25 giugno, tutti al porto di Genova!
Blocchiamo la logistica di guerra!
Fine del genocidio a Gaza e del massacro in Ucraina!
Blocchiamo l’economia di guerra!
(ita – arabo – eng – franç – español)
[nella foto: gli operai portuali bloccano il porto del Pireo (Atene, Grecia) per fermare la nave Msc Altair arrivata nei giorni scorsi carica di armi e materiale bellico verso Israele, poi ripartita per l’Italia al porto di Gioia Tauro]
8 mesi fa, in risposta all’azione della resistenza palestinese, Israele avviava il genocidio a Gaza avanzando verso la “soluzione finale” della questione palestinese.
Ma l’eroica resistenza del popolo palestinese ha dato e da filo da torcere all’esercito sionista, dimostrando che è più viva che mai la lotta per l’autodeterminazione e la fine dell’occupazione coloniale, contro il regime di Tel Aviv e gli alleati d’Israele.
Da mesi, le piazze dei paesi del mondo si mobilitatono contro i crimini sionisti, in solidarietà con la resistenza palestinese, per imporre la fine del genocidio che tuttavia procede senza sosta.
Allo stesso tempo, prosegue e si aggrava la guerra in Ucraina fra Nato e Russia, seminando gravi lutti e devastazioni gigantesche pagati dai proletari di entrambi i fronti, che si scannano tra loro non certo per le fandonie che governi e media diffondono (“indipendenza” da una parte o “denazificazione” dall’altra) ma costretti dagli interessi di sfruttamento e oppressione che la classe dominante di entrambi gli schieramenti persegue.
Il genocidio a Gaza – con il sostegno attivo di tutte le grandi potenze e la complicità degli stati arabi a partire da Egitto e Giordania – con la guerra in Ucraina, dove gli stati imperialisti si combattono per una nuova spartizione del mercato mondiale, mostrano che il sistema capitalistico è avviluppato in una crisi profonda che, se non contrastata dalla nostra azione di risposta, porterà il mondo ad una catastrofe umana e planetaria.
Ormai non passa giorno senza che capi di governo, esponenti delle gerarchie militari, ministri ecc. facciano dichiarazioni sempre più inquietanti sulla “necessità” di prepararsi alla guerra, aumentare gli stanziamenti bellici, ripristinare in varie forme il reclutamento militare di massa, inculcare nei giovani (già sui banchi di scuola) la mentalità di “versare il sangue per la patria”.
Nelle elezioni europee appena concluse con il più alto tasso di astensionismo di sempre, ad esempio lo spot elettorale della Von der Leyen – capo della Commissione Europea – era un’orgia schifida di aerei, cannoni, carri armati, munizioni… a mostrare quale sia il futuro che ci aspetta.
Nel frattempo, corre l’economia di guerra: si tagliano le spese sociali, si affonda definitivamente la sanità pubblica, non si rinnovano o si peggiorano i contratti di lavoro, l’inflazione riduce il potere d’acquisto dei salari, si liberalizzano gli appalti, aumentano ritmi, orario e carichi di lavoro con aumento di incidenti e morti sul lavoro, si smantella quell’elemosina del reddito di cittadinanza e si dà mano libera a padroni grandi e piccoli per aumentare lo sfruttamento, si predispongono – con il ddl 1660 in discussione in Parlamento a firma del ministro della guerra Crosetto – ulteriori strumenti repressivi contro le lotte (dai picchetti operai alle proteste contro le “grandi opere”).
Contemporaneamente, mentre l’efficiente bellica italiana – capeggiata dai colossi guerrafondai Leonardo e Fincantieri – macina miliardi di profitto, proprio Leonardo firma con Rete Ferroviaria Italiana un accordo “per assicurare la movimentazione di risorse militari all’interno e all’esterno dell’Europa anche con breve preavviso e su larga scala”.
Così l’Italia, già socio fondatore della Nato e dell’Unione Europea, in barba alla favoletta della Costituzione “più bella del mondo” e del suo mitizzato “articolo 11”, dispone e accresce missioni militari sparse per il mondo per mettere le mani in pasta in tutte le guerre, appoggia da sempre l’occupazione coloniale sionista della Palestina, comanda la spedizione navale in Mar Rosso contro lo Yemen (peraltro sollecitata da una mozione votata all’unanimità nel Consiglio Comunale a Genova da politici di destra e sinistra rappresentanti di quel mondo padronale di armatori e terminalisti, nazionali e multinazionali – si chiamino Maersk, Spinelli, Psa, Zim, Bahri, ecc. – che lucrano miliardi sui traffici marittimi, anche militari, e che si assicurano con la corruzione e il servilismo di tutti i partiti, dei governi e delle istituzioni locali, che i loro affari continuino a prosperare).
