvenimenti che – qualunque sia la sua tempistica – appare segnato: è la forza autonoma, organizzata, unita degli sfruttati di tutto il mondo. Mai come ora l’antico motto di battaglia dei comunisti “proletari di tutti i paesi unitevi, non avete nulla da perdere, solo un mondo [nuovo] da guadagnare”, è apparso altrettanto appropriato. Per contro, mai come ora ogni visione angustamente nazionale, ogni ideuzza da bottegai di poter salvare la propria pelle dagli uragani in arrivo “uscendo” – come Italia – dalle dinamiche di guerra globale, o “uscendo” dall’UE, “uscendo” dall’euro, e simili frottole “sovraniste”, sotto-nazionaliste, vanno messe al bando senza tentennamenti e nostalgie per una fase della storia del movimento operaio che ha portato solo ingloriose sconfitte.

A pochi anni dalla Brexit, uno dei capi della Banca d’Inghilterra l’ha detta finalmente chiara: “Cari britannici, rassegnatevi ad essere più poveri”. Si chiude così ingloriosamente, e in breve, il grande raggiro ai danni dei proletari britannici ordito da demagoghi reazionari e avallato da un certo numero di esponenti della sinistra, anche extra-parlamentare. Non si può uscire come singoli paesi attraverso escamotage giuridici o monetari, dal gorgo e dal caos di un sistema capitalistico definitivamente globalizzato in preda alle sue convulsioni – quelli che l’hanno sostenuto e lo sostengono tuttora andrebbero presi a pedate dai proletari più coscienti.

Si tratta, al contrario, di entrare con assai maggior determinazione nella dinamica di collegamento internazionale e internazionalista di unità e di fraternizzazione tra proletari/e, che con grande fatica sta cominciando a manifestarsi anche nella Russia e nell’Ucraina belligeranti, così come tra i lavoratori dei diversi paesi europei in stato di agitazione. Su questo piano, piaccia o non piaccia la realtà è questa, le iniziative più significative degli ultimi mesi sono state quelle volte a creare un’area coerentemente disfattista davanti alla guerra in Ucraina (con il convegno del 16 ottobre e lo “spezzone di classe” del 3 dicembre a Roma) e lo sciopero di solidarietà ai lavoratori francesi in lotta indetto dal SI Cobas il 28 marzo scorso nei magazzini della logistica. Su questa strada bisogna proseguire, e noi della TIR intendiamo proseguire.

Abbiamo già fissato, con altre organizzazioni, il prossimo passo: un’assemblea a Milano per l’11 giugno nella quale chiamiamo a raccolta “tutti gli organismi sociali, politici, sindacali, nonché i singoli e le singole militanti disposti a battersi insieme a noi per rilanciare l’iniziativa di classe, internazionalista” contro la guerra in Ucraina e contro la tendenza ad un nuovo apocalittico conflitto mondiale e “farla vivere consapevolmente nel contesto delle mobilitazioni dei prossimi mesi”. E a questo scopo abbiamo già redatto un documento-base comune, al quale rimandiamo senza riserve, e senza stare qui a ripeterne le analisi e le tesi.

Specifichiamo semplicemente che, per noi, in questo contesto di progressiva precipitazione delle contraddizioni inter-capitalistiche non c’è alcuna pace da difendere. Ad esempio la “pace” esistente in Ucraina prima dell’invasione russa del febbraio scorso è stata, oltre che il contesto di una guerra di Kiev alle popolazioni del Donbass con migliaia di morti, il terreno di penetrazione delle imprese transnazionali di ogni tipo (americane, europee, cinesi, russe, etc.) che hanno condotto una vera e propria guerra alle condizioni di lavoro e di esistenza di milioni di proletari/e ucraini facendole regredire di decenni, e obbligandoli/e ad emigrare in massa ai quattro angoli dell’Europa (a cominciare dall’Italia e dalla Polonia) e del mondo per essere trattati da forza-lavoro di riserva, di serie B. E se da un anno una guerra devastante nell’intera Ucraina (anziché nel solo Donbass) ha aggiunto allo sfruttamento selvaggio dei proletari lutti e distruzioni, questi sono la conseguenza inevitabile dello scontro furioso di interessi imperialistici contrapposti che quella “pace” ha generato. La sola causa di cui essere “partigiani” oggi senza disonorarsi come compagni è quella della guerra alla guerra imperialista, è quella della rottura della pace sociale che ci appesta, specie in Italia.

