La manifestazione a Ghedi, il 21 ottobre, il lavoro politico che resta da fare
– Tendenza internazionalista rivoluzionaria / SI Cobas
Il SI Cobas e la Tendenza internazionalista rivoluzionaria (TIR) hanno lavorato duro per settimane, nel più stretto coordinamento, per organizzare al meglio la manifestazione di Ghedi: decine e decine di assemblee nei magazzini della logistica, e non solo, molte iniziative cittadine da Torino a Milano, da Genova a Marghera e Verona, da Bologna a Napoli, una presenza attiva alle dimostrazioni a sostegno della resistenza palestinese. E dopo questo impegno, non c’è ragione per nascondere la nostra soddisfazione per la sua riuscita.
Non staremo a questionare sui numeri: 4.000 dicono i giornali che ne hanno parlato (cifra lasciata circolare dalla polizia, presente con uno schieramento imponente insieme a carabinieri, guardia di finanza, polizia locale e tanto di elicottero a sorvolare i manifestanti lungo la recinzione della base), 5.000 secondo il SI Cobas e Brescia anticapitalista. Atteniamoci a questi numeri, che ne fanno comunque la manifestazione più ampia tra quelle chiamate sabato scorso contro la guerra anche a Palermo, Pisa, Vicenza, Napoli, Taranto. Questo dato ha il suo peso, ovviamente, ma l’essenziale è altro.
E’ innanzitutto la chiarezza internazionalista, di classe della sua impostazione e dell’agitazione contro la guerra, l’economia di guerra e il governo Meloni che l’ha preparata, e che è stata svolta lungo tutto il corso del corteo e nel comizio finale. Inizialmente (nell’assemblea dell’11 giugno a Milano, quando fu lanciata) l’avevamo pensata come una dimostrazione per denunciare la guerra tra NATO e Russia in Ucraina in quanto guerra inter-imperialista diretta anzitutto contro i proletari ucraini e russi, ed al contempo contro quelli di tutto il mondo. I drammatici sviluppi degli ultimi tempi in Palestina l’hanno fatta diventare anche una dimostrazione contro l’infinita, sanguinaria guerra colonialista che lo stato di Israele conduce da quasi un secolo per cacciare dalla sua terra il popolo palestinese. E così sabato, anche da Ghedi, si è levato un grido di ribellione, tra i tanti che si sono alzati in tutto il mondo, contro il massacro che il governo e l’esercito di Israele stanno mettendo in atto contro la popolazione di Gaza con l’appoggio unanime dei loro protettori gangster di Washington, Bruxelles e Roma.
L’altro dato distintivo del corteo di Ghedi è stata la sua larghissima composizione operaia e proletaria, che è stata – tra l’altro – il risultato della giornata di sciopero nazionale indetta venerdì 20 ottobre da larga parte del sindacalismo conflittuale (SI Cobas, SGB, CUB, Usi, Adl-Varese) contro la guerra, l’economia di guerra, il carovita, per sostanziosi aumenti salariali. Non si tratta solo di un dato quantitativo, visibile ad occhio nudo. C’è stata anche l’attiva partecipazione di tanti, davvero tanti, proletari del SI Cobas nel cantare e rilanciare le parole d’ordine politiche caratterizzanti del corteo: governo Meloni, governo dei padroni; contro le guerre del capitale, sciopero, sciopero generale; Palestina libera / Free, free Palestine; sciogliere la NATO. Bisogna risalire alla manifestazione dell’ottobre 2018 a Roma contro i decreti Salvini per un simile livello di coinvolgimento politico attivo. In questo caso, però, le tematiche erano assai più generali, e i bersagli assai più grossi e impersonali del singolo servitore dei padroni. Anche il tema-Palestina è stato fortemente presente in tutto il corteo (molti lavoratori, molti ragazzi e ragazze figli/e di immigrati, proprio tanti/e, avevano portato bandiere della Palestina). E quando il compagno Zadra ha lanciato lo slogan “Palestina libera, Palestina rossa”, non esattamente la prospettiva di Hamas, lo slogan è stato ripreso ben al di là della testa del corteo.
