Riceviamo e pubblichiamo questo contributo dalle compagne del Comitato 23 settembre, già disponibile sulla loro pagina (vedi qui):
LETTERA AI BAMBINI DI GAZA
L’autore* di questa lettera, nel denunciare il genocidio in atto nella striscia e le complicità del mondo occidentale in esso, ci presenta un quadro profondo e allarmante degli effetti sui bambini dell’azione di sterminio in atto . Il rischio della perdita della vita, delle menomazioni fisiche, delle malattie non curate si accompagna al terrore della solitudine e al trauma di essere indifesi di fronte ad un’aggressione di cui non comprendono la ragione e la misura. Questo attacco infame creerà una generazione di sopravvissuti, deprivati del sacrosanto diritto di crescere accuditi e protetti dai loro genitori e amici, a loro volta bersagli dei bombardamenti e delle molte armi che distruggono il loro presente e compromettono gravemente il loro futuro. Di fronte al quadro che questa lettera descrive, i nostri governanti ci spingono a chiudere gli occhi e a trovare impossibili giustificazioni. Tocca a noi far sentire per tutto il tempo necessario, con tutta la forza necessaria, la voce dei bambini di Gaza, che i loro aguzzini vorrebbero far tacere sotto cumuli di macerie. Non permettiamo che la riproduzione della vita sia negata dalla sete di dominio e di profitto che corrode le nostre società!
Caro bambino, cara bambina
è passata la mezzanotte, sto volando a centinaia di miglia orarie nell’oscurità,a migliaia di metri sopra l’Oceano Atlantico. Sto viaggiando verso l’Egitto, andrò al confine di Gaza, a Rafah. Vado a causa tua. Tu non sei mai stato su un aereo, non hai mai lasciato Gaza, conosci solo le strade e i vicoli densamente popolati, conosci solo le barriere di sicurezza e i recinti pattugliati dai soldati, che circondano Gaza.
Sei terrorizzato dagli aerei da combattimento, elicotteri d’attacco, droni, che girano sopra di te, lanciano missili e bombe, esplosioni assordanti. La terra trema, gli edifici cadono, i morti, le urla, le grida soffocate di aiuto da sotto le macerie non si fermano notte e giorno. Sei intrappolato sotto i cumuli di cemento fracassato, i tuoi compagni di gioco, i tuoi compagni di scuola, i tuoi vicini scomparsi in pochi secondi. Vedi le facce gessose e i corpi inerti quando vengono tirati fuori.
Io sono un giornalista, è mio compito vedere questo. Tu sei un bambino, non dovresti mai vedere questo. Sentire il puzzo dei cadaveri in decomposizione sotto il cemento rotto. Trattieni il respiro, ti copri la bocca con un panno, cammini più veloce. Il tuo quartiere è diventato un cimitero, tutto ciò che ti era familiare se n’è andato. Guardi stupito, ti chiedi dove sei. Hai paura. Esplosione dopo esplosione piangi, ti aggrappi a tua madre o tuo padre, ti copri le orecchie, vedi la luce bianca del missile e aspetti l’esplosione. Perché uccidono i bambini? Cosa hai fatto? Perché nessuno può proteggerti? Sarai ferito, perderai una gamba o un braccio, diventerai cieco o sarai su una sedia a rotelle. Perché sei nato? E’ stato per qualcosa di buono o è stato per questo? Crescerai, sarai felice, come sarà senza i tuoi amici che moriranno accanto a tua madre, tuo padre, i tuoi fratelli e sorelle? Qualcuno che conosci sarà ferito presto, qualcuno che conosci morirà presto. Di notte sei sdraiato al buio sul freddo pavimento di cemento.
I telefoni sono tagliati, Internet è spento, non sai cosa sta succedendo, ci sono lampi di luce, ci sono ondate di esplosione, ci sono urla. Non si fermano quando tuo padre o tua madre vanno a caccia di cibo o acqua. Aspetti quella terribile sensazione nello stomaco. Torneranno? Li rivedrai? La tua piccola casa sarà la prossima? Le bombe ti troveranno? Sono questi i tuoi ultimi momenti sulla terra? Bevi acqua sporca, e salata. Ti fa molto male, ti fa male lo stomaco. Hai fame, i panifici sono distrutti, non c’è più il pane, mangi un pasto al giorno, la pasta, un cetriolo, presto ti sembrerà una festa, non giochi a pallone, con una palla fatta di stracci, non fai volare il tuo aquilone fatto con vecchi giornali.
