Riceviamo e pubblichiamo questo contributo dei compagni della redazione Il Pungolo Rosso, già disponibile sul loro sito (vedi qui):
Ci è stata segnalata, e la riprendiamo, questa prima, dettagliata inchiesta sull’attacco palestinese del 7 ottobre scorso, fondata in larga parte sulla documentazione del quotidiano israeliano Haaretz e su dichiarazioni di donne israeliane fatte prigioniere. Non siamo in grado di avere una nostra ricostruzione di prima mano, e siamo ben coscienti che una guerra è una guerra con tutte le sue atrocità, e questa di sicuro, da più di 75 anni, è una guerra, di oppressione coloniale e di sterminio da un lato, di liberazione nazionale dall’altro; ma questa ricostruzione, con le molteplici smentite della narrazione di stato israeliana e occidentale che contiene, fa capire – a chi vuol capire – a cosa sia servita la catena di false notizie diffuse in tutto il mondo dai mass media asserviti: a legittimare lo spaventoso eccidio in corso da giorni a Gaza. Sulla più infame di queste false notizie (i 40 bambini “decapitati”) abbiamo pubblicato negli scorsi giorni dei materiali.
Redazione Il Pungolo Rosso
COS’E ACCADUTO REALMENTE IL 7 OTTOBRE
Robert Inlakesh e Sharmine Narwani
24 ottobre 2023
Stanno emergendo prove che più della metà degli israeliani uccisi erano combattenti; che le forze israeliane sono state responsabili della morte di alcuni dei loro stessi civili; e che Tel Aviv ha diffuso false storie sulle “atrocità di Hamas” per giustificare il suo devastante attacco aereo contro i civili palestinesi a Gaza.
Due settimane dopo l’assalto di Hamas contro Israele il 7 ottobre, un quadro più chiaro di ciò che è accaduto, chi è morto e chi ha ucciso, sta ora cominciando a emergere.
Invece del massacro di civili su vasta scala rivendicato da Israele, i dati parziali pubblicati dal quotidiano ebraico Haaretz mostrano che quasi la metà degli israeliani uccisi quel giorno erano in realtà combattenti: soldati o poliziotti.
Nel frattempo, due settimane di generalizzate notizie da parte dei media occidentali secondo cui Hamas avrebbe ucciso circa 1.400 civili israeliani durante il suo attacco militare del 7 ottobre sono servite ad infiammare gli animi e a creare il clima per la distruzione incontrollata della Striscia di Gaza e della sua popolazione civile da parte di Israele.
I resoconti del bilancio delle vittime israeliane sono stati filtrati e distorti per suggerire che quel giorno si sia verificato un massacro di civili su larga scala, con neonati, bambini e donne come i principali obiettivi di un attacco terroristico.
Ora, le statistiche dettagliate sulle vittime pubblicate dal quotidiano israeliano Haaretz dipingono un quadro completamente diverso. A partire dal 23 ottobre, il quotidiano ha rilasciato informazioni su 683 israeliani uccisi durante l’attacco guidato da Hamas, compresi i loro nomi e i luoghi della loro morte il 7 ottobre.
Di queste, 331 vittime, ovvero il 48,4%, sono state confermate essere soldati e agenti di polizia, molti dei quali donne. Altri 13 sono descritti come membri del servizio di soccorso, e i restanti 339 sono apparentemente considerati civili.
Sebbene questo elenco non sia completo e rappresenti solo circa la metà del bilancio delle vittime dichiarato da Israele, quasi la metà delle persone uccise nello scontro sono chiaramente identificate come combattenti israeliani.
Inoltre, finora non sono stati registrati decessi di bambini di età inferiore ai tre anni, il che mette in discussione la narrativa israeliana secondo cui i bambini erano presi di mira dai combattenti della Resistenza Palestinese. Delle 683 vittime totali segnalate finora, sette erano di età compresa tra 4 e 7 anni e nove di età compresa tra 10 e 17 anni. Le restanti 667 vittime sembrano essere adulti.