Nella preservazione della pace sociale, ancora una volta la classe borghese italiana si è rivelata molto esperta anche in questo 25 aprile, mettendo in scena la grottesca pantomima di dichiararsi tutti “anti-fascisti” (o quasi) e consentendo al guerrafondaio Pd della Schlein di risciacquarsi un po’ le mani sporche di sangue con una insopportabile, vuota retorica “resistenzialista”. Una retorica che serve all’Italia democratica, quella che immediatamente salvò e riciclò i caporioni fascisti con la vergognosa amnistia di Togliatti; quella che ha oggi un governo imperniato su filibustieri/e di lungo corso provenienti da un percorso strettamente affine al vecchio fascismo; le serve per “rafforzare il ruolo dell’Italia nel mondo come imprescindibile baluardo di democrazia” (parole della Meloni).

Se non rompe la pace sociale, il proletariato italiano ed europeo resta, nei fatti, arruolato nel fronte nemico con il compito di “motore nazionale” dell’economia di guerra e per l’economia di guerra. E neppure le ondate di sciopero e le dimostrazioni di piazza, rilevanti o imponenti negli ultimi mesi, soprattutto in Francia, Gran Bretagna e Grecia, riescono a mettere in discussione fino in fondo, a negare e rovesciare questo ruolo oggettivo. Perché può accadere, come sta accadendo in Francia, che la quasi totalità degli organismi sindacali e politici che appoggia la lotta contro la riforma delle pensioni voluta da Macron e Medef (la Confindustria francese) al tempo stesso fiancheggi la scelta dell’Eliseo di essere in guerra a sostegno dell’Ucraina, cioè della NATO. Sicché da un lato lotta contro Macron e lo delegittima, ma dall’altro lato – non meno importante – lo sostiene e lo legittima (a danno proprio, e a danno dei proletari ucraini e russi che muoiono nella guerra che continua e si incancrenisce). Una tale stridente contraddizione è ancor più marcata, se possibile, nelle vicende sindacali britanniche, là dove non è stata portata a termine neppure l’unificazione delle vertenze sindacali in corso, per un enorme deficit di coscienza politica di classe, ed è praticamente assente la messa a fuoco della questione centrale del “momento”: la tendenza alla guerra. Parzialmente diverso è il caso della Grecia, dove invece risuona con maggior forza nelle piazze la denuncia della guerra imperialista in Ucraina.

La stessa rampante inflazione che sta tagliando brutalmente i salari della grandissima parte dei lavoratori sarebbe inspiegabile, in presenza di un’enorme sovrapproduzione non smaltita, se non fosse in corso una guerra che ha fatto esplodere i prezzi dell’energia (con le relative manovre speculative), e se non fosse in atto una guerra dei tassi di interesse volta a richiamare negli Stati Uniti e in Europa capitali che altrimenti rischierebbero di fuggire altrove – capitali indispensabili per sostenere l’enorme incremento delle spese militari; e se non fosse in atto una guerra di classe delle banche centrali degli Stati Uniti e dell’UE volta a produrre altra disoccupazione e abbassare così ulteriormente il livello generale dei salari. Ciò mostra quanto siano strettamente legati il piano sindacale e quello politico, con quest’ultimo che “comanda”, inquadra e orienta l’altro. Lo vediamo anche in questo 1° Maggio in Italia.

