Benché coperte da un ferreo silenzio della stampa e delle tv di regime militarizzate, e sabotate dall’opportunismo politico e sindacale di forze, o debolezze, che continuano a dirsi “comuniste” o “anti-capitaliste”, ma non si sa perché, le due giornate di lotta in attiva solidarietà con il popolo e con la resistenza palestinese di venerdì 17 e sabato 18 novembre si chiudono con un bilancio decisamente positivo.
Da quanto tempo non c’era in Italia uno sciopero solo politico, e per di più non per fatti interni ma per avvenimenti internazionali, quindi uno sciopero internazionalista? Certo, anche la giornata di sciopero del 20 ottobre è stata indetta contro la guerra. Ma a questo tema si accompagnavano la lotta all’economia di guerra e la rivendicazione di forti aumenti salariali. Si univano in esso, cioè, tematiche sindacali e politiche. Lo sciopero del 17 novembre, invece, il SI Cobas l’ha concentrato sul solo obiettivo di fermare il genocidio del popolo palestinese da parte dello stato sionista e dei suoi padrini della NATO.
È stata una scelta coraggiosa che conferma l’anomalia che il SI Cobas rappresenta nel panorama sempre più esangue del cd. “sindacalismo di base”. Una scelta voluta con determinazione dai compagni della TIR, come si evince dall’intervista di Aldo Milani alla redazione del Pungolo rosso (che ha fatto il giro del mondo) (*). Una scelta accolta con molto favore dalla parte più avanzata dei proletari aderenti al SI Cobas che, specie nell’area di Bologna, hanno deciso di estendere lo sciopero all’intera giornata. Abbiamo risposto in questo modo agli appelli dei sindacati palestinesi e dei Giovani palestinesi d’Italia (GPI) ad “alzare il tiro” contro lo stato di Israele e i suoi complici, tra i quali l’Italia è da sempre in prima fila, andando a colpire direttamente i loro interessi nei luoghi di produzione e circolazione delle merci. Oltre gli scioperi nei magazzini della logistica, abbiamo organizzato il blocco del porto di Salerno che ha coinvolto numerosi lavoratori e disoccupati, e per alcune ore ha fermato i container della compagnia israeliana ZIM, attiva in tutta Europa nel trasporti di armi destinate all’esercito sionista, ed un presidio di denuncia dell’azienda israeliana di cybersecurity Tekapp a Modena.
Venerdì 17 è stata anche una giornata di mobilitazione nelle università e nelle scuole “per una Palestina libera”, proclamata dai GPI e da altri organismi studenteschi con l’occupazione dell’Orientale di Napoli, della Sapienza di Roma e degli atenei di Padova, Bologna, Macerata e Torino. Alla statale di Milano una folta assemblea di studenti ha bloccato la seduta del senato accademico dopo il rifiuto del rettore di prendere in considerazione la rottura dei legami con le università israeliane. Al centro delle proteste studentesche, che in qualche città hanno avuto seguito anche tra gli studenti medi, oltre all’immediato cessate il fuoco, c’è stata proprio la richiesta di interrompere ogni relazione con le istituzioni israeliane.
La manifestazione di sabato 18 a Bologna è stata il risultato della confluenza delle due iniziative, a cui abbiamo lavorato nelle scorse settimane. È stata una manifestazione molto partecipata (la questura, attraverso Il resto del Carlino, dà la cifra di 5.000, ma eravamo di più, con molta gente attenta ai lati del corteo nella sua parte finale), gremita di giovani, vivissima, senza un attimo di passività dall’inizio alla fine, conclusa con un lungo comizio pieno di interventi energici, fortemente caratterizzati in senso classista e internazionalista. Forse a Roma, il 28 ottobre, i numeri dei partecipanti erano un po’ maggiori – ma che differenza di contenuti tra le due manifestazioni! Perché una cosa è chiedere solo la tregua e appellarsi all’ONU, o ad un impossibile “diverso ruolo” dell’Italia e dell’UE, con varie prese di distanza esplicite o implicite dalla resistenza palestinese – posizioni fortemente presenti nella sezione italiana di quella manifestazione -; tutt’altra cosa è quanto si è detto sabato a Bologna. Piena solidarietà alle masse oppresse della Palestina e alla loro resistenza. Condanna senza appello non solo dell’operato dello stato colonialista, razzista e genocida di Israele ma di tutta la gang dei protettori e complici imperialisti di Israele, UE e Meloni in primo piano (“Meloni sionista, sei una della lista”, uno degli slogan gridati con più insistenza). Critica della passività e della complicità degli stati e dei governi arabi e “islamici”, e di altri falsi amici della causa palestinese. E soprattutto l’affermazione tante volte ripetuta che la sola forza che può imporre la fine del genocidio, la sola forza che può aiutare la resistenza palestinese a vincere, è quella dell’esercito degli sfruttati di tutto il mondo unito contro i signori della guerra e dello sfruttamento: i capitalisti, gli imperialisti.