Il numero e la percentuale di civili e bambini palestinesi tra quelli uccisi dai bombardamenti israeliani nelle ultime due settimane, oltre 5.791 morti, inclusi 2.360 bambini e 1.292 donne, e più di 18.000 feriti, sono di gran lunga superiori a qualsiasi di queste cifre israeliane emerse dagli eventi del 7 ottobre.
ANALIZZARE DI NUOVO GLI EVENTI
L’audace Operazione militare guidata da Hamas, nome in codice Onda di Al-Aqsa, si è svolta con un drammatico attacco all’alba intorno alle 6:30 (ora della Palestina) del 7 ottobre. L’attacco è stato accompagnato da un frastuono di sirene che hanno rotto il silenzio della Gerusalemme Occupata, segnalando l’inizio di quello che è diventato un evento straordinario nei 75 anni di storia dello Stato di Occupazione.
Secondo il portavoce dell’ala armata di Hamas, le Brigate Al-Qassam, circa 1.500 combattenti palestinesi hanno attraversato la formidabile barriera di separazione Gaza-Israele.
Tuttavia, questa irruzione non si è limitata alle sole forze di Hamas; numerosi combattenti armati appartenenti ad altre fazioni come la Jihad Islamica Palestinese (PIJ) hanno successivamente violato la linea dell’armistizio, insieme ad alcuni palestinesi non affiliati ad alcuna milizia organizzata.
Quando è diventato evidente che non si trattava di una normale Operazione di Resistenza, centinaia di video hanno rapidamente inondato i social media, raffiguranti truppe e coloni israeliani morti, feroci scontri a fuoco tra varie parti e israeliani catturati e portati a Gaza.
Questi video sono stati girati con i telefoni israeliani o diffusi da combattenti palestinesi che filmavano la loro stessa Operazione. Fu solo qualche ora dopo che iniziarono ad emergere le accuse più raccapriccianti e decisamente dubbie.
ACCUSE INFONDATE DI “ATROCITÀ DI HAMAS”
Aviva Klompas, ex autrice di discorsi per la missione israeliana alle Nazioni Unite, è stata la prima israeliana autorevole a diffondere la notizia secondo cui c’erano notizie di “ragazze israeliane violentate e i loro corpi trascinati per strada”.
Ha pubblicato questo post su X (ex Twitter) alle 21:18 (ora della Palestina), il 7 ottobre, sebbene un editoriale di Klompas pubblicato su Newsweek alle 00:28 (ora della Palestina), l’8 ottobre, non facesse menzione di alcuna violenza sessuale.
Klompas è anche la co-fondatrice di Boundless Israel, un “gruppo di pensiero attivo” che lavora “per rivitalizzare l’istruzione in Israele e intraprendere azioni collettive coraggiose per combattere l’odio verso gli ebrei”. Un gruppo di beneficenza “impenitentemente sionista” che lavora per promuovere le narrazioni israeliane sui social media.
L’unico caso pubblicizzato come prova di stupro era quello di una giovane donna tedesco-israeliana di nome Shani Louk, che è stata filmata a faccia in giù nel retro di un camioncino e creduta morta.
Non era chiaro se i combattenti filmati con Louk nel veicolo diretto a Gaza fossero membri di Hamas, poiché non indossavano le uniformi o le insegne delle truppe di Al-Qassam identificabili in altri video di Hamas, alcuni indossavano addirittura abiti civili e sandali.
Più tardi, sua madre affermò di avere le prove che sua figlia era ancora viva, ma aveva subito una grave ferita alla testa. Ciò risulta vero dalle informazioni rilasciate da Hamas secondo le quali Louk era in cura per le sue ferite in un non meglio specificato ospedale di Gaza.
A complicare ulteriormente le cose, il giorno in cui sono emerse queste accuse di stupro, gli israeliani non avrebbero avuto accesso a queste informazioni. Le loro forze armate non erano ancora entrate in molte, se non nella maggior parte, delle aree liberate dalla Resistenza ed erano ancora impegnate in scontri armati con loro su più fronti.
