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Dal caso FIAT a quello IKEA: storie di diritti calpestati

Fiat-e-Ikea

Fiat-e-IkeaChe cosa unisce il caso FIAT a quello IKEA, salito agli “onori” della cronaca per le violente cariche della polizie davanti al deposito di Piacenza?

Entrambe queste multinazionali impongono il ricatto e la rappresaglia –direttamente o indirettamente- come normali modalità di conduzione delle relazioni sindacali.

Da un lato la FIAT, una delle multinazionale più “assistite” del mondo. Per mantenere gli stabilimenti in Italia vorrebbe altri aiuti dallo Stato e la cancellazione dei diritti dei lavoratori. Chi non si adegua viene licenziato e se un giudice- come è accaduto recentemente con la vicenda dei 19 delegati FIOM- emette una sentenza che ne ordina la riassunzione, minaccia rappresaglie: metterne in mobilità altrettanti per innescare una guerra tra lavoratori.

Dall’altro l’IKEA, il colosso dal volto buono, la cui struttura societaria è un gioco di scatole cinesi al cui vertice ci sono una fondazione no profit con sede in Olanda (e che in base alle leggi olandesi non paga tasse) e una società con sede nelle Antille Olandesi (uno dei paradisi fiscali).   
Di svedese in questa multinazionale non è rimasto praticamente nulla (persino il suo fondatore, il ricchissimo Ingvar Kamprad, vive attualmente in Svizzera) e i profitti da favola del gruppo dipendono non tanto dall’idea innovativa di vendere mobili a poco prezzo risparmiando sul montaggio ma da quella di aver costruito una struttura societaria assai complicata e praticamente inaccessibile per sfruttare meccanismi di “pianificazione fiscale” che permettono di pagare meno tasse possibili.

Il magazzino IKEA di Piacenza è una cattedrale nel deserto: niente servizi, solo strade e capannoni industriali avvolti nella nebbia in una zona devastata dal cemento e asservita ai colossi della grande distribuzione.
In questo nulla lavorano, anche per 10 ore al giorno e con stipendi da fame, i facchini del Consorzio CGS a cui IKEA ha affidato le attività di facchinaggio.
Anche qui, come in FIAT, vige la legge del ricatto. O lavori alle condizioni che diciamo noi o sei fuori e, poiché molti facchini sono stranieri e rischiano di perdere il permesso di soggiorno se perdono il lavoro, si adattano a subire qualsiasi sopruso pur di lavorare.
Alcuni di loro, però, hanno trovato la forza per ribellarsi e chiedere condizioni di lavoro più dignitose. Subito è scattata la rappresaglia: diminuzione del numero delle ore di lavoro mentre ai colleghi veniva concesso di fare lo straordinario. Poi, di fronte alle ulteriori proteste, la minaccia di spostamento in altri siti, la sospensione e il licenziamento, sino ad arrivare alle violente cariche della polizia dei giorni scorsi.
Anche qui, come in FIAT, si cerca di mettere lavoratori contro lavoratori agitando lo spauracchio che IKEA potrebbe decidere di chiudere il magazzino di Piacenza per aprirlo da altre parti.
Insomma è sempre il solito odioso ricatto: o accetti di lavorare senza diritti o spostiamo il lavoro da altre parti.
Ed è inutile che ora IKEA si affanni a dire che i facchini della CGS non sono suoi dipendenti e che il consorzio ha sempre rispettato le condizioni previste dai contrattuali. La violazione dei diritti è sotto gli occhi di tutti e da oggi, chi compra un mobile IKEA non potrà fare a meno di pensare che il basso prezzo dipende, non solo dal raffinato sistema messo in piedi dalla multinazionale olandese per pagare meno tasse, ma  anche dalle condizioni di sfruttamento a cui sono sottoposti i lavoratori delle aziende che le forniscono beni e servizi.

La nostra solidarietà oggi va a questi lavoratori, trattati come gli ultimi della terra, ma pronti a mettere in gioco se stessi e la propria vita per riaffermare il diritto di tutti i lavoratori alla dignità.

CHI LOTTA PUO’ PERDERE MA CHI NON LOTTA HA GIA’ PERSO.
Milano, 05/11/2012                    S.I. COBAS INPS