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[MILANO] Processo Unes: disintegrato il “teorema-Ichino”. Picchettare non è reato di “violenza privata”. Lotta contro sfruttamento e salari da fame

PROCESSO UNES

DISINTEGRATO IL “TEOREMA-ICHINO”

IL PICCHETTO NON E’ VIOLENZA PRIVATA

Lo scorso 17 ottobre, nelle stesse ore in cui la nostra organizzazione era impegnata con tutte le sue forze per la riuscita dello sciopero generale e della manifestazione a Ghedi, ci è giunta la notizia che il Gip del Tribunale di Milano sez. penale, dott.ssa Daniela Cardamone, ha decretato la definitiva archiviazione del procedimento penale a carico di 32 lavoratori e militanti del SI Cobas (tra cui 4 esponenti dell’esecutivo nazionale: Papis Ndyaye, Alessandro Zadra, Ba Ibrahima e Asmeron Zemenfes) difesi dall’avvocato Eugenio Losco a seguito delle denunce sporte dai padroni della cooperativa Lgd e dal loro presidente Giuseppe Ghezzi durante gli scioperi avvenuti ad agosto e settembre 2021 fuori ai cancelli dei magazzini Unes – Brivio & Vigano di Truccazzano e Vimodrone (MI).

La notizia rilevante non è tanto il decreto di archiviazione in se, quanto le motivazioni “da manuale” con le quali il Gip ha smontato e letteralmente travolto i teoremi repressivi di padroni e Questura, al punto che riteniamo il testo di questo dispositivo come un vero e proprio “vademecum” sull’esercizio reale (e non solo simbolico) del diritto di sciopero, da utilizzare e sbandierare ogni qualvolta le forze dell’ordine provano a sgomberare con la forza un picchetto per tutelare i profitti e svolgere il loro ruolo di cani da guardia dei padroni.

Come molti ricorderanno, la vicenda degli scioperi e delle mobilitazioni alla Unes, causata dalle condizioni di ricatto e di supersfruttamento imposte ai lavoratori della cooperativa in appalto Lgd, era giunta nei mesi scorsi alla ribalta dei media poiché i padroni avevano scelto come loro difensore l’ “insigne” giurista Pietro Ichino, esponente di spicco del Pd noto per le sue prese di posizione reazionarie sul diritto di sciopero e a favore della precarizzazione estrema dei contratti.Ichino, tanto per non smentire il suo decennale curriculum antioperaio, aveva avuto la “brillante” idea di chiedere al SI Cobas un risarcimento-danni colossale per i mancati guadagni provocati all’azienda dagli scioperi: una richiesta che, per quanto ridicola e fascista, faceva leva proprio sul procedimento penale e sulle denunce di violenza privata (art.610 del codice penale) che i padroni e la Digos hanno fatto partire contro gli scioperanti, come è loro costume quasi a ogni picchetto operaio.

Ma entriamo nel merito del contenuto magistrale del decreto di archiviazione con cui il Gip conferma l’analoga pronuncia formulata pochi mesi fa dal PM, dott. Enrico Pavone.

Il principio affermato e ribadito più volte nelle 18 pagine del dispositivo è tanto semplice quanto perentorio:

un picchetto fuori ai cancelli in occasione di uno sciopero, condotto dai lavoratori attraverso l’ostruzione delle vie d’accesso al posto di lavoro operata con la loro presenza fisica e finalizzato ad impedire l’ingresso delle merci, non può in alcun modo essere punibile come “violenza privata”. Ciò per molteplici ragioni:

1) Per integrarsi il reato di violenza privata ai sensi dell’art. 610 c.p. (il quale recita testualmente che “chiunque, con violenza o minaccia, costringe altri a fare, tollerare od omettere qualche cosa è punito con la reclusione fino a quattro anni”) non basta dar vita a un azione di picchettaggio che blocchi i cancelli e le merci, ma tale azione dev’essere condotta esercitando forme di violenza o di minaccia, le quali non sono automaticamente connesse all’atto del picchettaggio: se così non fosse, e cioè se il codice penale avesse voluto rendere punibile qualsiasi forma di costrizione operata durante uno sciopero, l’articolo 610 non avrebbe menzionato i requisiti della violenza e della minaccia come necessari ad integrare tale fattispecie di reato.

In sintesi, come recita il dispositivo, punire gli autori di un picchetto che non commettono violenze o minacce e si limitano a bloccare i cancelli aziendali “sarebbe radicalmente contra legem in quanto porterebbe a far coincidere i requisiti delle violenza e/o minaccia con quello della coazione del soggetto passivo del reato”.2) Il picchetto condotto nelle forme appena descritte non può in alcun modo essere un reato, poiché tale forma di lotta è parte integrante del diritto di sciopero e della libera iniziativa sindacale, tutelate dagli articoli 39 e 40 della Costituzione.