Il prossimo 1° Maggio si terranno una serie di manifestazioni, promosse quasi ovunque dalle realtà del sindacalismo di base (la CGIL, oltre il concertone di Roma, si limiterà a dei presidi – non bisogna disturbare il manovratore). Anche stavolta, però, non si è riusciti a determinare quel minimo comune denominatore tale da giungere a delle piazze unitarie. Non si tratta, come vorrebbe far credere qualcuno, solo né principalmente di faide tra sigle e rispettive “burocrazie”: in realtà ci troviamo di fronte ad almeno due proposte programmatiche e di prospettiva politica, sempre più lontane tra loro, su che tipo di opposizione di classe costruire al governo Meloni e alla classe capitalistica: quella di Usb e quella del SI Cobas.

Infatti, sulla guerra, da un lato c’è l’anti-imperialismo a senso unico del gruppo dirigente di Usb, per il quale si tratterebbe unicamente di sottrarre “l’Italia” dalla sudditanza al giogo amerikano della Nato – per la Rete dei comunisti, che ispira i vertici dell’Usb, l’Italia è alla fin fine una colonia, o una semi-colonia, degli Usa e della Germania, una schiava altrui. E la colpa del governo Meloni è quella di non saper “disubbidire a una politica sanguinosa e fallimentare anche per lo stesso futuro della UE”. Un mix di nazionalismo sociale a base italiana-europea: sono queste le due opzioni presenti nel cartello elettorale di Unione popolare per cui ‘lavora’ Usb, che si riflette anche nella scelta dei compagni di viaggio su scala continentale, in primis quel Melenchon che in Francia ha fatto del sovranismo “di sinistra” un mezzo di abile concorrenza con il RN della Le Pen sul suo stesso terreno. Nel caso della Rete dei comunisti, poi, tutto ciò si sposa anche con evidenti simpatie per l’asse Russia-Cina non certo in quanto “proletario”, bensì in quanto anti-occidentale.

Dall’altro lato, in coerenza con un’impostazione internazionalista propria del gruppo dirigente del SI Cobas, è messa in primo piano la denuncia del “nemico in casa propria”, il capitalismo imperialista nazionale, visto come socio fondatore e attivo sia della NATO che dell’UE, e c’è il rifiuto di qualsiasi complicità con ambedue i campi capitalisti a scontro (USA-UE da un lato, Russia-Cina dall’altro) perché significherebbe il tradimento degli interessi e delle aspirazioni profonde dei lavoratori russi, cinesi, etc.

Sulle questioni “interne”, da un lato, c’è un approccio sindacale per molti versi simile a quello di Cgil-Cisl-Uil, che adotta crescentemente il metodo della delega e ha per obbiettivo quello di accedere alla rappresentanza e al riconoscimento istituzionale del sindacato tramite i tavoli col governo; dall’altro c’è la prospettiva e la prassi della lotta, del conflitto e dello sciopero quale motore insostituibile di qualsiasi battaglia che voglia avere una minima possibilità di successo per la difesa e il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro dei proletari – l’impressionante carico di misure repressive che hanno colpito in questi anni, e stanno continuando a colpire, il SI Cobas e il Movimento di lotta per il lavoro 7 novembre, si spiegano con la reazione dei governi e degli apparati statali a questa impostazione/prassi da loro percepita come pericolosa.

Anche l’urgenza della raccolta delle forze disponibili ad un fronte di lotta anti-capitalista è avvertita in modo assai differente, perché Rete dei comunisti/gruppo dirigente di Usb, non da oggi, hanno legami di collateralismo con forze presenti nelle istituzioni dello stato, il che è conseguente alla ricerca di un diverso ruolo, maggiormente autonomo e protagonista, dell’Italia, del capitalismo italiano in Europa e nel Mediterraneo, da cui ci si aspetta una ricaduta positiva per i lavoratori; laddove il gruppo dirigente del SI Cobas punta realmente tutte le sue carte sull’effettiva auto-organizzazione della classe per sé stessa, ed essendo consapevole dell’attuale situazione di debolezza e frammentazione della classe, lavora da anni a momenti di dialogo, di cooperazione, di unità d’azione, tra proletari/e e organismi accomunati dalla volontà di mettere in campo iniziative di lotta efficaci contro i governi e la Confindustria. Lo stretto rapporto tra Tir e SI Cobas si è sviluppato negli anni esattamente su questo terreno, con l’impegno da parte nostra ad elevare il livello di coscienza politica dei proletari e delle proletarie immigrati più combattivi e valorizzare l’apporto dato da loro al risveglio dell’intero movimento di classe.

I fatti delle ultime settimane sono conseguenze di questa evidente differenza di prospettive – e aiutano non poco a chiarire, se si hanno gli occhi per vedere, la dinamica delle divisioni che si sono prodotte all’indomani della manifestazione nazionale del 3 dicembre a Roma.

Alla fine di marzo, il SI Cobas ha lanciato un appello a tutto il sindacalismo di base nel tentativo di dar vita a delle piazze unitarie in occasione del 1° Maggio e di aprire il confronto in vista di un possibile sciopero generale a giugno. Passati appena 3-4 giorni dall’appello, l’Usb, senza neanche aver preso parte alla riunione unitaria, ha lanciato in completa solitudine le proprie piazze per il 1° Maggio e un proprio sciopero generale per l’ultima settimana del mese.

Risultato: il 1° maggio a Milano e Napoli vi saranno manifestazioni del sindacalismo di base tendenzialmente unitarie, promosse oltre che dal SI Cobas, da una pluralità di forze sindacali (a Milano Sgb, Cub, Usi, Sial Cobas, Adl Cobas), nel mentre Usb va per conto proprio.

Lungi da noi, sia chiaro, contrapporre tra loro i lavoratori che parteciperanno alle piazze chiamate da SI Cobas e Usb – abbiamo sistematicamente agito in direzione contraria anche laddove, come a Piacenza, c’erano stati grossi attriti. Né ci accontentiamo di quei “piccoli numeri” di dimostranti seppur fortemente combattivi, come sono state le manifestazioni di Piacenza contro la repressione (dell’agosto scorso) e quella di Roma contro la guerra e il governo Meloni. E’ al grosso della classe lavoratrice che puntiamo, per quanto appaia, e sia oggi, atomizzata e passiva. Lo ripetiamo da anni, ed è così. Perché siamo radicalmente convinti che il sistema sociale capitalistico non ha più nulla di “progressivo” da dare alla specie umana, e si caratterizza in modo crescente per la sua distruttività, per la sua soffocante necessità di controllo e di manipolazione degli umani, per la sua illimitata rapacità nei confronti delle energie vitali di madre terra e della natura.

Questa tendenza obbligata del corso storico del capitale globale viene sperimentata quotidianamente da centinaia di milioni di sfruttati/e e di oppressi/e, e sebbene la cosa si presenti in modo differente ai proletarie/e dei paesi capitalisticamente ascendenti e ai proletari/e dei paesi declinanti, essa porrà a tutti/e – senza eccezione – un aut-aut: battersi contro il capitale con tutte le proprie forze internazionalmente organizzate “in partito” per aprire la strada, con la rivoluzione sociale, ad una società-mondo di liberi ed eguali, oppure soccombere, tra macerie di ogni tipo, alla più infame, regressiva, sanguinaria delle controrivoluzioni. Dobbiamo riconoscerlo senza edulcorare nulla: affermare nelle tempeste sociali e politiche in arrivo la prospettiva di classe, rivoluzionaria, internazionalista sarà impresa ardua. Ma anche l’unica a cui valga la pena dedicarsi. Il futuro è della rivoluzione sociale anti-capitalista, o non è.

1° Maggio 2023

Tendenza internazionalista rivoluzionaria


                           This May Day

On this May 1st, the specter of another horrid world massacre in preparation hovers over everything, even over the new financial turmoil. As we said immediately, in fact, the war between NATO and Russia (and its allies) in Ukraine was an irreversible turning point in international politics as it marked the passage of the inter-imperialist dispute from the level of protectionist measures to the military one.

