Prima del 7 ottobre:
la marcia della “pace” delle donne
israeliane e palestinesi
…. Ma diversamente da quanto pensano i pacifisti (e le pacifiste), le guerre non sono tutte uguali, e non nascono dal nulla per una improvvisa follia dei governanti o per pressione dei produttori di armi. Non si può quindi paragonare una guerra tra stati imperialisti e una aggressione tra uno stato (ed un esercito) potentemente armato, contro una popolazione che cerca in qualche modo di difendersi, ormai tradita dai propri governanti, in cambio di qualche briciola di potere.
Possiamo ben comprendere la stanchezza e lo scoramento delle donne di entrambi i paesi nel vedere tanta combattività e volontà di resistenza pagata a caro prezzo, e d’altra parte, avere i figli comandati in una guerra che li costringe a sparare indiscriminatamente contro un popolazione per lo più inerme. Cosa resterà nella loro memoria dopo simili esperienze?
La marcia per la pace delle donne raggiungerebbe meglio il suo scopo se chiedesse la fine dell’apartheid
Nella volontà di marciare insieme, si fa strada la consapevolezza che l’unica conclusione non potrà che essere una convivenza tra i due popoli. Bisogna che le due parti accettino di parlare, esse dicono. Giusto, ma a quali condizioni?
Perchè lo stato sionista dovrebbe rinunciare al suo progetto, dopo aver insediato il governo più forcaiolo della sua storia? Quanta ulteriore sottomissione chiederebbero per una “pace”, avendo le spalle coperte da tutti i paesi occidentali che se ne fregano del destino dei combattenti, dei bambini, delle donne palestinesi?
La marcia della pace delle donne, delle madri, vista benevolmente anche da personaggi istituzionali occidentali, raggiungerebbe meglio il suo scopo se portasse, ad esempio, nelle manifestazioni che hanno percorso Israele negli ultimi mesi, q1ualche bandiera palestinese, se chiedesse la fine dell’apartheid e dell’espansione delle colonie, il rilascio dei prigionieri politici, il rientro de , se si battesse contro il governo, se promuovesse il rifiuto alle armi dei soldati e delle soldatesse. Sono i basilari presupporti, (non i soli certamente), per qualcosa che assomigli ad una pace. E’ chiedere troppo? Purtroppo marciare cantando non basta, anche se alla marcia partecipano migliaia di persone piene di buona volontà.
(8.10.2023)
Con la Palestina, la patria degli oppressi
Uno spettro si aggira tra i palazzi dei governi in occidente.
Dopo 75 anni di tentativi andati a vuoto di eliminare la resistenza palestinese, essa è più viva che mai.
Gli abitanti di Gaza non sono supereroi, i loro bambini, provano lo stesso terrore che avrebbero i nostri. Le loro madri lottano da anni per sopravvivere in una condizione che noi, qui, non sapremmo sopportare neanche per mezza giornata. Sono loro le vere eroine in questo massacro. ….Ci chiediamo piuttosto come fanno a sopravvivere e a resistere. Ciò è possibile per una sola ragione: la loro personale e collettiva memoria storica, che può risalire di generazione in generazione, e parla sempre di resistenza e lotta. In ogni famiglia, in Palestina e nella diaspora, c’è un bisnonno che ha lottato contro l’occupazione inglese, una nonna che ha lasciato la sua casa portandosi la chiave al collo, una madre che partecipava alle battaglie dei fedayn, un padre che nella prima intifada prendeva a sassate i carri armati, una sorella che riempiva la casa di bambini obbedendo ad un cieco istinto di sopravvivenza… tutto questo è carne e sangue di chi oggi è costretto a fuggire e a lasciare la propria terra. E li rende sempre più assetati di pace e di giustizia.
Vorrebbero svuotare Gaza e invece si riempiono le piazze di mezzo mondo!