Nel dispositivo Il GIP afferma ripetutamente che i diritti derivanti dalla proprietà privata e i profitti dei padroni devono “soccombere di fronte ai preminenti diritti e libertà previsti dagli articoli della superiore norma costituzionale che prevedono, per l’appunto, la libertà sindacale e il diritto di sciopero”. Come già argomentato dal PM nella richiesta di archiviazione, il picchettaggio è a tutti gli effetti un’attività “ancillare e corroborante” dello sciopero; bloccare le merci è il più delle volte una necessità oggettiva per far si che lo sciopero stesso abbia un senso e per impedire che i padroni ne vanifichino del tutto gli effetti per mezzo del crumiraggio. Su questo punto fondamentale la pronuncia del GIP è quantomai inequivocabile: “La semplice presenza in un picchetto di molte persone finalizzato ad ostacolare gli automezzi in entrata o in uscita dallo stabilimento industriale… non può integrare da sola una condotta penalmente rilevante in quanto si tradurrebbe in uno strumento di repressione della libertà sindacale e del diritto di sciopero e, in ultima analisi, in una misura antidemocratica”.3) Ma il ragionamento del GIP e del PM si spinge ben oltre questi pur importantissimi assunti, allorquando questi citano esplicitamente l’art. 51 del codice penale (il quale recita testualmente: “L’esercizio di un diritto o l’adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica Autorita’, esclude la punibilita’)” per considerare i picchetti come azioni soggette a una vera e propria scriminante. In questo caso il giudice di Milano afferma a nostro avviso un principio complementare a quello dichiarato dal Tribunale della libertà di Bologna in occasione del provvedimento di scarcerazione di Aldo Milani, Mohamed Arafat, Carlo Pallavicini e Bruno Scagnelli per l’inchiesta scaturita dagli scioperi a Piacenza: in quella occasione i giudici, facendo leva sulla distinzione tra “reati-mezzo” e “reati-fine”, affermarono a chiare lettere che una condotta pur penalmente rilevante in termini generali ed astratti, qualora venga agita in nome della difesa di diritti fondamentali come lo sciopero e l’attività sindacale, non possono in alcun modo integrare il reato di “associazione a delinquere”, anche nel caso in cui tali condotte siano reiterate nel tempo.

Il GIP di Milano nel richiamare espressamente l’art.51 non solo ribadisce la non punibilità dei picchetti in quanto parte dell’esercizio del diritto di sciopero, ma finisce anche per “evocare” un principio da noi spesso affermato e rivendicato in risposta ai teoremi repressivi, e cioè la legittimità dei picchetti quale azione necessaria per imporre ai padroni il rispetto dei contratti nazionali, dei diritti dei lavoratori e della loro dignità, su tutti il diritto a una retribuzione dignitosa, alla libertà sindacale e al rispetto delle normative sulla sicurezza: diritti che nelle leggi borghesi restano solo sulla carta, mentre nei fatti vengono sistematicamente e impunemente calpestati dai padroni!

Come argomentato dal PM nella sua richiesta di archiviazione formulata al GIP, nel caso della Unes “non sono stati messi concretamente in pericolo, ne tantomeno lesi, i beni rientranti nell’alveo della vita e dell’incolumità fisica delle controparti”. Tradotto in soldoni: un picchetto può essere considerato illegale solo se mette a repentaglio i beni “vitali” o la vita stessa dei padroni, non certo le merci ne tantomeno i loro profitti…4) in ultimo, il dispositivo si pronuncia anche sulla questione del blocco stradale così come riformato dal “decreto sicurezza Salvini” del 2018.

Il blocco stradale, afferma il GIP, è punibile solo e soltanto qualora i manifestanti depongano volontariamente oggetti e masserizie sul manto stradale al fine di bloccare la circolazione, mentre quando essi lo ostruiscono “con il proprio corpo” non può considerarsi reato, ma al massimo un illecito amministrativo. Non solo: anche in relazione a quest’ultima ipotesi, nel caso degli scioperi alla Unes (così come in migliaia di picchetti analoghi) il GIP dubita che possa parlarsi di blocco stradale vero e proprio, in quanto l’unica porzione di pubblica via interrotta al traffico era quella “antistante agli ingressi del polo logistico”.