The object of this dispute "for life and for death" is not only the very rich territory of Ukraine: it is domination over the entire world market, over access to natural resources and to the most coveted of them, the alive work-force. And it is excluded that such a dispute takes place in a peaceful and consensual way: it is the history and the operating laws of capitalism that exclude it. A single force can get in the way of a course of events which – whatever its timing – appears marked: it is the autonomous, organized, united force of the exploited from all over the world. Never before has the age-old battle motto of the communists “proletarians of all countries unite, you have nothing to lose, only a [new] world to gain” seemed so appropriate. On the other hand, never before has every narrowly national vision, every shopkeeper's idea of being able to save one's skin from the incoming hurricanes by "leaving" - like Italy - from the dynamics of global war, or "leaving" the EU, "leaving" the euro, and similar "sovereignist" and sub-nationalist nonsense, must be banned without hesitation and any kind of nostalgia for a phase in the history of the workers' movement which has brought only inglorious defeats.
A few years after Brexit, one of the heads of the Bank of England finally said it clearly: "Dear Britons, resign yourself to being poorer". Thus ends ingloriously, and in short, the great scam against the British proletarians hatched by reactionary demagogues and endorsed by a certain number of leftists, including extra-parliamentary ones. Individual countries cannot exit through juridical or monetary tricks, from the maelstrom and chaos of a definitively globalized capitalist system in the grip of its convulsions – those who supported it and still support it should be kicked by the most conscious proletarians.

On the contrary, it is a question of entering with much greater determination into the dynamics of international and internationalist connection of unity and fraternization among proletarians, which with great difficulty is beginning to manifest itself also in belligerent Russia and Ukraine, as well as among the workers from different European countries in a state of turmoil. On this level, like it or not, as regards Italy the reality is this: the most significant initiatives in recent months have been those aimed at creating a consistently defeatist area in the face of the war in Ukraine (with the October 16 conference and the "class segment" of 3 December in Rome) and the strike in solidarity with the French workers in struggle called by SI Cobas on 28 March in the logistics warehouses. We must continue on this path, and we RIT (Tendenza internazionalista rivoluzionaria) intend to continue on this path.

We have already fixed, with other organizations, the next step: an assembly in Milan for 11 June in which we call together “all the social, political, trade union bodies, as well as the individual militants willing to fight with us to relaunch the internationalist class initiative” against the war in Ukraine and against the trend towards a new apocalyptic world conflict and “make it consciously live in the context of the mobilizations of the coming months”. And for this purpose we have already drawn up a common basic document, to which we refer without reservations, and without repeating its analyzes and theses here.

We simply specify that, for us, in this context of progressive precipitation of inter-capitalist contradictions there is no peace to defend. For example, the "peace" that existed in Ukraine before the Russian invasion last February was, in addition to being the context of a war by Kiev against the populations of Donbass with thousands of deaths, the ground for the penetration of transnational companies of all kinds (US, European, Chinese, Russian, etc.) who waged a real war on the working conditions and existence of millions of Ukrainian proletarians, making them regress by decades, and forcing them to emigrate en masse to the four corners of the Europe (starting with Italy and Poland) and the world to be treated as a second-class reserve workforce. And if a devastating war in the whole of Ukraine (instead of just Donbass) has added to the savage exploitation of the proletarians mourning and destruction, these are the inevitable consequences of the furious clash of opposing imperialist interests that that "peace" has generated. Today the only cause of which to be "partisan" without dishonoring oneself as comrades is that of war against the imperialist war, it is that of the breaking of the social peace that plagues us, especially in Italy.