Le donne in Palestina sanno bene di avere a che fare con una mentalità patriarcale che non potrà essere adeguatamente affrontata se permarrà lo stato di occupazione. Esse oggi ci ricordano che la condizione della stragrande maggioranza delle donne nel mondo è simile alla loro, anche se meno cruenta, e obbligano i movimenti femministi “bianchi” a ristabilire le proprie priorità. Saranno questi a dover dimostrare di essere all’altezza dei compiti di un movimento che si dice femminista e che dovrebbe essere globale, ma che nella sua storia è già stato giustamente criticato per la sua estraneità al destino delle donne del sud del mondo, delle donne nere, delle immigrate. […]
Il tentativo di farla finita con l’idea stessa di Palestina, sta provocando un effetto imprevedibile. Vorrebbero svuotare Gaza e invece si riempiono le piazze di mezzo mondo.
(6.11.2023)
Essere bambini a Gaza
Gli effetti sui bambini dell’azione di sterminio in atto mostrano un quadro allarmante. Il rischio della perdita della vita, delle menomazioni fisiche, delle malattie non curate, della fame e della sete si accompagna al terrore della solitudine e al trauma di essere totalmente indifesi di fronte ad un’aggressione di cui non comprendono la ragione e la misura. Questo attacco infame creerà una generazione di sopravvissuti, deprivati del sacrosanto diritto di crescere accuditi e protetti dai loro genitori e amici.
Tocca a noi far sentire la voce dei bambini di Gaza…
Di fronte a questo quadro, i nostri governanti ci spingono a chiudere gli occhi e a trovare impossibili giustificazioni. Tocca a noi far sentire per tutto il tempo necessario, con tutta la forza necessaria, la voce dei bambini di Gaza, che i loro aguzzini vorrebbero far tacere sotto cumuli di macerie. Non permettiamo che la riproduzione della vita sia negata dalla sete di dominio e di profitto che corrode le nostre società!
(14.1.2024)
Denunciamo il genocidio riproduttivo
contro le donne di Gaza!
Puntando i riflettori sulla realtà delle 50.000 donne che in questo periodo dovevano portare a termine la loro gravidanza, il documento del Palestinian Feminist Collective dimostra come la distruzione di ospedali, l’impossibilità di garantire una seppur minima assistenza alle partorienti e ai nascituri, la necessità di operare senza anestesia e senza corrente elettrica, la mancanza di rifugi sicuri, la fame e la sete sono solo alcuni degli elementi che provocano i traumi fisici e psicologici che colpiscono le donne in una esperienza cruciale delle loro vite, in cui più c’è bisogno di assistenza e di cure. Le conseguenze attuali sono solo una piccola parte di quelle che in futuro le superstiti dovranno subire.
Sostenere la lotta che le donne palestinesi devono affrontare per garantire, con i loro corpi e con i loro cuori, che a Gaza ci sia vita.
Questa rassegna dettagliata… è utilissima perché aiuta a decifrare tutti gli effetti di questa politica e anche la enorme forza necessaria a resistere e a non soccombere ad essa. E a capire e sostenere la lotta che le donne palestinesi devono affrontare per garantire, con i loro corpi e con i loro cuori, che a Gaza ci sia vita.
(12.2.2024)
Guerra all’oppressione, allo sfruttamento, alla violenza sulle donne!
Guerra alla guerra!
Un nuovo durissimo attacco si sta scatenando in Ucraina e in Russia contro le donne. Noi le conosciamo bene: 185.000 Ucraine, ad oggi, si prendono cura delle nostre famiglie, dei nostri anziani, dei nostri bambini.
Ad esse è stata dichiarata, molti anni fa, una guerra senza quartiere che le ha costrette ad una vita di fatica e sofferenza: o emigrate lasciando i vostri cari, o per voi e per loro non ci sarà un futuro decente.
E’ lo stesso destino riservato alle donne immigrate da tutti i continenti, per le quali al supersfruttamento si aggiunge il razzismo e il sessismo che pervade la nostra società.
