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OPERAI COOP COSTRUZIONI: PRIMO GIORNO DI SCIOPERO

coop costruzioni

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Un centinaio di operai COOP COSTRUZIONI si sono dati appuntamento dalle prime ore di questa mattina nella centralissima Via Rizzoli per dare il via alla prima giornata di sciopero (8 ore) contro la minaccia della perdita di 200 posti di lavoro sui 400 complessivi. Alla scadenza dei contratti di solidarietà in essere, salvo rinnovo degli ammortizzatori sociali, il prossimo 7 maggio la metà della forza-lavoro resterà a piedi. Causa crisi, annuncia il presidente Luigi Passuti, sostenuto dall’attuale reggente di LEGACOOP BOLOGNA, Simone Gamberini.

 

Da lì, foto di rito con i giornalisti del Corriere e di Repubblica assolte, gli operai hanno puntato a Palazzo Malvezzi, sede della Città Metropolitana di Bologna (la Provincia) in vista dell’incontro istituzionale tra le parti, dopo quello flop tenutosi in Comune la scorsa settimana. Prima però un gruppo operaio è riuscito a convincere alcuni operai della IDROLTEC, ditta presente in cantiere per la manutenzione del gas, a scioperare in solidarietà insieme a loro; presente anche una piccola ma sonora delegazione da Roma.

 

Dalla stampa locale e nazionale però certe cose non possono essere raccontate: una volta sul luogo del presidio, uno degli operai più determinati si è sfogato: “Proprio questa mattina sono venuto a sapere che UNIPOL (il colosso “rosso” assicurativo emiliano) ha chiuso l’anno scorso in utile per 3 miliardi di euro. Qui è tutto collegato, UNIPOL, cooperative, partiti. Il nostro presidente di stipendio prende 5000 euro, ed è stato pure magnanimo, perchè quello precedente ne prendeva 10.000…” “Banche e assicurazioni concedono prestiti a qualsiasi condizione – incalza un collega arrivato dal Sud, un mutuo appena acceso e “due figli che portano entrambi ancora il pannolino” – tranne che per chi perde il lavoro e quasi non sa neanche perchè”.

“Lo vedi quello là, con la barba e gli occhiali? Lui ha più di 60 anni, 32 in cantiere, ha sempre fatto il muratore. E con la Fornero ci deve restare ancora un bel pò; c’è una bella differenza tra fare il capo e caricarsi ancora a quell’età i sacchi di cemento in spalla. Altro che lavori usuranti, non hai più il tempo della tua vita, finisci di lavorare e hai tempo solo per schiattare”.

 

Dall’altra parte della strada, uno striscione rosso acceso, il disegno stilizzato di una fabbrica, a fianco la scritta nera in stampatello “A DIFESA DELL’OCCUPAZIONE”. A distenderlo anche un’operaia di un’altra ditta, venuta a portare solidarietà: “Anche io ho lavorato per decenni in una cooperativa edile. È un mondo particolare, dove non esiste il pesce grande: ognuno vuole emergere, continua a prendersi lavori, sempre più grandi, decine di milioni di euro per aziende che hanno sempre lavorato sul locale…e poi finisce per non riuscire più a reggere. Del nostro presidente ci fidavamo, era uno come noi, anche lui aveva fatto gavetta”.

A mezzogiorno davanti all’ingresso del palazzo affacciato su Via Zamboni non si vede ancora nessuno; da poco un picchetto di polizia è disposto qualche metro più in là, a sorvegliare l’entrata su Piazza Rossini. “Saranno passati di là, figurati; eppure qui nessuno gli ha promesso le mani” si lascia scappare tra i denti un altro.

 

I responsabili sindacali, inconfondibili tra proletari e digossini, fanno avanti e indietro, parlano delle quote azionarie dei soci, di liquidazioni, di contenziosi, buttano il termometro in mezzo alla folla accalcata davanti al cancello in ferro battuto dell’ingresso, riparata dalla sottile pioggia fastidiosa che cade insistente dai portici e dai ponteggi dei lavori in corso. Ci si scalda coi fischietti, tra una sigaretta e l’altra fumata tra nervosa attesa e chiacchiere con i colleghi: la rabbia è controllata, ma non ci si discosta nei discorsi dai temi della protesta.

Più tardi sarà il familiare Poletti, oggi Ministro del Lavoro, a prendere parola (a distanza) sul caso: “No allo stato di crisi del settore edile cooperativo. Anche se venisse promulgata una legge, non avrebbe alcun effetto sull’impresa”. E se lo dice lui, già presidente LEGACOOP, c’è da scommetterci. “Piuttosto, serve un più forte accompagnamento sociale, perchè è inevitabile che si perdano posti nell’edilizia in questo periodo”. Tanto per gradire.

 

Nel Paese del dissesto idrogeologico, delle grandi opere per fare viaggiare mozzarelle e petti di pollo a 300 all’ora dalla Francia all’Italia e viceversa, dei ponti sullo Stretto, della radioattività delle antenne militari e delle esercitazioni con armi al fosforo. Il Paese dove le case popolari costruite con i soldi degli operai dal dopoguerra ad oggi restano sfitte o hanno i muri gonfi d’acqua putrida e di muffa, nella Regione dove prendono piede i contratti a termine anche per le case ex IACP e gli affitti triplicano alla scadenza, rendendoti “occupante abusivo o senza titolo”.

E nel pomeriggio, la beffa: la disponibilità a discutere di un’eventuale cassa integrazione in deroga (stipendio percepito al 80%, pagato dallo Stato e non dall’impresa), cassata di nuovo l’opzione dei contratti di solidarietà, e nuovo appuntamento a martedì 24 marzo alle 15 sempre a Palazzo Malvezzi.

 

Peccato che per giovedì 19 è prevista l’assemblea sindacale, e per venerdì 20 marzo la fatidica votazione dove l’assemblea dei soci lavoratori dovrà votare SI o NO all’ auto-licenziamento. E tornano in mente, graffianti, le parole di uno degli operai durante il presidio della mattina: “Qui sono tutti leoni e sono tutti per il NO, poi venerdì si voterà per palese alzata di mano. Con tutti gli sguardi ognuno sull’altro. O si vota per 200 fuori, o si va a casa tutti e 400”. Qualcuno ricorda simili situazioni non troppo distanti, nel luogo e nel tempo…

 

Ed il collaborazionismo confederale già comincia a fregarsi le mani… In settimana nuovi aggiornamenti.

Solidali saluti operai da Bologna,