Il terzo aspetto rilevante è stata l’adesione ad esso, e la partecipazione, di una molteplicità di organismi del territorio bresciano, di aree sindacali e politiche, e di settori di movimento che hanno aderito al messaggio inequivocabilmente internazionalista, di classe, ed insieme unitario, del corteo: “uniamo le nostre forze contro le loro guerre”. Lo apriva, infatti, un piccolo gruppo di cittadine e cittadini di Ghedi di orientamento pacifista con le loro bandiere arcobaleno, sebbene il corteo non sia stato un corteo pacifista. Lo abbiamo spiegato con chiarezza: noi siamo contro le guerre del capitale, ma non certo contro la guerra di liberazione anti-coloniale e anti-imperialista degli oppressi palestinesi. Un corteo che ha evocato la prospettiva della guerra di classe contro il capitalismo per venire a capo della crisi storica di questo sistema sociale, e della mostruosa barbarie che sta producendo. Particolarmente significative, tra le altre (un rappresentante del BDS, i Giovani palestinesi in Italia, Sgb, Fgc, Slai Cobas per il sindacato di classe, etc.), la partecipazione di una delegazione del Movimento per il lavoro 7 novembre di Napoli, costantemente presente in tutte le iniziative anti-militariste, esemplare nella sua agitazione sul legame tra l’incremento della spesa bellica e i tagli alla spesa sociale, e quella di un nutrito spezzone anarchico attivo nel propagandare il boicottaggio delle operazioni di guerra laddove esse concretamente si articolano.
Abbiamo voluto questa manifestazione davanti alla base di Ghedi perché questa base è la storica base di attacco dell’aeronautica militare italiana, e il caso ha voluto che proprio qualche giorno fa la base bresciana sia stata messa in allerta atomica per gli imprevedibili sviluppi della guerra di Israele contro il popolo palestinese. Questa scelta politica è stata ed è coerente con il fatto che, a differenza di tutto l’arcipelago kampista, per noi l’Italia non è una colonia statunitense da sottrarre alle grinfie dello zio Sam per farne il fattore di pace previsto, a parole vuote, dalla “Costituzione più bella del mondo”; è, al contrario, un paese a tutti gli effetti imperialista, fondatore e perno della NATO, predatore delle risorse naturali ai quattro angoli della terra e sfruttatore universale del lavoro salariato e del contadiname povero del mondo. E quindi il nostro primo e principale nemico è qui, in Italia, ed è costituito dallo stato e dal governo italiano, macchine operative al servizio del capitalismo italiano; il governo Meloni oggi, come lo furono ieri il governo Draghi e i governi di centro-sinistra, interamente coinvolti nella preparazione della guerra in Ucraina e della guerra ai palestinesi. Per non parlare delle decine di missioni militari nei cinque continenti, che sono state ricordate e denunciate ripetutamente durante il corteo – “ritiro di tutte le missioni militari italiane all’estero”! -, così come è stato ricordato e denunciato il terrorismo di stato della NATO.
Sabato scorso, in altre piazze, sono stati liberi di scorazzare esponenti di quella “sinistra istituzionale” o para-istituzionale pronta ad ogni tipo di accordo con il centro-sinistra più atlantista, guerrafondaio e filo-sionista della storia del dopoguerra; a Ghedi no, non è potuto accadere. E ne siamo fieri. Senza che questo abbia, in alcun modo, significato occhieggiare a posizioni kampiste. Per noi, lo diciamo da sempre e non ci stancheremo di ripeterlo: la sola prospettiva reale di liberazione è quella della rivoluzione sociale anti-capitalista alla scala internazionale – non c’è nessun capitalismo in salsa russa o cinese o iraniana da salvare, nessun mondo capitalistico multipolare da preferire a quello, orribile, a guida statunitense e occidentale. Non a caso lo striscione firmato unitariamente dalla TIR e dal Laboratorio politico Iskra diceva: “contro le guerre del capitale, lotta di classe internazionale”. Che la guerra in Ucraina sia combattuta anche dalla Russia e dai suoi alleati scoperti e coperti per finalità di dominio e di sfruttamento, può negarlo solo quell’accozzaglia di ciarlatani e mascalzoni social-nazionalisti che compongono il mondo “rosso”-bruno. Perfino i distratti giornalisti della stampa e delle tv locali hanno dovuto registrare con una sorprendente fedeltà che la manifestazione di Ghedi è stata “internazionalista, anti-colonialista e anti-imperialista”, si è espressa nel senso di “dichiarare guerra alle guerre”, schierandosi contro la guerra in Ucraina e contro tutte le guerre del capitale, per la chiusura della base atomica di Ghedi, per lo scioglimento della NATO, contro il governo Meloni… (sentire e leggere per credere).
https://www.giornaledibrescia.it/bassa/all-aeroporto-militare-di-ghedi-4mila-persone-per-dire-no-a-tutte-le-guerre-1.3953703 (vedi al termine del testo)
Le caratteristiche essenziali della manifestazione di Ghedi sono state ben colte anche all’esterno dell’Italia. Messaggi di piena condivisione e di solidarietà ci sono giunti dal Partido Obrero e dal Polo Obrero dall’Argentina, dal Fronte unito internazionale contro l’imperialismo e il fascismo con centro in Germania, da Marxist Tutum della Turchia, dalla California, dagli Angry Workers britannici, dal Giappone, dal Sud-Africa, mentre – per difficoltà logistiche dell’ultimo momento – non ha potuto esserci un compagno del Fronte dei lavoratori dell’Ucraina, un piccolo organismo militante in Ucraina contro la guerra. Presenti con una loro bandiera, ed entusiasti della manifestazione, alcuni compagni del movimento contro la guerra di Zurigo appartenenti all’Icor.
Detto ciò, non siamo certo soddisfatti dalla frammentazione tematica e organizzativa della giornata del 21 ottobre. Abbiamo cercato fino all’ultimo di dare a questa giornata quanto meno una cornice politica unitaria, ma non ci siamo riusciti per il rifiuto di altre componenti arrivate, nella loro attitudine anti-unitaria, al punto da cancellare dai loro social la manifestazione di Ghedi (la realtà, però, è qualcosina di un po’ più solido dei messaggi in rete). Ex post rileviamo che la piazza di Palermo è stata la più vicina alla nostra sensibilità e ai nostri orientamenti, perché più fortemente marcata in senso anti-militarista, contro la guerra (nessuno può sostenere che “guerra alla guerra” sia la stessa cosa che “no all’escalation” o “fuori l’Italia dalla guerra”); ed anche perché – come è stato fatto a Ghedi e nei paesi vicini, in particolare dai compagni di Brescia anticapitalista – i suoi organizzatori hanno saputo preparare il terreno con una propaganda nei quartieri popolari della città, fiduciosi di poter essere ascoltati dalla “gente comune”, ed almeno in parte, sia nell’area bresciana che a Palermo, questo è accaduto. Tuttavia nessuna delle molteplici istanze presenti a Pisa la sentiamo estranea – salvo il loro forte retrogusto territorialista. Per questo rilanceremo quanto prima a tutti/e coloro che si sono attivati/e nella giornata del 21 ottobre nuove proposte di mobilitazione – escluse, però, rigorosamente le opzioni elettoralistiche e quelle kampiste, che riteniamo entrambe estranee, se non contrapposte, agli interessi della classe lavoratrice.
Come hanno dichiarato il compagno della TIR che ha aperto il comizio conclusivo a Ghedi e il compagno Roberto Luzzi, responsabile internazionale del SI Cobas, la nostra ambizione va molto al di là dei manifestanti del 21 ottobre e del quadro italiano, entro cui restano prigionieri tutti coloro per cui il riferimento è l’impossibile ricerca di un diverso ruolo per l’Italia, l’Italia capitalista, si intende.
La nostra ambizione – rafforzata dalla crescita politica di un’avanguardia di proletari immigrati organizzati nel SI Cobas – è raggiungere la grande massa dei proletari italiani, spiegando loro che le guerre che paiono lontane sono in realtà sempre più vicine. E che la posizione di passività, di silenzio, di attesa li danneggia fortemente, sia nell’immediato (inflazione, taglio delle spese sociali, disciplina militare sui luoghi di lavoro che fa aumentare i morti sul lavoro, etc.) sia in prospettiva. Bisogna mobilitarsi contro le guerre in corso, e contro la tendenza al riarmo e alla precipitazione della situazione verso un nuovo conflitto mondiale, prima che sia troppo tardi.