Non ci nascondiamo che il nerbo di questa caldissima manifestazione, come pure degli scioperi operai e studenteschi di venerdì, era composto di proletari e di studenti di origini palestinesi e arabe, mentre la presenza di proletari e studenti italiani era ridotta, di sicuro assai inferiore alle necessità e all’urgenza drammatica del momento. Ma è altrettanto sicuro che queste due giornate hanno lanciato un segnale in Italia e a livello internazionale per potenziare e radicalizzare la solidarietà con la lotta degli oppressi palestinesi, a considerarla, a viverla come parte integrante della nostra lotta al sistema sociale capitalistico in quanto tale – dicui il colonialismo di insediamento di Israele è un’emanazione, della lotta per la liberazione di tutti gli sfruttati del mondo dal giogo del capitalismo.
A partire dall’autunno 2018 quando organizzammo a Roma una forte manifestazione contro i decreti Salvini, il razzismo di stato, arma dei padroni, e il governo trumpista Lega-Cinquestelle, abbiamo preso iniziative politiche che sono diventate riferimento per singoli compagni/e e forze organizzate più o meno piccole che intendono prendere sul serio la lotta al capitale globale e nazionale e alle sue istituzioni nazionali e internazionali, e/o cercano di emanciparsi dall’opportunismo – da ultimo la manifestazione contro le guerre del capitale a Ghedi, la principale base di attacco dell’aeronautica militare italiana, dove sono confluiti una pluralità di collettivi e di aree politiche su una piattaforma anti-militarista di impronta chiaramente disfattista. Ma per progredire il nostro piano di iniziativa ha bisogno di una forza organizzata che vada al di là di una piccola organizzazione di quadri, per quanto sperimentati essi siano nel vivo delle diverse forme della lotta al capitalismo, e al di là di un sindacato combattivo composto di qualche decina di migliaia di proletari in larga prevalenza immigrati. Ecco perché chiamiamo tutti coloro che hanno collaborato con noi negli scorsi anni, in particolare nella costruzione di Ghedi, a condividere la responsabilità del percorso di ulteriore ampliamento dell’attività che intendiamo proporre.
Qui sta la sfida, per noi: non accontentarci di essere stati e di essere, in Italia, il solo polo di iniziativa politica e sindacale che si sforza di essere coerentemente classista e internazionalista. Non farci chiudere nel ghetto – un ghetto che è costantemente sotto attacco, peraltro: basta pensare alle centinaia di licenziamenti annunciati da Leroy Merlin. Dobbiamo rifiutare la mentalità del ghetto, e guardare alle grandi masse di proletari e proletarie e di giovani tuttora maledettamente passivi, facendo ogni sforzo per stabilire un dialogo con loro. Non ci pare che questa passività si sia rotta con lo sciopero-non sciopero generale di CGIL-UIL cominciato venerdì scorso. Non bastano un paio di piazze numerose, o la piena adesione allo sciopero di qualche fabbrica di storica sindacalizzazione (la Fincantieri di Ancona), per poter parlare sensatamente di ripresa della lotta di classe in Italia. Tanto più per l’inconsistenza degli obiettivi rivendicativi presentati da CGIL-UIL e il bieco nazionalismo della piattaforma su cui lo sciopero è stato indetto e motivato nei comizi di Landini ed altri.
Tuttavia il corso del capitalismo mondiale ha preso una tale direzione e la politica del governo Meloni ha preso tale provocatoria aggressività in tutti i campi (ideologico, economico, repressivo) che la possibilità di continuare a vivere delle relative garanzie di un tempo continua ad assottigliarsi con accresciuta velocità. Noi non ci aspettiamo certo che la CGIL si rigeneri tornando a essere quanto meno un sindacato conflittuale. La cosa è esclusa per la solidità raggiunta dal processo di incorporazione dell’intera sua struttura nelle logiche aziendali e nelle istituzioni borghesi. Ci aspettiamo, invece, che le lavoratrici e i lavoratori che ancora guardano, seppur con decrescenti illusioni, alla CGIL, e soprattutto l’enorme massa dei proletari senza sindacato e senza partito, battano prima o poi un colpo. L’hanno fatto di recente le operaie e gli operai dell’auto negli Stati Uniti d’America. L’hanno fatto a più riprese, benché spaiati, differenti settori del proletariato francese. È inevitabile accada anche in Italia, per quanto il momento non sembri vicino. E poiché non siamo degli spontaneisti, intendiamo fare, nell’“attesa”, la nostra parte.
Per i prossimi tempi fare la nostra parte significa sostenere e partecipare attivamente alle manifestazioni che saranno chiamate per fermare il genocidio a Gaza e le aggressioni in Cisgiordania, rinnovando il pieno sostegno alla resistenza palestinese; intensificare l’attività di controinformazione e orientamento che stiamo svolgendo con il nostro blog Il pungolo rosso; rafforzare la cooperazione con i GPI e le altre associazioni di palestinesi non allineate alle posizioni dell’Anp; organizzare a Bologna domenica 3 dicembre un’assemblea nazionale sulla fase economica e politica, contro le guerre in Palestina e in Ucraina, per rafforzare l’opposizione di classe al governo Meloni; continuare a tessere i fili dei collegamenti politici e sindacali a scala internazionale per arrivare a quella giornata di iniziativa internazionale e internazionalista contro le guerre del capitale a cui stiamo lavorando da tempo, in continuità con i contenuti e lo spirito dell’assemblea dell’11 giugno a Milano.
Tendenza internazionalista rivoluzionaria – SI Cobas nazionale
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