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Uno sguardo sulla realtà delle coop Esselunga

Pubblichiamo un interessante documento sulla situazione dei lavoratori delle coop che lavorano per Esselunga.

È ormai il terzo anno, questo, che abito a Pioltello, cittadina di primo arrivo della migrazione dal sud del mondo; migrazione che si concentra soprattutto in due quartieri di edilizia privata, costruiti nel periodo del grande boom economico – quando il capitale aveva urgente bisogno della migrazione dal sud Italia. Questi quartieri, affollati all’inverosimile, ormai sono il punto di primo approdo dei migranti provenienti dall’America Latina (prevalgono gli ecuadoriani), dall’Asia (prevalgono i pakistani), dall’Africa (prevalgono gli egiziani), dall’Est-Europa.
Approdano qui anche perché a Pioltello ha la sua sede centrale l’Esselunga: ogni settimana qualche migliaio di autotreni consentono l’afflusso e il successivo deflusso delle merci per tutti i supermercati Esselunga d’Italia; ogni giorno qualche migliaio di lavoratori carica-scarica merci, 24 ore su 24.
In quali condizioni lavorano? Lasciamole raccontare da un giovane che ha provato (solo per tre mesi… in questo caso il contratto a termine è una fortuna!) cosa vuol dire in concreto lavorare nelle cooperative che permettono all’Esselunga di presentarsi come una delle più moderne ed efficienti catene di supermercati. Per ovvi motivi di prudenza, il giovane ha scelto di restare anonimo.
Luigi Consonni

Scrivo qui alcune considerazioni dopo tre mesi di lavoro per una Cooperativa di carico-scarico merci ai magazzini centrali di una grande catena di supermercati.
Le condizioni di lavoro sono abbastanza massacranti, sembrano quelle descritte nei libri di storia: nessun diritto.
Disponibilità massima (4 turni 24 ore su 24). Orari imposti la sera per la mattina, … o la mattina per il giorno stesso (o la notte).
La “produttività”, misurata in numero di “colli” prelevati e caricati, è ultra controllata e se non raggiungi obiettivi giornalieri minimi ti riprendono chiedendo spiegazioni. Ti inducono così a mantenere ritmi di lavoro sempre al limite della sopportabilità (…almeno all’inizio).
La paga, formalmente oraria, è praticamente a cottimo, in base a quanta merce riesci a caricare sui bancali in un turno di lavoro di 6 ore.
La timbratura di entrata deve avvenire 10 minuti prima di inizio turno, quella di uscita nei 10 minuti successivi. Timbratura che avviene con il riconoscimento delle impronte digitali. Il cartellino per timbrare è pagato da me. E’ pagata da me anche la chiave per il “papalino” (muletto, cioè “attrezzo da lavoro”)… se la perdo pago 5 euro per averne un’altra.
Non c’è né mensa né si ha diritto a buoni pasto: i turni sono infatti formalmente di 6 ore, non prevedono quindi la pausa pranzo. Di fatto però, quando c’è molto lavoro, si fanno anche doppi turni (12 ore consecutive) senza ovviamente fermarsi per mangiare. Nonostante questo c’è però una piccola stanza vetrata in cui vi sono alcuni tavoli e sedie in cui si può precariamente consumare qualcosa. Chi poi nella pausa esce a fumare deve stare rigorosamente IN PIEDI in un piccolo spazio ben definito.
Tutto il tempo di lavoro è regolato da un terminale che ti indica l’inizio del lavoro, la pausa e il fine turno, attraverso delle cuffie personali (con microfono, tipo call center) che il lavoratore deve tenere in dosso per tutta la durata del turno. La pausa, unica sulle sei o più ore, è comandata dal computer (attraverso le cuffie indossate) ed è rigorosamente di 15 minuti a rotazione tra le varie cooperative.
Attraverso queste cuffie inoltre, il computer ti “guida” nel lavoro dicendoti dove andare (in quale delle 35 corsie), cosa e quanto prelevare dai bancali, in quale ribalta scaricare, etc… attraverso tutto un sistema di codici e conferme vocali attraverso “contro-codici”. Se fai tardi, rischi di far partire un camion senza alcuni bancali.
Si lavora quindi con cuffie e microfono: un terminale ti elenca (E TI CONTA) i codici dei prodotti da prelevare dagli scaffali e caricare sui bancali trasportati dal “papalino”. Tu rispondi al microfono e confermi. E’ tutto codificato, tutto registrato.
Ad ogni bancale che invii devi attaccare uno stampato che indica il tuo nome, quello della tua cooperativa, numero di colli prelevati, data e ora di invio, data e ora di partenza del camion, etc…
La forma contrattuale è quella di “socio lavoratore” di cooperativa. Questo implica che, a discrezione del capo turno, se c’è lavoro ti fermi ore in più (senza neanche chiedere, te lo dicono e basta), se non c’è lavoro vai a casa prima (perdendo così delle ore di paga).
In questo tipo di lavoro il ricambio degli operai della cooperativa è altissimo: i lavoratori, per lo più migranti, rimangono in media qualche mese, poi scappano o vengono “indotti” a lasciare…ma per loro la questione principale è quella legata al permesso di soggiorno, che diventa quasi un’arma di ricatto implicita per far accettare qualsiasi condizione.
Per quanto riguarda il modo di lavorare, infatti, da un lato pretendono velocità e produttività massima nel lavoro (e ti pongono per questo obiettivi ben precisi), dall’altro vogliono che il lavoro sia preciso ed accurato per evitare rotture e danneggiamenti della merce.
Quando si riempiono 2 bancali alti due metri (con un peso che non riesce ad alzare neanche il “papalino” – diversi quintali) è facile ribaltare o far cadere la merce impilata sui bancali se non si carica con criterio e precisione. Anche la legatura va fatta frequentemente man mano che si alza il livello del bancale, bisogna “nastrare” spesso , ma questo comporta una perdita di tempo…
La SICUREZZA è pari a ZERO, pura formalità: ci sono bancali vecchi e mezzi rotti sospesi a 7 metri di altezza, che i carrellisti caricano col muletto ad una velocità impressionante col rischio di farli cadere su altri lavoratori. Le regole di circolazione all’interno del magazzino sono come quelle della strada, bisogna dare precedenze, le corsie sono “a senso unico”, etc., ma la fretta spesso porta le persone a non seguire queste regole, con la conseguenza di un elevato rischio di incidenti e infortuni.
Anche la disciplina nel lavoro è rigorosa: se ti sorprendono con addosso qualsiasi merce del magazzino ti mandano a casa istantaneamente e senza troppe formalità.
L’ambiente di lavoro è costituito per lo più da persone migranti, provenienti da tutti i paesi del terzo mondo, ma ci sono anche alcuni nuovi e “vecchi” immigrati dal sud Italia.
Ovviamente entrambe le categorie fanno parimenti la fame con salari intorno ai 6,99 euro/ora lordi.
Un’ultima considerazione: le lotte sindacali sospese nei luoghi di lavoro hanno praticamente fatto retrocedere i diritti di almeno 50 anni, a partire da questo tipo di situazioni lavorative, assimilabili in toto alla schiavitù (soprattutto per i migranti, se c’è di mezzo il “permesso di soggiorno”).
Queste condizioni, credo, non sono però le condizioni peggiori. Rimane la schiavitù del caporalato esplicito in agricoltura e in edilizia.
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(PRETIOPERAI, n.89-90 / dicembre 2010)