La nostra ambizione è raggiungere i giovani che negli scorsi anni si sono mossi contro la devastazione dell’ambiente, chiamandoli a comprendere che è tempo, per loro, di fare un passo avanti e battersi contro la prima causa di devastazione dell’ambiente naturale e della vita umana che sono le guerre del capitale. La figura di riferimento di molti di loro, Greta Tunberg, l’ha fatto schierandosi con i palestinesi: a quando una salutare scossa anche tra i FFF, o i NG italiani?
La nostra ambizione è raggiungere tutte le donne senza privilegi che negli scorsi anni hanno raccolto anche in Europa il grido di lotta contro la violenza sulle donne e il patriarcalismo capitalistico partito dall’America del Sud “ni una de menos”, perché facciano proprio l’impegno esplicito e fondamentale della lotta contro le guerre del capitale che hanno un impatto particolarmente duro proprio sulla vita delle donne, e insieme alle compagne del Comitato 23 settembre, presenti a Ghedi, sappiano opporre ai dottor Stranamore di Occidente e di Oriente che le stanno pianificando: “mai più figli per le vostre guerre!”.
La nostra ambizione – ci stiamo lavorando intensamente – è promuovere il coordinamento su scala internazionale di tutte le forze politiche, sindacali e sociali che condividono, almeno nelle sue linee essenziali, la nostra ferma impostazione di classe, internazionalista, che vede nella classe lavoratrice di tutti i paesi la sola forza, la sola potenza sociale capace di mettersi di traverso al piano inclinato verso una nuova apocalittica guerra mondiale per la rispartizione del mercato mondiale. La gigantesca solidarietà che gli oppressi della Palestina stanno ricevendo dagli oppressi di tanti paesi del mondo ci incoraggia nel ritenere questo ambiziosissimo obiettivo praticabile. Ghedi è stata un passo in avanti su questo cammino, e non ci fermeremo di sicuro a metà strada.
Oggi più che mai: proletari, proletarie, oppressi, oppresse di tutto il mondo, uniamo le nostre forze in un solo irresistibile schieramento anti-capitalista. Non abbiamo nulla da perdere. Abbiamo un mondo senza sfruttamento del lavoro, senza oppressione coloniale, di razza, di genere, senza guerre per il profitto e il dominio, da conquistare!
The demonstration in Ghedi on 21 October,
and the political work that remains to be done
– Internationalist Revolutionary Tendency / SI Cobas
SI Cobas and the Revolutionary Internationalist Tendency (TIR) have worked hard for weeks, in the closest coordination, to organise the Ghedi demonstration in the best possible way: dozens and dozens of assemblies in the logistics warehouses, and not only that, many city initiatives from Turin to Milan, from Genoa to Marghera and Verona, from Bologna to Naples, an active presence at demonstrations in support of the Palestinian resistance. And after this commitment, there is no reason to hide our satisfaction at its success.
We won’t quibble about the numbers: 4,000 according to the newspapers that reported on it (a figure circulated by the police, who were present with an impressive line-up along with carabinieri, financial police, local police and even a helicopter flying over the marchers along the fence of the base), 5,000 according to SI Cobas and Brescia anticapitalista. Let’s stick to these numbers, which still make it the largest demonstration among those called last Saturday against the war also in Palermo, Pisa, Vicenza, Naples, Taranto. This figure has its weight, of course, but the essential thing is something else.
First of all, the internationalist, class-based clarity of its approach and of the agitation against the war, the war economy and the Meloni government that prepared it, and which was carried out throughout the march and in the final rally. Initially (in the assembly of 11 June in Milan, when it was launched) we had thought of it as a demonstration to denounce the war between NATO and Russia in Ukraine as an inter-imperialist war directed first of all against the Ukrainian and Russian proletarians, and then against those all over the world. The dramatic developments in Palestine in recent times have also made it a demonstration against the endless, bloody colonialist war that the state of Israel has been waging for almost a century to expel the Palestinian people from their land. And so on Saturday, a cry of rebellion was raised from Ghedi too, among the many that have risen around the world, against the massacre that Israel’s government and army are carrying out against the people of Gaza with the unanimous support of their gangster protectors in Washington, Brussels and Rome.
