Riceviamo e pubblichiamo questo contributo dalle compagne del Comitato 23 settembre, già disponbile sulla loro pagina (vedi qui):
I MORTI SUL LAVORO
GRIDANO VENDETTA
Anila Grishaj, lavoratrice alla Bocon, ditta di confezionamento surgelati in provincia di Treviso: un’ altra giovane vita spezzata, un’ altra donna uccisa da un macchinario che non tornerà più a casa dal lavoro.
Troppo immediato andare con la memoria al caso di Luana D’Orazio che perse la vita in condizioni del tutto analoghe…..o troppo difficile data l’enorme catena di morti che hanno segnato, da allora ad oggi, la quotidianità dello sfruttamento del lavoro.
Anche in questo caso il primo motivo ritenuto fatale è l’errore umano. Ma noi sappiamo che nella stragrande maggioranza dei casi non è così, come il caso D’Orazio dimostrò fin troppo chiaramente.
La stessa CGIL di Treviso dichiara che il numero delle vittime sul lavoro in questa provincia è tragico, e in particolare nell’industria alimentare la cultura della sicurezza troppo spesso si piega alle necessità della produzione nella crescente velocità dei macchinari che – COLPEVOLMENTE diciamo noi – abbassa la soglia di prevenzione degli infortuni.
La stessa CGIL però rinvia al suo sciopero del 24 la sacrosanta protesta che, non oggi ma immediatamente ieri, doveva vedere fermi lavoratori e lavoratrici non solo della BOCON ma di tutti quei settori – alimentare/tessile/logistica/edile dove gli infortuni frequentissimi, sono invalidanti o mortali e rispetto ai quali le parole dei Confederali e delle Istituzioni sono sempre e da sempre vento nel vento e lacrime di coccodrillo.
I controlli sulla sicurezza non bastano se non si mettono in discussione i ritmi di lavoro ai quali i lavoratori sono costretti dal ricatto del mantenimento dell’ occupazione che ogni giorno il Governo Meloni ci vende in crescita, ma che noi sappiamo esserlo a queste condizioni, soprattutto per le donne.
Indipendentemente da quale sarà l’esito dell’indagine sul caso di Anila, la sicurezza ma anche la salute sul lavoro, che si logora quotidianamente, deve diventare appannaggio del controllo diretto di lavoratori e lavoratrici attraverso parole d’ordine al primo posto nelle vertenze e nelle battaglie conseguenti. Diversamente da così, limitandosi a sterili appelli all’ umanità dei padroni e all’istituzione di più ispettori del lavoro, continueremo a piangere morti, in questa che è una vera guerra interna ad un’intera classe sul cui sfruttamento si regge la prosperità di pochi.
Combattiamo perché “BASTA MORTI SUL LAVORO” non sia solo un grido ma si trasformi in una prospettiva di vita diversa.