La lotta per la fine del genocidio a Gaza e la libertà della Palestina non può dunque essere separata dalla più generale mobilitazione contro i pericoli di una guerra generalizzata, di cui il conflitto Nato/Russia in Ucraina è la preparazione.
Questa lotta anticapitalista ed internazionalista deve saper unire la denuncia della tendenza alla guerra alle molte battaglie concrete che bisogna combattere per inceppare la corsa al riarmo, contrastare l’economia di guerra, opporsi alla militarizzazione della vita sociale, contrastare la collaborazione fra le università e complesso militare-industriale, opporsi all’aumento di sfruttamento e repressione dentro i luoghi di lavoro e fuori.
Solo la lotta dei proletari e degli sfruttati, a partire dai lavoratori e dagli operai, può costituire un argine alla catastrofe bellica, trasformando la tendenza alla guerra nella lotta per rovesciare il sistema capitalistico che ne è alla base.
Nessuno stato può essere nostro alleato; sia le grandi potenze del fronte Nato/UnioneEuropea capeggiato dagli Usa, sia quelle del fronte opposto (Russia, Cina, Brics…) rappresenta un fattore di pace: il primo vuole difendere la sua già traballante egemonia mondiale, il secondo intende metterla in discussione per sostituirvi la propria.
Agli opposti campi imperialisti, i lavoratori e gli sfruttati di tutto il mondo devono opporre il loro campo: con un’azione che parta dalla difesa delle proprie condizioni di vita e di lavoro per inserirla in una chiara prospettiva anticapitalistica contro il governo, le politiche di guerra, i traffici d’armi.
In ogni picchetto operaio, in ogni sciopero, in ogni dimostrazione di piazza, in ogni azione anche piccola di difesa delle nostre condizioni di vita e di lavoro facciamo vivere con forza la battaglia per fermare il genocidio sionista e opporsi ai preparativi di guerra mondiale.
Perciò, siamo impegnati proprio in questi giorni in uno sciopero nazionale lungo tutta la filiera Brt, contro quel processo di ristrutturazione che non solo ha come obiettivo di mettere in discussione le conquiste sindacali migliorative strappate in questi anni con la lotta e grazie ai picchetti (ma che soprattutto si pone il compito strategico di disarticolare quello straordinario ciclo di lotte operaie che da quindici anni ha ribaltato il sistema della logistica in Italia e costituendo un esempio di lotta riferimento organizzativo per decine di migliaia di proletari in questo paese).
Quindi, siamo anche siamo impegnati – dopo lo sciopero nazionale per il rinnovo del contratto nazionale Ccnl Logistica del 30 aprile, indetto dalle principali organizzazioni del sindacalismo combattivo – nella costruzione di una nuova giornata di sciopero nazionale di tutto il settore che possa vedere scendere in campo nuovamente gli operai e le operaie, bloccando un pezzo importante del sistema logistico italiano per mettere al centro l’interesse della classe lavoratrice, a partire dalle rivendicazioni di consistenti aumenti di salario, miglioramenti delle condizioni di lavoro, abbassamento dei ritmi e salvaguardia della salute e sicurezza sui posti di lavoro; contro quella logica di austerità salariale, economia di guerra e ideologia del sacrificio a cui non solo i padroni ma lo stesso sindacalismo concertativo vorrebbero condannarci.
Per questo motivo, siamo stati e siamo in prima fila in tutte le manifestazioni a sostegno della resistenza palestinese e contro la guerra in Ucraina, denunciando conflitti che stanno bruciando le vite di centinaia di migliaia di proletari.
Il 25 giugno ci mobiliteremo con tutte le nostre forze, insieme ad altri compagni e realtà, davanti ai varchi del Porto di Genova, per contribuire alla crescita di una vera opposizione di classe contro sfruttamento, guerra ed economia di guerra: che deve innanzitutto vedere in prima fila il protagonismo di tanti lavoratrori e lavoratrici, già in queste settimane protagoniste di lotte esemplari dentro e fuori i luoghi di lavoro.
Lottare contro i padroni, il governo Meloni, i capitalisti “di casa nostra” è il nostro primo dovere: la lotta contro la guerra inizia qui, “il nemico è in casa nostra”.
Non permettiamo che il porto di Genova continui ad essere snodo dell’economia di guerra e della logistica di guerra, dei traffici d’armi, del sostegno al genocidio di Gaza.
Mettiamo sotto accusa chi vive di morte e traffica con essa arricchendosi.
Boicottiamo la logistica militare, attacchiamo il filo nero che lega i padroni di tutti i settori e di tutti i paesi, in concorrenza fra di loro ma uniti e solidali nell’attacco ai proletari.