The other distinctive datum of the Ghedi procession was its very large working-class and proletarian composition, which was prepared by the day of national strike called by a large part of grassroots unionism against the war, the war economy, the high cost of living, for substantial wage increases. But this is not just a quantitative fact, visible to the naked eye. There was also the active participation of many, really many, proletarians of the SI Cobas in chanting and relaying the political watchwords that characterised the procession: Meloni government, bosses’ government; against the wars of capital, strike, general strike; free Palestine / Free, free Palestine; disband NATO. One has to go back to the October 2018 demonstration in Rome against the Salvini decrees for a similar level of active political involvement. In this case, however [the demonstration in Ghedi, 21 October], the issues were far more general, and the targets far bigger and more impersonal than one individual servant of the bosses. The Palestine theme was also strongly present throughout the march (many workers, many boys and girls, sons and daughters of immigrants, just so many, had carried Palestine flags); and when comrade Zadra raised the slogan ‘Free Palestine, Red Palestine’, not exactly the Hamas perspective, the slogan was echoed well beyond the head of the procession.
The third relevant aspect was the adhesion to it, and the participation, of a plurality of organisations from the Brescia area, trade union and political groups, and sectors of the movement that adhered to the unequivocally internationalist, working-class, and at the same time unitary message of the march: ‘Let’s unite our forces against their wars’. It was opened by a small group of citizens of Ghedi with a clearly pacifist orientation with their rainbow flags, although the march was not a pacifist one – we explained it clearly: against the wars of capital, but certainly not against the anti-colonial and anti-imperialist war of liberation of the oppressed Palestinians. A march that evoked the prospect of class war against capitalism to get to the bottom of the apocalyptic, systemic crisis and the monstrous barbarism that is advancing. Particularly significant, among the others (Young Palestinians in Italy, Sgb, Fgc, Slai Cobas p.s.c., etc.), was the presence of a delegation from the 7 November Movement for Work from Naples, constantly present in all the anti-militarist initiatives, exemplary in its agitation about the link between war spending and cuts in social spending, and that of a large anarchist section active in propagating the boycott of war operations where they are concretely carried out.
We called for this demonstration in front of the Ghedi base because this base is the historic attack base of the Italian Air Force, and coincidentally, just a few days ago, the base was put on atomic alert due to the unpredictable developments in Israel’s war against the Palestinian people. This political choice was and is consistent with the fact that, unlike the entire campist archipelago, in our view Italy is not a US colony to be taken away from the clutches of Uncle Sam to make it the peace factor envisaged, in hollow words, by the ‘world’s most beautiful constitution’ [the Italian Constitution of 1948]; it is, on the contrary, an imperialist country in every respect, a founder and pivot of NATO, the predator of natural resources in the four corners of the earth and the universal exploiter of the world’s wage labourers and poor peasants. And so our first and main enemy is here, in Italy, namely the Italian state and government, operational machines at the service of Italian capitalism; the Meloni government today, as the Draghi government and the centre-left governments were yesterday, entirely involved in the preparation of the war in Ukraine and the war on the Palestinians. Not to mention the dozens of military missions in the five continents, which were repeatedly recalled and denounced during the procession – ‘withdrawal of all Italian military missions abroad’! -, just as NATO state terrorism was recalled and denounced.
Last Saturday, in other marches, exponents of that ‘institutional left’ or para-institutional ‘left’, ready for any kind of agreement with the most Atlanticist, warmongering and pro-Zionist centre-left in post-war history, were free to roam; in Ghedi it could not happen. And we are proud of that. Without this having, in any way, meant winking at campist positions. As we have always said, and we will not tire of repeating: the only real prospect of liberation is that of anti-capitalist social revolution on an international scale – there is no capitalism to be saved, whether in Russian, Chinese or Iranian sauce, no multipolar capitalist world to be preferred to the horrible US- and Western-led one. It is no coincidence that the banner signed unitedly by the TIR and the Iskra Political Laboratory read: “contro le guerre del capitale, lotta di classe internazionale” [against the wars of capital, international class struggle]. That the war in Ukraine is also being fought by Russia and its open and covert allies for domination and exploitation purposes, can only be denied by the rabble of social-nationalist charlatans and rascals that make up the ‘red’-brown world. Even the distracted journalists of the press and local TV stations had to record (with surprising fidelity) that the demonstration in Ghedi was ‘internationalist, anti-colonialist and anti-imperialist’, expressed in the sense of ‘declaring war on wars’, siding against the war in Ukraine and against all the wars of capital, for the closure of the atomic base in Ghedi, for the dissolution of NATO, against the Meloni government…i (listen and read to believe).