Sette milioni di Ucraini hanno lasciato il paese, che è ora uno dei più poveri d’Europa: un esodo di cui non si parla. Noi ci battiamo contro la guerra economica e sociale che dura da trent’anni e contro la guerra militare in corso in Ucraina, consapevoli che essa comporta un aggravamento spaventoso delle condizioni di vita dei lavoratori e della gente comune, lì come in ogni luogo dove gli interessi del profitto spingono i governi a passare dall’aggressione economica a quella militare.
Nelle guerre le donne pagano un prezzo del tutto speciale
Di nuovo, a pagare un prezzo del tutto speciale saranno le donne. La presenza degli eserciti e la forza delle armi ridurrà le donne a prede, a merce, costringendole ad abusi di ogni tipo e a provvedere con enormi carichi di lavoro alle proprie famiglie. Anche le donne russe pagheranno un altissimo prezzo: vedranno i loro figli sacrificati per gli interessi del loro capitalismo e le loro magre risorse dirottate verso la guerra. La mobilitazione che hanno messo in atto, come quella dei giovani e dei lavoratori, se crescerà sarà l’unica arma efficace contro il nuovo macello che si prepara.
Non possiamo considerarci estranee ed estranei a tutto questo.
(8.3.2022)
Il “nemico” è in casa nostra!
E’ quello che ti soffoca ogni giorno, obbligandoti ad accettare lavori precari e mal pagati, con orari di lavoro asfissianti, o a stentare la vita da disoccupata.
E’ quello che ti ruba il diritto alla salute per sostenere le spese militari.
E’ quello che ti espone alla violenza quotidiana, in famiglia e nella vita sociale.
E’ quello che ti vuole convincere che ognuno è libero di scegliere, in concorrenza con il mondo intero.
E quello che da un lato sostiene i valori patriarcali e ricaccia le donne nelle case, dall’altro le invita ad essere imprenditrici di se stesse, mettendo anima e corpo al servizio di chi comanda.
E’ quello che coltiva la tua indifferenza verso ogni cosa che riguardi gli altri compagni di lavoro, i vicini, la collettività, il mondo circostante, perché non è affar tuo.
E’ quello che, quando serve, deforma la nostra coscienza indicandoti tiranni da odiare o popoli da disprezzare, criminalizzando gli immigrati, che questi popoli qui rappresentano, alimentando così la guerra tra poveri.
E’ quello che vorrebbe insegnare, fin dalla più tenera infanzia, ad amare l’esercito e le forze della repressione, e quindi a vedere ovunque pericoli di aggressione e minacce alla propria sicurezza, al proprio benessere e al proprio stile di vita.
E’ quello che quando serve, scatena la sua propaganda per arruolarci a difesa dei “valori” del democratico occidente, reprimendo ogni voce anche vagamente dubbiosa, o addirittura contraria.
E’ quello che cambiando l’uso delle parole cerca di camuffare l’essenza delle cose: chiama resistenza una guerra tra padroni e terrorismo la resistenza dei popoli, e appoggia in ogni modo il diritto all’occupazione, alle stragi, alla sopraffazione di chi difende i suoi interessi.
Il nemico è la classe dei padroni, degli sfruttatori, dei governi, è il capitalismo!
Interessi di chi? “Chi è questo potentissimo nemico? Non è un individuo, ma una classe, la classe dei padroni, degli sfruttatori, dei governi che gestiscono gli stati e manipolano le coscienze per difendere i loro profitti.”
(18.10.2023)
Questa mobilitazione a fianco della resistenza palestinese e contro le guerre del capitale può e deve essere l’occasione della riunificazione degli obiettivi delle donne senza privilegi e di tutta la grande massa degli sfruttati. Solo questa grande forza organizzata potrà fare emergere e imporre il diritto ad una vita finalmente umana, libera da oppressione, sfruttamento e guerra, libera dal sistema che le produce!