In the preservation of social peace, once again the Italian bourgeois class has revealed itself to be very expert also on this April 25, staging the grotesque pantomime of declaring themselves all "anti-fascists" (or almost), and allowing Schlein's warmonger Pd (Democratic Party) to rinse your blood-stained hands a little with an unbearable, empty "resistancialist" rhetoric. A rhetoric that serves democratic Italy, the one that immediately saved and recycled the fascist ringleaders with the shameful amnesty of Togliatti; the one that today has a government centered on long-time freebooters coming from a path closely related to the old fascism; it serves to "strengthen Italy's role in the world as an essential bulwark of democracy" (Meloni's words).

If the social peace does not break, the Italian and European proletariat remains, in fact, enlisted on the enemy front with the task of "national engine" of the war economy and for the war economy. And not even the waves of strikes and street demonstrations, significant or impressive in recent months, especially in France, Great Britain and Greece, manage to question to the end, to deny and overturn this objective role. Because it can happen, as is happening in France, that almost all of the trade union and political bodies that support the fight against the pension reform wanted by Macron and Medef (the French Confindustria) at the same time support the choice of the Elysée to be war in support of Ukraine, that is, NATO. So on the one hand he fights against Macron and delegitimizes him, but on the other - no less important - they support and legitimize him (to the detriment of French workers, and to the detriment of the Ukrainian and Russian proletarians who die in the war that continues and turns gangrenous). Such a strident contradiction is even more marked, if possible, in British trade union affairs, where not even the unification of the ongoing trade union disputes has been completed, due to an enormous deficit of class political consciousness, and there is practically no focusing on the central issue of the “moment”: the tendency to war. Partially different is the case of Greece, where instead the denunciation of the imperialist war in Ukraine resounds with greater force in the squares.
The same rampant inflation which is brutally cutting the wages of the vast majority of workers would be inexplicable, in the presence of an enormous overproduction, if a war were not underway which has caused energy prices to explode (with the relative speculative maneuvers), and if an interest rate war were not underway aimed at attracting capital to the United States and Europe that would otherwise risk fleeing elsewhere – capital indispensable to support the enormous increase in military spending; and if a class warfare by US and EU central banks were not underway aimed at producing more unemployment and thus further lowering the general level of wages. This shows how closely the union and political levels are linked, with the latter "commanding", framing and directing the other. We see it also on this May 1st in Italy.

This 1st May a series of demonstrations will be held, promoted almost everywhere by grassroots unionism (the CGIL, beyond the Rome concert, will limit itself to garrisons – they don’t want disturb the handler). Once again, however, it was not possible to determine that minimum common denominator such as to reach unitary squares. It is not a question, as some would have you believe, only or mainly of feuds between their respective "bureaucracies": in reality we are faced with at least two programmatic and political prospective proposals, increasingly distant from each other, on what kind of opposition class building to the Meloni government and the capitalist class: that of USB and that of SI Cobas.
In fact, on the war, on the one hand there is the one-way anti-imperialism of the USB leadership group, for which it would only be a question of removing Italy from subjection to the American yoke of OTAN - for the Rete dei comunisti (Network of Communists), which inspires the leaders of the USB, Italy is in the end a colony, or a semi-colony, of the USA and Germany, a slave to others. And the fault of the Meloni government is that of not knowing how to "disobey a bloody and bankruptcy policy also for the very future of the EU". A mix of Italian-European based social nationalism: these are the two options present in the electoral cartel of the Popular Union for which USB 'works', which is also reflected in the choice of their travel companions on a continental scale, first and foremost that Melenchon who has made France “left” sovereignty a means of skilful competition with Le Pen's RN on its own turf. In the case of the Rete dei comunisti, then, all this is also combined with evident sympathy for the Russia-China axis, certainly not as "proletarian", but as anti-Western.

On the other hand, in line with an internationalist approach typical of the SI Cobas leadership group, the denunciation of the "enemy at home", national imperialist capitalism, is placed in the foreground, seen Italy as a founding and active member of both OTAN and of the EU, and there is the refusal of any complicity with both capitalist camps in confrontation (USA-EU on one side, Russia-China on the other) because it would mean the betrayal of the deepest interests and aspirations of the Russian and Chinese workers, etc.