The essential features of the Ghedi demonstration were also well understood outside Italy. Messages of full support and solidarity reached us from the Partido Obrero and Polo Obrero from Argentina, the International United Front against Imperialism and Fascism with its centre in Germany, Marxist Tutum from Turkey, from California, the British Angry Workers, Japan, South Africa, while – due to last-minute logistical difficulties – a comrade from the Workers’ Front of Ukraine, a small militant anti-war organisation in Ukraine, could not be present. Present with their own flag, and enthused by the demonstration, were some comrades from the Zurich anti-war movement belonging to Icor.
That said, we are certainly not satisfied with the thematic and organisational fragmentation of the day on 21 October. We tried until the very end to give this day at least a unitary political framework, but we did not succeed due to the rejection by other components who went so far, in their anti-unity attitude, as to delete the Ghedi demonstration from their social networks (the reality, however, is somewhat more solid than the messages on the web). In retrospect, we note that the demonstration in Palermo was closest to our sensibility and our orientations, because it was most strongly marked in an anti-militarist, anti-war perspective (no one can claim that ‘war on war’ is the same thing as ‘no to escalation’ or ‘Italy out of the war’); and also because – as was done in Ghedi and neighbouring towns, in particular by the comrades of Brescia anticapitalista – its organisers were able to prepare the ground with propaganda in the working-class neighbourhoods of the city, confident that they would be heard by the ‘common people’, and at least in part, both in the Brescia area and in Palermo, this happened. However, we do not feel as alien any of the many instances present in Pisa – except for their strong localist aftertaste. That’s why as soon as possible we are going to re-launch new mobilisation proposals to all those who mobilised on 21 October – excluding, however, the electoralist and campist options, both of which we feel are extraneous, if not opposed, to the interests of the working class.
As stated by the TIR comrade who opened the concluding rally in Ghedi and comrade Roberto Luzzi, international responsible of SI Cobas, our ambition goes far beyond the marchers of 21 October and the Italian framework, within which all those remain captive, whose reference is the impossible search for a different role for Italy, i.e. capitalist Italy.
Our ambition – strengthened by the political growth of a vanguard of immigrant proletarians organised in the SI Cobas – is to reach the broad mass of Italian proletarians, explaining to them that wars that seem far away are in reality closer and closer. And that the attitude of passivity, silence, of wait and see does them great harm, both in the short term (inflation, cutting social spending, military discipline in workplaces that increases deaths at work, etc.) and in the long term. We need to mobilise against the ongoing wars, and against the trend towards rearmament and the precipitation towards a new world conflict, before it is too late.
Our ambition is to reach out to the young people who have taken action against the devastation of the environment in recent years, calling them to realise that it is time for them to take a step forward and fight against the primary cause of the devastation of the natural environment and human life, that is the wars of capital. The figurehead of many of them, Greta Thunberg, did this by siding with the Palestinians: when is there going to be a healthy shake-up among the Italian Fridays for Future, or Next Generation?
Our ambition is to reach out to all the unprivileged women who in the past few years have taken up the rallying cry against violence against women and capitalist patriarchalism from South America, “ni una de menos”, so that they may embrace the explicit and fundamental commitment of the fight against the wars of capital, which have a particularly hard impact on women’s lives, and together with the comrades of the 23 September Committee, present in Ghedi, oppose the Dr. Strangelove of the West and the East who are planning those wars: “no more children for your wars! “.
Our ambition – we are working hard on it – is to promote the coordination on an international scale of all the political, trade union and social forces with whom we share, at least in its essential lines, our firm class, internationalist approach, where the working class of all countries is the only force, the only social power capable of standing in the way of the slope towards a new apocalyptic world war for the redivision of the world market. The massive solidarity that the oppressed in Palestine are receiving from the oppressed in so many countries of the world encourages us to consider this very ambitious goal as feasible. Ghedi was a step forward on this path, and we will certainly not stop halfway.
Today more than ever: proletarians men and women, oppressed people of the world, let us unite our forces in one irresistible anti-capitalist alignment. We have nothing to lose. We have a world to conquer, without exploitation of labour, without colonial, racial or gender oppression, without wars for profit and domination!