Tuttavia, queste accuse di stupro hanno preso vita propria, tanto che lo stesso Presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha affermato, durante un discorso giorni dopo, che le donne israeliane erano state “violentate, aggredite e sfoggiate come trofei” dai combattenti di Hamas. È importante notare che l’articolo di The Forward (l’Avanti) dell’11 ottobre riportava che l’esercito israeliano aveva riconosciuto di non avere prove di tali accuse in quel momento.
Quando in seguito l’esercito fece le proprie accuse di decapitazioni, amputazioni e stupri, la Reuters sottolineò che “il personale militare che supervisionava il processo di identificazione non presentava alcuna prova forense sotto forma di immagini o referti clinici”. Ad oggi non è stata presentata alcuna prova credibile di queste atrocità.
Altre accuse oltraggiose, come la storia che Hamas “ha decapitato 40 bambini”, hanno fatto notizia e riempito le prime pagine di innumerevoli giornali occidentali. Perfino Biden ha affermato di aver visto “foto di terroristi che decapitano bambini”. Le affermazioni risalgono al colono e soldato riservista israeliano David Ben Zion, che in precedenza aveva istigato violenti attacchi contro i palestinesi e chiesto che la città di Huwara in Cisgiordania fosse spazzata via. Non è mai stata prodotta alcuna prova a sostegno di queste affermazioni e la stessa Casa Bianca ha confermato in seguito che Joe Biden non aveva mai visto foto del genere.
IL PIANO DI HAMAS
Ci sono poche o nessuna prova credibile che i combattenti palestinesi avessero un piano per, o deliberatamente cercato di, uccidere o danneggiare i civili israeliani disarmati il 7 ottobre. Dai filmati disponibili, vediamo che si sono impegnati principalmente con le forze armate israeliane, causando la morte di centinaia di soldati di occupazione. Come ha chiarito il 12 ottobre il Portavoce delle Brigate Qassam, Abu Obeida:
“L’Operazione Onda di Al-Aqsa mirava a distruggere la Divisione Gaza (un’unità dell’esercito israeliano ai confini di Gaza) che è stata attaccata in 15 punti, seguita dall’attacco di altri 10 obiettivi militari. Abbiamo attaccato il sito di Zikim e diversi altri insediamenti fuori dal quartier generale della Divisione Gaza”.
Abu Obeida e altri funzionari della Resistenza affermano che l’altro obiettivo chiave della loro operazione era prendere prigionieri israeliani da poter scambiare con i circa 5.300 prigionieri palestinesi detenuti nelle carceri israeliane, molti dei quali sono donne e minori.
Il vice capo dell’ufficio politico di Hamas Saleh Al-Arouri, in un’intervista dopo l’Operazione, ha sottolineato: “Abbiamo un numero elevato e qualitativo di alti ufficiali. Tutto quello che possiamo dire ora è che la libertà dei nostri prigionieri è a portata di mano”.
Entrambe le parti giocano a questo gioco: dall’inizio dell’assalto militare a Gaza, Israele ha rastrellato e imprigionato più di 1.200 palestinesi nella Cisgiordania Occupata. Ad oggi ci sono stati 38 accordi di scambio di prigionieri tra le fazioni della Resistenza e Tel Aviv, accordi a cui gli israeliani spesso resistono fino all’ultimo minuto.
Mentre arrivano queste testimonianze, stanno emergendo rapporti secondo cui le autorità israeliane hanno intensificato i maltrattamenti, le torture e persino l’uccisione dei prigionieri palestinesi sotto la loro custodia, una violazione delle Convenzioni di Ginevra, che, ironicamente, un attore non statale come Hamas sembra aver seguito alla lettera.
In relazione agli eventi del 7 ottobre, ci sono sicuramente alcuni video che ritraggono israeliani forse disarmati, uccisi nei loro veicoli o all’ingresso delle strutture, affinché le truppe palestinesi potessero accedervi.