25 Giugno, ore 6, tutti a Piazzale S. Benigno!
Blocchiamo l’economia di guerra!
Blocchiamo la logistica di guerra!
15 giugno,
SI Cobas Genova
Perchè il 23 febbraio abbiamo bloccato il porto
per lo sciopero generale dei lavoratori.
Guerre, commercio, armi, navi e lotta di classe
1) Fin dall’inizio dell’invasione di Gaza i sindacati palestinesi hanno lanciato un appello a identificare e bloccare le infrastrutture logistiche nei nostri paesi che rendono possibile lo sforzo bellico del regime di Nethanyau.
2) La richiesta dell’Unione Democratica Arabo-Palestinese e dei Giovani Palestinesi d’Italia di chiamare uno sciopero generale qui in Italia che permettesse a tutti i lavoratori e le lavoratrici di astenersi dal lavoro e di partecipare ad iniziative di lotta girava da mesi. Indire lo sciopero (e renderlo effettivo coinvolgendo migliaia di operai) non è stato un gesto ‘dovuto’ verso alcune associazioni ‘in quanto palestinesi’, non è stata una scelta ossequiosa e riverente nei confronti di alcuni ‘rappresentanti’ della comunità nel nostro paese. Noi riconosciamo ad U.D.A.P. e G.P.I. di essere le componenti più avanzate politicamente e organizzativamente per le scelte e le posizioni coraggiose prese negli ultimi mesi, dalla contestazione ai rappresentanti dell’A.N.P. in Italia fino alla chiamata a violare il divieto di manifestare nel Giorno della Memoria.
3) Come coordinamento genovese del SI Cobas abbiamo deciso unanimemente che lo sciopero generale per la Palestina e contro la guerra non poteva ridursi ad un presidio sotto la prefettura ma neanche ad uno ai cancelli di un magazzino dove abbiamo un intervento sindacale aperto. Uno sciopero su questi temi doveva (e lo ha fatto anche se per poche ore) bloccare l’arteria principale del traffico merci e creare disagi a tutta l’economia cittadina.
4) I lavoratori portuali genovesi lo hanno dimostrato piu volte negli ultimi anni: dal porto di Genova transitano armi e strumenti di morte che alimentano tutti gli scenari di guerra. Le affermazioni di Toti a Primocanale, secondo cui il blocco ai varchi sarebbe una forma di lotta “stravagante” che danneggia solo semplici automobilisti e non influisce sulla situazione in Medio Oriente, sono false e ridicole, quanto la solita litania stancamente ripetuta di “Israele unica democrazia del Medioriente”, quella stessa democrazia che è stata in grado di trucidare piú di 30.000 palestinesi in neanche 5 mesi.
5) La due giorni di sciopero e mobilitazione del 23-24 Febbraio ha rappresentato un passo avanti nella costruzione di un vero fronte di lotta internazionale e internazionalista che impari, anche attraverso iniziative come queste, a coordinarsi e ad agire unito. Scegliere uno dei principali porti del Mediterraneo nel giorno del passaggio delle navi israeliane ZIM è stato un gesto, del quale non ignoriamo il valore comunicativo e parzialmente simbolico, che ci permette di approfondire e stringere conoscenze e rapporti con chi agisce ovunque contro le navi della ZIM, la logistica e l’industria militare.
6) Il 30 gennaio il Consiglio Comunale di Genova ha votato con 31 voti favorevoli su 32 votanti una richiesta formale al governo di intervenire militarmente in Yemen a difesa degli interessi commerciali del porto di Genova. Durante la successiva discussione avvenuta il 6 febbraio, i consiglieri comunali di tutti i partiti hanno ribadito che la difesa dei profitti dei capitalisti italiani e genovesi passa attraverso l’aumento delle spese militari e l’impiego di navi, armi e soldati negli scenari di guerra come deterrente per futuri attacchi all’Italia. Non sono mancate le immancabili dichiarazioni di sostegno a Israele e le ipocrite acrobazie della consigliere del PD Donatella Alfonso che è riuscita a citare i poveri bambini di Gaza curati al Gaslini e ad appoggiare l’intervento militare italiano nella stessa frase. I padroni della logistica genovese e i loro fiancheggiatori nelle istituzioni somigliano paurosamente quelli che alla vigilia della prima guerra mondiale spingevano il mondo verso il baratro. Oggi come allora da una parte ci sono gli interessi dell’imperialismo italiano e dall’altra quelli del proletariato italiano, yemenita, palestinese, internazionale. Se gli armatori speculano sull’allungamento delle tratte e i terminalisti spingono perché lo stretto venga sbloccato ‘manu militari’, il nemico è davvero in casa nostra. Lo dicono le istituzioni cittadine in maniera ufficiale: il porto di Genova è pienamente coinvolto nella guerra in medio-oriente!
