Per il Partito democratico, stanco di tenere a bada le sue rissose anime sindacali, più numerose degli operai iscritti al partito, è una gran bella notizia: la Cgil, per mano della sua segretaria generale, ha ratificato l’accordo che sancisce la controriforma del sistema contrattuale, manda in pensione il contratto nazionale con il meccanismo perverso delle deroghe e toglie ai lavoratori il diritto di votare sugli accordi che riguardano la loro vita e il loro lavoro. Hanno vinto la Confindustria di Emma Marcegaglia che voleva cancellare gli ultimi vincoli sociali (e costituzionali) allo strapotere del capitale e il segretario della Cisl Raffaele Bonanni che incassa l’isolamento della Fiom.
La Fiom, l’ultima trincea che resiste all’attacco all’autonomia del lavoro e all’indipendenza del sindacato. Ha vinto anche Maurizio Sacconi, il peggior ministro del lavoro della storia d’Italia, che ha imposto nella manovra l’articolo 8 con cui si fa piazza pulita della contrattazione e si introduce addirittura la retroattività della norma che deroga ai contratti nazionali attraverso l’uso spregiudicato dei contratti aziendali siglati da sindacati di comodo. Un regalo alla Fiat di Marchionne, l’eroe dei due mondi che chiude uno stabilimento dopo l’altro, perde ovunque quote di mercato, viene declassato per i suoi debiti ma continua a volerla fare da padrona, con la conseguenza di vedere il conflitto operaio estendersi dagli stabilimenti del vecchio a quelli del nuovo mondo.
Un vero capolavoro: Cgil, Cisl, Uil e Confindustria di nuovo insieme. A pochi giorni dallo straordinario successo dello sciopero generale indetto dalla Cgil, il sindacato di Susanna Camusso rientra nei ranghi – e per tanti di quelli che il 6 settembre avevano scioperato e riempito le piazze di tutt’Italia sperando nell’inizio di una nuova storia, questa normalizzazione verrà vissuta come una debacle, e al vuoto di una sponda politica per i più colpiti dalla crisi e dalle manovre classiste si aggiunge la caduta di una sponda sociale. Perché la firma definitiva dell’accordo del 28 giugno non argina l’effetto mortifero per la democrazia dell’articolo 8 di Sacconi, ne è anzi la premessa e lo giustifica. La Cgil, con questa firma che non è legittimata da alcuna consultazione tra i lavoratori, rompe con la sua storia democratica e secondo la minoranza interna, ridotta al silenzio con una pratica che scavalca ogni centralismo democratico e rimanda alla stagione delle purghe staliniane degli anni Trenta, persino con il suo statuto. Non solo agli operai è negato il diritto di voto sui contratti e gli accordi, neanche possono più esprimersi sulle scelte del proprio sindacato.
Hai voglia a prendetela con l’antipolitica di chi dice sono tutti uguali, o a mettere l’insufficienza sui compiti di chi riduce tutto al conflitto contra la casta, se anche la parte “sana” del sindacato, quella non arruolata nelle fila dell’avversario di classe, fa prevalere una indecente interpretazione dell’autonomia del politico che cancella quella del sindacato. Forse Berlusconi sta per cadere, allora tutti insieme per la nuova Italia, insieme alla Confindustria che attacca il governo anche se lo fa da un versante iperliberista chiedendo privatizzazioni, attaccando salari diritti e pensioni di chi già oggi non ce la fa più a campare. È una logica suicida, quella del Pd e della maggioranza della Cgil: purché siano contro Berlusconi sono nostri alleati. Persino i burocrati di Standard&Poor’s vengono promossi al rango di compagni. Non siamo certo alla fine della storia, ma sicuramente al suo arretramento. La Cgil e la sua segretaria dovranno però fare i conti con la realtà, e forse anche con la loro base sociale. Già a partire da oggi all’assemblea nazionale dei delegati Fiom, dove è attesa proprio Susanna Camusso.
di Loris Campetti da il manifesto 22 settembre 2011