Ci sono anche video che mostrano i combattenti impegnati in sparatorie con le forze armate israeliane, mentre nel mezzo c’erano israeliani disarmati che si mettevano al riparo, oltre a video di combattenti che sparavano verso le case e lanciavano granate nelle aree fortificate. Le testimonianze oculari suggeriscono anche che le granate siano state lanciate nei rifugi antiaerei, anche se non è chiaro da chi.
Anche durante il “festival di pace” israeliano, che è stato citato come l’attacco più mortale commesso dai combattenti palestinesi durante la loro operazione, sono emersi video che sembravano mostrare le forze israeliane che aprivano il fuoco attraverso una folla di civili disarmati, verso obiettivi che credevano fossero membri di Hamas. ABC News ha anche riferito che un carro armato israeliano si era diretto verso il luogo del festival.
UN MASSACRO ISRAELIANO NEL KIBBUTZ BE’ERI?
Nel suo rapporto sugli eventi del Kibbutz Be’eri, la ABC News ha fotografato pezzi di artiglieria simili a munizioni israeliane all’esterno di una casa bombardata. Il giornalista David Muir ha riferito che in seguito all’attacco sono stati ritrovati combattenti di Hamas, coperti da teli di plastica.
Inoltre, i video della scena mostrano case che sembrano essere state colpite da munizioni che i combattenti di Hamas non posseggono. Muir ha riferito che circa 14 persone sono state tenute in ostaggio in un edificio da combattenti palestinesi.
Un articolo di Haaretz in lingua ebraica pubblicato il 20 ottobre, che appare solo in inglese in un articolo di Mondoweiss da leggere assolutamente, dipinge una storia molto diversa di ciò che accadde a Be’eri quel giorno. Un residente del Kibbutz che era lontano da casa, la cui compagna è stata uccisa nello scontro, rivela nuovi sorprendenti dettagli:
“Gli trema la voce quando gli viene in mente la sua compagna, che in quel momento era assediata nella sua casa. Secondo lui, solo lunedì notte (9 ottobre) e solo dopo che i comandanti sul campo avevano preso decisioni difficili, compreso il bombardamento delle case con tutti i loro occupanti all’interno per eliminare i terroristi insieme agli ostaggi, l’IDF ha ripreso completamente il controllo del kibbutz. Il prezzo fu terribile: furono uccise almeno 112 persone a Be’Eri. Altri sono stati rapiti. Ieri, 11 giorni dopo il massacro, in una delle case distrutte sono stati scoperti i corpi di una madre e di suo figlio. Si ritiene che altri corpi giacciano ancora tra le macerie”.
Le prove fotografiche della distruzione di Be’Eri confermano il suo racconto. Solo le munizioni pesanti dell’esercito israeliano avrebbero potuto distruggere le abitazioni in questo modo.
COMPORTAMENTI DI HAMAS: PROVE CONTRO ACCUSE
Yasmin Porat, una sopravvissuta del Kibbutz Be’eri, ha detto in un’intervista per un programma radiofonico israeliano, condotto dall’emittente di Stato Kan, che le forze israeliane “hanno eliminato tutti, compresi gli ostaggi”, affermando inoltre che “c’era un fuoco incrociato molto, molto pesante” e persino bombardamenti di carri armati.
Porat aveva partecipato al festival di Nova e aveva testimoniato del trattamento umano ricevuto durante le diverse interviste condotte con i media israeliani. Ha spiegato che quando è stata tenuta prigioniera, i combattenti di Hamas “sono stati civili”, dicendole in ebraico: “Guardami bene, non ti uccideremo. Vogliamo portarti a Gaza. Non ti uccideremo. Quindi stai calma, non morirai. Ha anche aggiunto quanto segue:
“Ci davano da bere quando avevamo sete. Quando vedevano che eravamo nervosi ci rassicuravano. È stato molto spaventoso ma nessuno ci ha maltrattato. Fortunatamente non mi è successo niente di simile a quello che ho sentito dai media”.
Sempre più spesso, e con orrore di alcuni funzionari e organi di stampa israeliani, testimoni oculari israeliani e sopravvissuti allo spargimento di sangue testimoniano di essere stati trattati con umanità dai combattenti palestinesi. Il 24 ottobre, l’emittente di stato israeliana Kan ha lamentato il fatto che all’ostaggio Yocheved Lifshitz, rilasciata da Hamas il giorno prima, sia stato permesso di rilasciare dichiarazioni in diretta.
Mentre veniva consegnata agli intermediari della Croce Rossa, l’anziana prigioniera israeliana è stata ripresa dalla telecamera mentre si voltava per stringere la mano del suo rapitore di Hamas nel suo ultimo addio. La trasmissione in diretta di Lifshitz, in cui ha parlato del suo calvario durato due settimane, ha “umanizzato” ancora di più i suoi rapitori di Hamas mentre raccontava la sua vita quotidiana con i combattenti:
“Sono stati molto gentili. Si sono presi cura di noi. Ci hanno dato delle medicine e siamo stati curati. Uno degli uomini con noi è rimasto gravemente ferito in un incidente in moto. I loro paramedici (di Hamas) si sono presi cura delle sue ferite, gli hanno dato medicine e antibiotici. Le persone erano amichevoli. Hanno mantenuto il posto molto pulito. Erano molto preoccupati per noi”.
PIÙ DOMANDE CHE RISPOSTE
È essenziale riconoscere che in molti resoconti dei giornalisti occidentali sul campo, la maggior parte delle informazioni riguardanti le azioni dei combattenti di Hamas provengono dall’esercito israeliano, un partecipante attivo al conflitto.
Le prove emergenti ora indicano che esiste un’alta probabilità, soprattutto a causa dell’entità dei danni infrastrutturali, che le forze militari israeliane possano aver deliberatamente ucciso prigionieri, sparato su obiettivi sbagliati o scambiato israeliani per palestinesi nei loro scontri a fuoco. Se l’unica fonte di informazione per una grave affermazione fatta è l’esercito israeliano, allora bisogna tener conto del fatto che ha motivo di nascondere i casi di fuoco amico.
Il fuoco amico israeliano dilagava anche nei giorni successivi da parte di un esercito con pochissima esperienza di combattimento reale. Nella città di Ashkelon (Askalan) l’8 ottobre, soldati israeliani hanno ucciso a colpi d’arma da fuoco e gridato insulti al corpo di un uomo che credevano fosse un combattente di Hamas, ma in seguito si sono resi conto di aver giustiziato un israeliano. Questo è solo uno dei tre esempi di fuoco amico avvenuti in un giorno, che hanno provocato l’uccisione di israeliani da parte delle loro stesse truppe.
Nella nebbia della guerra, le parti in conflitto hanno prospettive diverse su ciò che è accaduto durante l’attacco iniziale e sulle sue conseguenze. Non è in discussione il fatto che i gruppi armati palestinesi abbiano inflitto perdite significative all’esercito israeliano, ma nelle settimane e nei mesi a venire sarà in corso un ampio dibattito su tutto il resto.
È urgentemente necessaria un’indagine internazionale indipendente e imparziale, che abbia accesso alle informazioni di tutte le parti coinvolte nel conflitto. Né gli israeliani né gli americani saranno d’accordo su questo, il che di per sé suggerisce che Tel Aviv ha molto da nascondere.
Nel frattempo, i civili palestinesi a Gaza subiscono attacchi continui e indiscriminati con le armi pesanti più sofisticate esistenti, vivendo sotto la minaccia persistente di sfollamento forzato e potenzialmente irreversibile. Questo bombardamento aereo israeliano è stato reso possibile solo dal flusso di storie infondate sulle “atrocità di Hamas” che i media hanno cominciato a diffondere a partire dal 7 ottobre.
Robert Inlakesh è un analista politico, giornalista e regista di documentari attualmente residente a Londra, Regno Unito. È stato corrispondente e residente nei Territori Palestinesi Occupati e ha lavorato con RT, Mint Press, MEMO, Quds News, TRT, Al-Mayadeen English e altri.
Sharmine Narwani è un socio anziano al St. Antony’s College, Università di Oxford.
Fonte: https://new.thecradle.co/articles/what-really-happened-on-7th-october