Di seguito il commento del nostro legale Eugenio Losco al decreto di archiviazione:

“Il giudice per le indagini preliminari di Milano con il decreto di archiviazione del 16 ottobre scorso ha chiarito in maniera precisa i margini legali per la contestazione del reato di violenza privata in occasione di uno sciopero dei lavoratori presso i cancelli di una azienda. La presenza davanti ai cancelli dei lavoratori i quali si limitano alla semplice ostruzioni dei cancelli dello stabilimento con la loro presenza fisica, senza porre in atto condotte minacciose o violente nei confronti di cose o persone, non può integrare il reato di violenza privata. Ciò che caratterizza tale reato è infatti che la costrizione, l’impedimento sia concretamente posto in essere mediante condotte qualificabili in termini di violenza o minaccia. Si tratta di un reato a forma vincolata per la cui sussistenza è necessario dunque che la condotta impeditiva sia posta in essere con quelle precise modalità. Non è sufficiente dimostrare che l’azione degli agenti abbia determinato, come nel caso di specie, l’impedimento del passaggio dei camionisti attraverso i cancelli dello stabilimento produttivo. Il picchettaggio realizzato dunque attraverso la semplice ostruzione dei cancelli da parte dei lavoratori con la propria presenza fisica è da ricondursi ad un esercizio legittimo del diritto di sciopero previsto all’art. 40 dalla nostra carta costituzionale. Si tratta di una decisione in linea con la giurisprudenza più recente di molti tribunali di merito che hanno più volte riconosciuto che l’attività posta in essere dai lavoratori in occasione di scioperi davanti ai cancelli non possa integrare il reato di violenza privata in assenza di condotte violente o minacciose in quanto in caso contrario si porrebbe in essere una forte limitazione del diritto costituzionalmente tutelato di sciopero”.

Non è certo la prima volta che i padroni e le forze dell’ordine escono sonoramente sconfitti dal SI Cobas anche nelle aule di tribunale. Tuttavia, la particolarità e la rilevanza di questo decreto di archiviazione sta nella chiarezza e nella puntualità delle argomentazioni in termini giuridici e dal loro carattere generale e “sistemico”, non limitate ai singoli fatti ed episodi che hanno contraddistinto la vertenza-Unes, bensì validi per la quasi totalità degli scioperi e dei picchetti condotti dal SI Cobas fin dalla sua nascita. Mentre i padroni e i loro leccapiedi da anni cercano in tutti i modi di rendere definitivamente illegali i picchetti operai, questo decreto sancisce ciò che come SI Cobas sosteniamo da sempre: criminalizzare questo strumento di lotta significa privare i lavoratori e il sindacato dell’unica arma che essi hanno a disposizione per contrastare i piani padronali.L’idea di “relazioni sindacali” che i padroni e le forze dell’ordine desiderano è simile a un match di pugilato nel quale uno dei due pugili (il lavoratore) è mandato sul ring a prendere pugni con le mani legate dietro la schiena: il SI Cobas da sempre denuncia in tutte le sedi che un simile “match” è truccato, e per questo ha sempre rifiutato di scendere a patti su questo terreno con i padroni e con le Questure e ha sempre rivendicato la totale liceità e legittimità del picchettaggio; merito del tribunale di Milano è di aver definitivamente accertato che abbiamo ragione, non solo politicamente ma (almeno per ora) anche in termini giuridici.

Ad uscire pesantemente ridimensionate da questa pronuncia non è soltanto la repressione poliziesca che in questi anni si è acccanita sistematicamente contro le lotte del SI Cobas, ma anche il “teorema-Ichino”, che voleva utilizzare questa dura e lunga vertenza come pretesto per criminalizzare ogni forma di conflittualità sui luoghi di lavoro e per cancellare definitivamente ogni margine di agibilità e di azione per il sindacalismo di classe.

Ma ad essere travolti e sbugiardati da questo decreto di archiviazione sono soprattutto quei “sindacati” complici e collusi coi padroni (Cgil- Cisl- Uil in primis), i quali da decenni costringono i lavoratori ad ingoiare passivamente ogni forma di sopruso padronale inculcandogli l’idea che “il picchetto è una forma di lotta illegale”. Il dispositivo del GIP Cardamone ha dimostrato una volta e per tutte che queste sono solo leggende metropolitane, utili alla Digos e ai padroni per terrorizzare i lavoratori e disarmare le lotte, e ai bonzi sindacali per continuare indisturbati ad andare a braccetto coi padroni.

Infine, sarebbe il caso che anche alcune sigle del sindacalismo “di base”, che in questi anni hanno bollato come “velleitari” o “avventuristi” i picchetti condotti dal SI Cobas invitando i propri lavoratori a forme di lotta più “prudenti” e/o “dentro i limiti di legge”, studiassero attentamente il testo di questo dispositivo: forse finalmente capirebbero che per la difesa effettiva dei lavoratori è più utile, efficace e perfino legittimo lottare anche in maniera dura e accollandosi il rischio di un processo penale, piuttosto che limitarsi ad invocare la “costituzione più bella del mondo” e/o demandare ogni vertenza a cause di lavoro destinate, spesso e volentieri, a restare congelate per anni nella cancelleria di un tribunale…

CONTRO LO SFRUTTAMENTO E I SALARI DA FAME

PICCHETTARE NON È REATO

SI Cobas nazionale

Nel video, uno degli scioperi dai cancelli Unes in cui la polizia ha usato violenza contro i lavoratori licenziati attaccando il picchetto: