Riceviamo e pubblichiamo questo contributo dai compagni della redazione Il Pungolo Rosso, già disponibile sul loro sito (vedi qui):
In un sacco e una sporta di analisi e/o denunce delle guerre in Ucraina e in Palestina scompaiono sistematicamente l’Italia e l’industria bellica italiana. Tutti gli strali sono puntati verso il “male assoluto” d’Oltreoceano: gli Stati Uniti d’America, senz’alcun dubbio l’imperialismo n. 1 e la fonte prima – ma non certo unica – dell’attuale corsa alla guerra, in quanto massima espressione statuale delle leggi inesorabili del modo di produzione capitalistico, immerso in una crisi di portata storica.
Sicché – oltre noi internazionalisti, che picchiamo con metodo sul principio politico guida per i rivoluzionari doc “il primo e principale nemico è qui, nel ‘nostro’ paese” – ad occuparsi dell’industria bellica italiana e del suo ruolo nel mondo come attizzatrice e profittatrice di guerre reazionarie, restano quasi solo alcuni autentici pacifisti. Che saranno magari ingenui nell’ipotizzare la possibilità di una riconversione di questa industria sotto il capitalismo, ovvio, ma almeno non sono né social-nazionalisti, né nazional-socialisti (a proposito di “sovranismi anti-americani”, avete preso nota dell’incontro tra Marco Rizzo e Gianni Alemanno?). Non è tutto, sbraiteranno gli arcicomunisti (ciarlo-comunisti) da tastiera, quelli che se la farebbero sotto alla sola vista di un manganello (per questo evitano prudentemente le piazze reali preferendo i cortiletti virtuali); non è tutto, lo sappiamo bene, ma è qualcosa.
Di uno di loro, Renato Franzitta, riprendiamo qui la presentazione dell’industria bellica italiana, sesta esportatrice di armi nel mondo, che è stata segnalata sulla Bottegadel Barbieri. A seguire una breve nota informativa di un’altra pacifista, Martina Toti, sulle forniture di armi dell’Italia ad Israele – a proposito, proprio due giorni fa, il 15 novembre 2023, da Sigonella sono partiti i droni Global Hawks per missioni spia sul Libano e la Siria meridionale, mentre nei giorni precedenti si erano levati in volo i pattugliatori Poseidon. Pure su questo fronte l’Italia è in guerra, e non da oggi. Benché compaia sui giornali qualche spudorato trafiletto secondo cui l’esportazione di armi italiana verso Tel Aviv si è fermata il 7 ottobre: ma pensa te!
Siamo davvero in pochi a battere sul tasto dell’imperialismo italiano e della sua assai strutturata industria bellica, quasi tutti gli altri vedono solo lo zio Sam. Magari speravano in un po’ di “sovranismo” in più della Meloni, proprio come Landini sperava che la stessa Meloni sconfessasse Salvini sulla precettazione: a questo sono ridotti…
Redazione Il Pungolo Rosso
L’INDUSTRIA BELLICA ITALIANA LEADER MONDIALE
L’Italia è il sesto esportatore mondiale di armi dopo Stati Uniti, Russia, Francia, Cina, Germania ed esporta sistemi bellici nei Paesi coinvolti nei vari conflitti.
di Renato Franzitta (*)
Stiamo vivendo uno dei periodi più bui dalla fine del secondo conflitto mondiale. Teatri di guerra si sono aperti in diverse parti del Pianeta. Mentre il conflitto in Ucraina interessa direttamente la sicurezza e la stabilità economica di tutto il continente europeo, fronti di guerra prossimi al nostro Paese non si sono mai sopiti: Nord Africa, Caucaso, Balcani, Medio Oriente, Palestina. In tutti questi fronti c’è la presenza di armi e tecnologie avanzate di provenienza italiana.
L’industria italiana è direttamente interessata alle politiche di guerra con un sempre maggiore coinvolgimento attivo. L’Italia è il sesto esportatore mondiale di armi dopo Stati Uniti, Russia, Francia, Cina, Germania. Stando ai dati governativi ufficiali sui movimenti economici nel campo delle spese militari, l’Italia ha esportato sistemi bellici nei Paesi coinvolti nei vari conflitti. Infatti nel 2021 – fonte:economy magazine – ha concluso affari per la vendita di armi con 92 Paesi, in particolar modo con quelli della Nato (il 52% delle transazioni), ma non solo. Tra i clienti più importanti dell’Alleanza Atlantica troviamo gli Stati Uniti, il Regno Unito, il Canada, la Norvegia, la Turchia, l’Albania e la Macedonia del Nord. Fra i maggiori partner dell’export del comparto bellico italiano v’è l’Egitto di Al Sisi (anche se dal 2021 l’aumento di vendite più significativo registrato è col Qatar) e a seguire Turchia e Kuwait.
Già dall’inizio delle guerra in Ucraina è tornato al centro del dibattito pubblico il tema della spesa militare e dei proventi delle industrie belliche. In questo settore produttivo di morte il ns. paese vanta un ruolo di spicco. In sostanza, con il conflitto in Europa si è solo contribuito alla produzione di armi in giro per il mondo e ad incrementare i profitti della fabbrica bellica. Secondo fonti dell’Università di Padova, il primo Paese destinatario delle “nostre” forniture di armamenti è l’Egitto, al secondo posto ci sono gli Stati Uniti, seguiti dal Regno Unito e dal Qatar. Anche le esportazioni intra-Ue hanno un valore non di poco conto.
L’Africa settentrionale ed il Medio Oriente raccolgono il 38,57% delle esportazioni (Egitto in primis); i Paesi UE e membri europei della NATO il 32,1%; l’America settentrionale, quindi di fatto gli Stati Uniti, l’11,77%; mentre l’intera Asia solo il 9,48%. Verso l’Egitto l’industria nazionale esporta armi e munizioni di diversa tipologia. Nella relazione inviata alla Camera dei deputati si può leggere che in Egitto arrivino armi di calibro superiore ai 12,7 mm, munizioni, bombe, siluri, razzi, missili con relativi accessori, esplosivi, navi da guerra, aeromobili, apparecchiature elettroniche e specializzate per l’addestramento, software e apparecchiature utili per la produzione stessa di armi.
L’esportazione di armamenti riguarda anche le repubbliche ex sovietiche legate alla Russia di Putin come il Kazakistan, verso il quale l’Italia ha esportato forniture militari di piccola taglia. In Kazakistan, infatti, sono arrivate armi automatiche di calibro uguale o inferiore ai 12,7 mm e relative munizioni. Sono esportazioni effettuate principalmente da due aziende italiane: la Fiocchi e la Beretta. La prima (è una società di armi e munizioni, fondata da Giulio Fiocchi nel 1876 a Lecco), secondo la relazione consegnata alla Camera dei deputati, ha avuto tre commesse in Kazakistan, dove ha esportato 32mila cartucce calibro 5.56 e 4.015 cartucce calibro 12 per canna liscia. La seconda azienda che ha esportato armi o munizioni in Kazakistan nel 2020 è la Beretta: le commesse più grandi hanno riguardato complessivamente l’export di pistole mitragliatrici PMX calibro 9×19, parti di ricambio e caricatori per la stessa arma; fucile automatico d’assalto mod. Arx 160 calibro 7,6x39mm ed un similare fucile d’assalto calibro 5,6 Nato modello Arx-160.
Leggiamo da forzeitaliane.it/Difesa-militare quanto segue: ”La necessità sempre crescente di avere a disposizione un’industria della difesa all’avanguardia e competitiva è quanto mai stringente. Lo scoppio del conflitto russo-ucraino e ancora prima le tensioni a livello globale pongono il nostro Paese in una posizione di forza per quanto riguarda il ruolo sul mercato internazionale.
Il merito del primato italiano nel settore della difesa militare è sicuramente dovuto a gruppi come Leonardo e Fincantieri, ma anche a molte piccole e medie aziende che soddisfano, in termini di flessibilità e affidabilità, le richieste dei clienti. Tra i punti di forza della nostra industria bellica vi è l’unanime riconoscimento che l’Italia è un partner credibile e preciso.” Il Presidente dell’AIAD (Aziende Italiane per l’Aerospazio, la Difesa e la Sicurezza) Guido Crosetto (Ministro della Difesa del Governo Meloni) ha evidenziato come il settore della difesa militare – in generale – contribuisca per buona parte all’economia italiana.
Secondo un’indagine condotta da Prometeia in collaborazione con l’AIAD (e ripresa dal Messaggero) nel 2019 la difesa militare ha sfiorato i 16 miliardi di fatturato, impiegando oltre 50 mila addetti diretti qualificati di cui 22mila nelle aree del Nord Ovest e 14mila nel Mezzogiorno, generando 15 miliardi di euro di valore aggiunto nell’economia nazionale.
I 17mila addetti impegnati nella R&S (Ricerca & Sviluppo) consentono alla filiera italiana di posizionarsi ai vertici mondiali per innovazione e brevettazione nel campo tecnologico diretto: “Un punto di forza per l’intero sistema Italia – ha evidenziato ancora Crosetto – perché sempre più spesso le innovazioni tecnologiche rilevanti anche per il mondo civile sono di derivazione militare”.
Importante per l’industria bellica italiana è anche la cooperazione con gli Stati europei. Con Regno Unito e Svezia porta avanti il progetto dei sistemi Tempest, e l’European Patrol Corvette per navi in grado di svolgere missioni tattiche e strategiche. In fase avanzata è il progetto Eurodrone al quale partecipa Leonardo e che avrà un motore italiano, il Catalyst turboelica prodotto da Avio Aero, controllata da GE Aviation.
Da notare che il consorzio missilistico italo-franco-britannico Mbda, di cui Leonardo detiene il 25% di capitale, è in grado di competere con gli USA. Non a caso lo scorso anno il consorzio ha superato i 4 miliardi di ricavi e che la filiale italiana nel 2022 ha conseguito 1 miliardo di ricavi.
Fra accordi già in essere o in via di definizione, ci sono anche quelli con: Israele (settore aeronautica, elettronica della difesa e cybersecurity); Qatar (settore navale e terrestre, con la possibilità di realizzare piattaforme anfibie SuperAv 8X8 del consorzio Iveco Defence Vehicles – Oto Melara); Brasile (settore blindati); India (con la speranza che, archiviate le tensioni degli ultimi anni – vedi caso dei Marò -, ci sia la possibilità di collaborare per produrre elicotteri e siluri).
Dal rapporto del Maeci, (Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale) i primi quattro operatori dell’industria bellica italiana sono: LEONARDO (31,58%), FINCANTIERI (25,27%), IVECO DEFENCE VEHICLES (8,66%) e CALZONI (5,81%). Queste società da sole rappresentano circa il 71,32% del valore monetario degli scambi.
La Leonardo S.p.A. (ex Finmeccanica), controllata al 30% dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, è ai vertici dell’industria bellica italiana. Leonardo spa è la dodicesima impresa di difesa del mondo ed è la prima nell’Unione Europea.
I prodotti Leonardo sono particolarmente apprezzati in Turchia: un esempio sono gli elicotteri T129, prodotti in Turchia su licenza di Leonardo, basati sull’A129 Mangusta dell’italiana Agusta Westland (società del gruppo Leonardo) con sede in provincia di Varese; o ancora, gli aerei ATR72- 600 prodotti da un’altra società varesotta, Alenia Aermacchi, sempre del gruppo Leonardo, per la marina turca.
Del colosso Leonardo spa fanno parte la Oto Melara, la Agusta Westland, l’Alenia, Aermacchi, la Selex ES, la Wass. Fra le sue produzioni vi sono: gli elicotteri T129 e gli A129 Mangusta dell’italiana Agusta Westland; gli aerei ATR72-600 prodotti dall’Alenia Aermacchi. Del listino fa parte un lunghissimo armamentario di articoli prodotti dalla Oto Melara, Azienda sarda RWM Italia, IVECO DEFENCE VEHICLES. Inoltre dal rapporto ICAN 2019, la Leonardo spa risulta impegnata in armamenti nucleari attraverso la joint venture MBDA.
Nel giugno 2022 la controllata statunitense Leonardo DRS ha concordato l’acquisizione della controllata statunitense dell’azienda israeliana di radar e sistemi avionici RADA Eletronic Industries. Nel 2022, sempre per quanto riguarda Leonardo DRS, è perfezionata la cessione di Global Enterprise Solutions e della Joint Venture Advanced Acoustic Concepts a TDSI (controllata di Thales) e contemporaneamente l’acquisto del 25,1% (quota pari a quella detenuta dal governo tedesco) dell’azienda Hensoldt società nel campo dei sensori per applicazioni in ambito difesa e sicurezza. Insomma, per concludere, solo nel 2022 la sola Leonardo spa ha registrato un fatturato di 14,7 miliardi euro.
In questo clima sempre più arroventato, dove l’eco della guerra guerreggiata arriva quotidianamente nelle nostre case, dove i morti fra i civili si contano a migliaia, è di fondamentale importanza la campagna di riconversione dell’industria bellica nazionale in industria civile e di pace, a partire dalla Leonardo spa e dalla Fincantieri, nella consapevolezza che l’industria bellica ha bisogno come l’aria delle guerre e delle distruzioni per fare lucrosi affari.
(*) Link all’articolo originale: https://www.pressenza.com/it/2023/10/lindustria-bellica-italiana-leader-mondiale/
DALL’ITALIA A ISRAELE ARMI PER OLTRE 90 MILIONI DI EURO
– di MARTINA TOTI
[ da PALESTINA ISRAELE MEDIORIENTE ]
Guerra che vai, armi – italiane – che trovi. E così anche nel conflitto tra Israele e Palestina l’Italia gioca la sua parte. “Negli ultimi anni – denuncia la campagna Banche armate – i contratti per sistemi militari tra Italia e Israele hanno segnato un’impennata nonostante l’escalation delle violazioni da parte delle forze militari israeliane. Nell’ultimo quinquennio (2016-2020) l’Italia ha autorizzato esportazioni militari a Israele per un valore complessivo di oltre 90 milioni di euro che comprendono armi semiautomatiche, bombe e missili, strumenti per la direzione del tiro e apparecchi per l’addestramento militare.”
Un’escalation commerciale e armata iniziata con il governo Monti, nel 2012, quando dando seguito agli accordi presi dal precedente esecutivo Berlusconi, venne definito “il contratto per la vendita allo Stato d’Israele di 30 velivoli da addestramento avanzato M-346 della Alenia Aermacchi, azienda del gruppo Finmeccanica (oggi Leonardo S.p.A.): velivoli già predisposti nella versione da combattimento multi-ruolo ‘fighter attack’. Negli anni successivi – spiega ancora la Campagna che mette in evidenza anche il ruolo svolto dagli istituti di credito – le forniture di sistemi militari dall’Italia a Israele sono aumentate, ma non hanno segnato valori rilevanti fino al febbraio 2019 quando i ministeri della Difesa italiano e israeliano hanno firmato un accordo per l’acquisto di sette elicotteri AW119Kx d’addestramento avanzato per le forze aeree israeliane, del valore di 350 milioni di dollari, in cambio dell’acquisto da parte dell’Italia di un valore equivalente di tecnologia militare israeliana: nel settembre del 2020 sono stati aggiunti altri cinque elicotteri AW119Kx, per un totale di dodici.”