7) C’è stato, in effetti, un voto contrario alla mozione del consiglio comunale, quello del consigliere Crucioli, ma ci teniamo a spiegare perché non possiamo delegare a questo personaggio l’opposizione cittadina alla guerra, nè possiamo appiattirci sulle sue posizioni: il suo partito (‘Uniti per la Costituzione’) appoggia apertamente l’operazione militare della Russia in Ucraina. Crucioli non si limita a sostenere la guerra di Putin a parole, si è recato personalmente in Bielorussia a fornire il sostegno ‘dei genovesi’ al regime di Lukashenko. Questa visione campista e sovranista (che si esprime con varie sfumature e che purtroppo è molto diffusa) attribuisce all’imperialismo russo, cinese, indiano e iraniano un ruolo positivo e nega la natura imperialista dell’Italia che sarebbe solo una povera ‘colonia USA’. Così come ci opponiamo all’invio di armi all’Ucraina, noi stiamo coi ferrovieri bielorussi che hanno sabotato la logistica di guerra, non con chi si reca a Minsk a stringere le mani sporche di sangue di dittatori e criminali di guerra. Il nostro campo è quello degli oppressi e di chi si oppone alla guerra e non ci schieriamo con nessuno dei due blocchi imperialisti in gara per il controllo delle risorse della Crimea, del Donbass, di Lugansk, che hanno spinto etnie e popoli fratelli ad odiarsi e a scannarsi tra loro. Non possiamo neanche considerare di sostenere, anche solo strategicamente, politici come Crucioli che, mentre parlano di pace, tifano per l’avanzata russa! La mobilitizione di queste settimane nella nostra città ha dato un contributo fondamentale alla vittoria della campagna boicottaggio di Iren, organizzare un’iniziativa di lotta dura al porto era il miglior modo di celebrarla. Se da un lato sarebbe ingenuo pensare di poter replicare meccanicamente la lotta contro gli accordi Iren – Mekorot su un altro obbiettivo pensando di ottenere automaticamente lo stesso risultato, bisogna riconoscere il valore non solo della tenacia e della costanza del percorso cittadino, ma soprattutto la capacità politica di identificare le responsabilità del capitale italiano nel genocidio in corso e quella organizzativa e comunicativa che ha permesso una crescita e un allargamento della lotta fino ad obbligare media, istituzioni e azienda ad occuparsi della vicenda. Presidiare gli sportelli Iren ha reso possibile presidiare i varchi portuali, avanti il prossimo!
9) I facchini protagonisti delle lotte nella logistica negli ultimi 15 anni sono un esempio per i milioni di lavoratori che ancora non si organizzano con noi. La classe operaia in Italia costruirà una vera opposizione alla guerra solo se alla sua testa ci saranno le avanguardie provenienti dai paesi oppressi e sfruttati dal colonialismo e dall’imperialismo italiano e occidentale, la grande risposta dai magazzini della logistica alla chiamata dello sciopero generale del 23 Febbraio e la presenza operaia e immigrata nella prima fila del blocco ai varchi lo dimostra chiaramente. La Palestina è la patria di tutti gli oppressi!
10) Il 23 e 24 Febbraio era il momento giusto per affondare il colpo e non ci si poteva tirare indietro. Quella che abbiamo definito ‘l’Onda Alta’ delle ultime settimane si è infranta in tutta Italia contro tutto l’apparato sionista e genocida (mediatico, governativo, economico, industriale, poliziesco) per poi farsi marea e invadere Milano con il più grande corteo contro la guerra degli ultimi anni. Facciamo tesoro di questi due giorni: il movimento si rafforza quando abbandona le prese di posizione e mette in campo iniziative concrete, cresce quando non annacqua i contenuti e si schiera apertamente con la resistenza del popolo palestinese, raggiunge decine di migliaia di posti di lavoro quando rifiuta i compromessi e le ipocrisie dei sindacati confederali e dei partiti politici borghesi, avanza quando lega la lotta di liberazione nazionale palestinese alla lotta di classe degli sfruttati di tutti i paesi del mondo!
30 febbraio,
SI Cobas Genova
- Il governatore della regione Liguria Toti contro lo sciopero dei lavoratori:
https://www.facebook.com/SICobasGenova/videos/922580769270128/?locale=it_IT
- La discussione sulla mozione di guerra votata dal consiglio comunale di Genova:
https://www.facebook.com/SICobasGenova/videos/1091224218665947/?locale=it_IT
- La Rai sullo sciopero generale che ha bloccato il porto di Genova:
https://www.facebook.com/SICobasGenova/videos/963812451769979/?locale=it_IT