On "internal" issues, on the one hand, there is a union approach in many ways similar to that of the CGIL-CISL-UIL, which increasingly adopts the method of delegation and has as its objective that of accessing the representation and institutional recognition of the union through tables with the government; on the other there is the perspective and practice of struggle, conflict and strike as an irreplaceable engine of any battle that wants to have a minimal chance of success for the defense and improvement of the living and working conditions of the proletarians - the impressive load of repressive measures that have hit SI Cobas and the (Naples) November 7 Work Struggle Movement in recent years, and are continuing to hit, can be explained by the reaction of governments and state apparatuses to this approach/practice  perceived by them as dangerous.

Even the urgency of gathering the forces available to a front of anti-capitalist struggle is perceived in a very different way, because the Rete dei comunisti/USB leadership, not from today, have ties with forces present in the institutions of the state, which is consequent to the search for a different role, more autonomous and protagonist, of Italy, of Italian capitalism in Europe and in the Mediterranean sea, from which a positive fallout is expected for workers; where the SI Cobas leadership really points all its cards on the effective self-organization of the class for itself, and being aware of the current situation of weakness and fragmentation of the class, has been working for years on moments of dialogue, cooperation, of unity of action, between proletarians and organizations united by the desire to put in place effective struggle initiatives against governments and Confindustria. The close relationship between RIT (Tendenza internazionalista rivoluzionaria) and SI Cobas has developed over the years exactly on this terrain, with our commitment to raise the level of political awareness of the most combative immigrant proletarians and proletarians, and to value the contribution made by them to the awakening of the entire class movement.

The events of the last few weeks are consequences of this evident difference in perspectives - and they help to clarify, if one has the eyes to see, the dynamics of the divisions that have arisen in the aftermath of the national demonstration of 3 December in Rome. At the end of March, SI Cobas launched an appeal to all grassroots unionism in an attempt to create unitary squares on May 1st and to open discussions in view of a possible general strike in June. Just 3-4 days after the appeal, the USB, without even having taken part in the joint meeting, launched its squares in complete solitude for May 1st and its own general strike for the last week of the month. Result: on May 1st in Milan and Naples there will be basically unitary demonstrations of grassroot unionism, promoted not only by SI Cobas, but also by a plurality of union forces (in Milan, Sgb, Cub, Usi, Sial Cobas, Adl Cobas), while USB goes on its own.

Far be it from us, let it be clear, to oppose the workers who will participate in the squares called by SI Cobas and USB to each other - we have systematically acted in the opposite direction even where, as in Piacenza, there had been major frictions. Nor are we satisfied with those "small numbers" of demonstrators, albeit strongly combative, such as the demonstrations in Piacenza against repression (last August) and that in Rome against the war and the Meloni government. It is the bulk of the working class that we aim for, however atomized and passive it appears and is today. We've been saying it for years, and it's true. Because we are radically convinced that the capitalist social system no longer has anything "progressive" to give to the human species, and is increasingly characterized by its destructiveness, by its suffocating need to control and manipulate humans, by its unlimited rapacity towards the vital energies of mother earth and nature.

This obligatory tendency of the historical course of global capital is experienced daily by hundreds of millions of exploited and oppressed men and women, and although it presents itself differently to the proletarians of capitalistically ascending countries and to the proletarians of declining countries, it will put everyone - without exception - an either-or: to fight against capital with all one's forces internationally organized "in party" to pave the way, with the social revolution, for a world-society of free and equal, or to succumb, amid all kinds of rubble, to the most infamous, regressive, bloody of counter-revolutions. We must recognize it without sweetening anything: affirming the class, revolutionary, internationalist perspective in the coming social and political storms will be a difficult undertaking. But also the only one worth dedicating yourself to. The future belongs to the anti-capitalist social revolution, or it is not.

1 May 2023

Revolutionary Internationalist Tendency