Riceviamo e pubblichiamo questo contributo dei compagni della redazione Il Pungolo Rosso, già disponibile sul loro sito (vedi qui):
Dossier – No alla memoria a senso unico:
4. E. Traverso sulle radici della violenza nazista
“Le premesse della Shoah vanno cercate in un contesto più ampio dell’anti-semitismo”, afferma Enzo Traverso, un Traverso di annata buona, nell’Introduzione al suo La violenza nazista. Una genealogia, Il Mulino, 2002 (*). Questo perché, per quanto non fosse diventato un dettaglio insignificante, nella vicenda europea del XIX secolo l’anti-semitismo “sembrava in via di regressione, limitato, tendenzialmente superato”. Ed invece qualche decennio dopo finì per “dominare la scena storica” (pag. 13). Come mai?
In opposizione a Nolte ed altri per i quali l’anti-semitismo arriva da Oriente, Traverso afferma invece che “le radici del nazismo” sono “europee“. Innanzitutto perché è “dalla cultura tedesca ed europea [non solo da quella tedesca – nota bene] della seconda metà del XIX secolo che il nazismo aveva ereditato alcuni suoi elementi costitutivi come l’imperialismo, il pangermanesimo, il nazionalismo, il razzismo, l’eugenismo e soprattutto l’anti-semitismo. L’anti-bolscevismo si era innestato su questo magma ideologico, rinnovandolo e radicalizzandolo all’estremo, ma non lo aveva creato” (pag. 17).
In opposizione a Goldhagen e Furet, Traverso porta opportunamente “l’attenzione sull’ancoraggio profondo del nazismo, della sua violenza e dei suoi genocidi, nella storia dell’Occidente, dell’Europa del capitalismo industriale, del colonialismo, dell’imperialismo, della rivoluzione scientifica e tecnica, l’Europa del darwinismo sociale e dell’eugenismo. L’Europa del ‘lungo’ XIX secolo concluso nei campi di battaglia della prima guerra mondiale” (p. 22).
In opposizione a Sternell e Mosse, infine, che non attribuivano in pratica alcuna importanza “all’eredità dell’imperialismo e del colonialismo europei” nella formazione dell’ideologia, della cultura, del mondo mentale e delle pratiche del fascismo, Traverso sottolinea invece “le connessioni tra il sorgere di questo nuovo nazionalismo e le pratiche imperiali dell’Europa liberale. E sostiene che le violenze coloniali vanno viste come “una prima messa in pratica delle potenzialità sterminatrici del discorso razzista moderno. Ora, non si tratta affatto di cancellare le singolarità della violenza nazista assimilandola semplicemente ai massacri coloniali, ma piuttosto di riconoscere che essa fu perpetrata nel cuore di una guerra di conquista e di sterminio, tra il 1941 e il 1945, concepita come un’impresa coloniale in seno all’Europa. Una guerra coloniale che si ispirava largamente, per la sua ideologia e per i suoi principi – ma con mezzi e metodi ben più moderni, potenti e micidiali – a quelle condotte durante tutto il ‘lungo’ Ottocento dall’imperialismo classico” (pag. 25).
La “singolarità storica” del genocidio degli ebrei non va quindi intesa tanto come un “evento senza precedenti” per le sue dimensioni ed il suo carattere organizzato (David Stannard ha letteralmente demolito questa tesi), quanto “piuttosto come una sintesi unica di un vasto insieme di forme di oppressione e di sterminio già sperimentate, ciascuna separatamente dalle altre, nel corso della storia moderna” (pag. 181).
Vale la pena riportare ora, per esteso la conclusione del libro:
“Nulla esclude (…) che altre sintesi, altrettanto se non più distruttrici, possano cristallizzarsi in avvenire. Le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki indicano che il contro-illuminismo [nazista] non costituisce una premessa indispensabile per i massacri tecnologici e che l’umanità non è al riparo dalla ripetizione di tali catastrofi. Sia la bomba atomica sia i campi nazisti si inscrivono nel ‘processo di civilizzazione’, in seno al quale non agiscono come una controtendenza e non sono un’aberrazione (come credeva Norbert Elias, per il quale il genocidio degli ebrei segnava una regressione verso la barbarie e l’efferatezza delle età primitive) ma l’espressione di una delle sue potenzialità, di uno dei suoi volti, di una delle sue derive possibili. L’assenza di ‘leggi’ [meccanicistiche – n.] non significa neppure che le affinità individuate in questo saggio siano puramente fortuite e formali. Gli architetti dei campi nazisti erano coscienti di costruire delle fabbriche di morte e Hitler non nascondeva che la conquista dello ‘spazio vitale’ proseguiva le guerre coloniali del XIX secolo (ciò che, ai suoi occhi, la legittimava). Tra i massacri dell’imperialismo e la ‘Soluzione finale’ non ci sono soltanto alcune ‘affinità fenomenologiche (come quelle tra lo statuto della Limpieza de sangre dell’Inquisizione spagnola e le leggi di Norimberga), o analogie lontane, come quella tra le Crociate e l’operazione Barbarossa. Vi è una continuità storica che fa dell’Europa liberale un laboratorio delle violenze del Novecento e di Auschwitz un prodotto autentico della civilizzazione occidentale” (pagg. 182-3). La civilizzazione del capitalismo, in forme nazi-fasciste come in forme democratiche, del colonialismo capitalistico, dell’imperialismo.
(*) I neretti che trovate nelle citazioni sono della nostra redazione.