Hai visto i giornalisti stranieri, noi indossiamo giubbotti antiproiettile con la parola Stampa scritta sopra. Abbiamo i caschi. Abbiamo le macchine fotografiche, guidiamo le jeep, compariamo dopo un bombardamento o una sparatoria, ci sediamo ad un caffè a lungo e parliamo con gli adulti, poi spariamo, di solito non intervistiamo bambini, ma ho fatto interviste in cui gruppi di voi si affollavano intorno a noi ridendo, segnandoci a dito, chiedendoci di farvi una foto.
Sono stato bombardato da aerei a Gaza, sono stato bombardato in altre guerre, guerre avvenute prima che tu nascessi. Anch’io ero molto spaventato, continuo a sognarle quando vedo le foto di Gaza, queste guerre tornate da me con la forza del tuono e del fulmine. Penso a tutti voi, noi che siamo stati in guerra odiamo la guerra, soprattutto per quello che fa ai bambini.
Ho provato a raccontare la tua storia, ho provato a dire al mondo che quando sei crudele con le persone settimana dopo settimana mese dopo mese, anno dopo anno, decennio dopo decennio, quando neghi alle persone la libertà e la dignità, quando le umili e le intrappoli in una prigione a cielo aperto, quando le uccidi come se fossero bestie, si arrabbiano moltissimo. E fanno agli altri quello che è stato fatto loro.
L’ho ripetuto più e più volte, l’ho detto per sette anni, in pochi hanno ascoltato e ora ci sono giornalisti palestinesi molto coraggiosi, più di cinquanta di loro sono stati uccisi da quando sono iniziati i bombardamenti. Sono eroi, lo sono anche i medici e gli infermieri dei vostri ospedali, lo sono anche gli operatori delle Nazioni Unite di cui quasi un centinaio sono stati uccisi, lo sono anche gli autisti delle ambulanze e i medici. Lo sono anche i soccorritori che sollevano le lastre di cemento con le mani, lo sono anche le mamme e i papà che ti proteggono dalle bombe.
Ma noi non ci siamo. Non questa volta. Non possiamo entrare, siamo chiusi fuori, i giornalisti di tutto il mondo. Andremo al valico di Rafah, andremo perché, poiché non possiamo assistere a questo massacro e non fare nulla, andremo perché centinaia di persone muoiono ogni giorno tra cui un centinaio di bambini, andremo perché questo genocidio deve fermarsi. Stiamo andando perché abbiamo figli come te, tesoro, innocente, amato. Stiamo andando perchè vogliamo che tu viva. Spero che un giorno ci incontreremo, sarai adulto, sarò un vecchio – anche se per te sono già molto vecchio. Nel mio sogno ti troverò libero, sicuro e felice. Nessuno cercherà di ucciderti. Volerai su aerei pieni di persone e non di bombe, non sarai intrappolato in un campo di concentramento, vedrai il mondo, crescerai e avrai figli, diventerai vecchio, ricorderai questa sofferenza, ma saprai che significa che devi aiutare gli altri che soffrono. Questa è la mia speranza, la mia preghiera. Ti abbiamo deluso, questo è il terribile senso di colpa che portiamo: ci abbiamo provato ma non ci abbiamo provato abbastanza.
Andiamo per Rafah. Molti di noi reporter saremo al confine con Gaza e protesteremo, scriveremo, e filmeremo, questo è quello che facciamo. Non è molto, ma è qualcosa.
Racconteremo di nuovo la tua storia, forse sarà sufficiente per guadagnarci il diritto di chiederti perdono.
*L’autore di questa lettera è Chris Hedges, giornalista e reporter che ha seguito per il New York Times i teatri della guerra che il mondo occidentale ha messo in atto negli ultimi decenni in Jugoslavia, e in molti altri paesi. La sua estesa conoscenza della situazione nei territori lo ha portato a definire senza mezzi termini la politica sionista come genocida, mirante, fin dal suo nascere, alla espulsione /eliminazione della popolazione nativa dalla propria terra. Il suo intervento, che si conclude con questa lettera, smaschera il cumulo di menzogne su cui lo stato sionista si mantiene in vita da ben prima della sua nascita.
L’intervento, con i sottotitoli in italiano, si può ascoltare su questo link: https://www.youtube.com/watch?v=ly6lfhOxTe0