Logistica

RHIAG E DINTORNI: DA CHE PARTE STANNO SFRUTTAMENTO E VIOLENZA E LE NECESSARIE RISPOSTE

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È di questa estate (3 agosto 2015) la sentenza con cui il Tribunale di Pavia, sezione Lavoro, accoglieva totalmente il ricorso presentato dal nostro legale per il reintegro degli operai della cooperativa CDS, consorzio Oversin&R.C.O. nel magazzino Rhiag di Siziano (PV), nonché il dovuto risarcimento per le mensilità sottratte ai lavoratori a decorrere dalla data dell’illegittimo licenziamento.

Ostativa ad adempiere a tale pronunciamento perentorio, è la liquidazione volontaria delle due cooperative CDS e QUANTUMCOOP un mese dopo il licenziamento anti-sindacale e discriminatorio dei nostri compagni; al loro posto Oversin&R.C.O. crea quattro nuove società cooperative, FOUR LOGISTIC SERVICES, TRE-C, DELIVERY HANDLING SERVICES e COSEFA, aventi sede legale presso la sede operativa delle “moriture” CDS e QUANTUMCOOP, assegnandone la presidenza del consiglio di amministrazione ai responsabili delle precedenti, tra l’altro firmatari delle lettere di licenziamento del marzo scorso.

 

La difesa legale del consorzio è stata affidata, guarda un po’, allo studio legale ICHINO, Brugnatelli ed associati confortevole casa dell’avvocato giuslavorista, noto per i fattivi contributi ideologici e di merito alle riforme del lavoro che hanno avuto corso negli ultimi due decenni ed alla recente legislazione-offensiva anti-operaia del Jobs Act (oltre che essere senatore tra i banchi del PD ed ex dirigente della FIOM-CGIL). Distintosi inoltre, in ultima istanza, per essere uno dei più protervi sostenitori della limitazione (primo passo verso l’agognata abolizione) del diritto di sciopero, non avendo mancato di pronunciarsi contro le nostre recenti iniziative all’interporto di Bologna, per la difesa delle compagne e dei compagni della cooperativa Mr.Job licenziate/i dai laboratori della moda e passerelle YOOX. La filosofia al centro della propria attività legislativa e giudiziaria, come senatore e membro della commissione permanente del lavoro e della previdenza sociale, è riassumibile senza perifrasi nel classico principio economico-politico che il diritto borghese sia subordinato all’economia borghese, adagiandosi al proprio ruolo di sovrastruttura funzionale a perpetrare lo sfruttamento di una classe sull’altra, dell’uomo (tutelato e riverito, si arricchisce) sull’uomo (perseguito ed umiliato, si accontenta).

 

In tale quadro ai lavoratori non resterebbe che la rinunciataria e prona prospettiva di essere servilmente alla mercé di un sistema di mercato che si auto-regolamenta nelle proprie esigenze di profittabilità, conservazione e riproduzione; e che l’alienazione venisse illusoriamente blandita da uno stato sociale che garantisca loro di rimanere a galla e sperare di essere ricollocati nel mercato della “forza lavoro”. Sebbene gli operai ne acquisiscano via via più coscienza, attraverso le lotte che si stanno dispiegando contro la recrudescente barbarie di questa perdurante “crisi economica” capitalistica.

 

Il decreto attuativo del Jobs Act (D.lgs 23/2015), introduce il cosiddetto contratto “a tutele crescenti”, il quale garantisce ai padroni la possibilità di licenziare la propria “forza lavoro” per fattori economicamente “oggettivi” o per licenziamento “illegittimo” ma non “discriminatorio”, ricorrendo ad un indennizzo di un massimo di 24 mesi di salario senza essere obbligati al reintegro. Una transazione che nella fideistica concezione progressista-borghese del welfare state, dovrebbe garantire la sopravvivenza, unitamente all’accesso agli ammortizzatori sociali riformati dal D.lgs 148/2015 (ormai campo d’intervento e d’azione privilegiato dai rottamatori e burocrati di CGIL-CISL-UIL), a tutti coloro che vengono epurati ed esulati coattivamente dalla produzione di valore nel mercato. Mercato della “forza lavoro” che deve essere approntato a riassorbire e riabilitare al proprio interno i proletari oggetto di tale estromissione, garantendogli nel frattempo i mezzi giudicati bastanti per la propria riproduzione sociale alle inderogabili ed indiscutibili ulteriori condizioni “a perdere” stabilite dal padronato.

 

Le contraddizioni vive che vediamo delinearsi in questo quadro, sono tanto più evidenti quando analizziamo ed eccepiamo il diffuso malessere sociale generato dall’esasperato sfruttamento da una parte, e dalla disoccupazione dall’altra (dati istat); che contestualizzate nella società capitalistica altro non sono che due facce della stessa medaglia.

 

Alla Rhiag di Siziano i 13 lavoratori del S.I. COBAS che hanno rivendicato migliori condizioni di lavoro e salariali sono stati licenziati a marzo. Nell’intervista realizzata dai compagni dei Clash City Workers (Intervista a cura di clash city workers) si può desumere un quadro complessivo di come funzionassero e funzionino tutt’ora le dinamiche di sfruttamento all’interno di questo magazzino: imposizione ad effettuare giornate lavorative di 12-14 ore, obbligando quindi i lavoratori, impiegati a ritmi massacranti e sotto perenne stretta sorveglianza dei caporali delle cooperative, ad accettare di svolgere ore straordinarie perlopiù pagate in nero con risibili cifre forfettarie diverse a seconda del livello di collaborazionismo. Frutto malato del ricatto di non poter sopravvivere con una paga oraria netta inferiore ai 5 euro lavorando otto ore e della minaccia di essere lasciati a riposo indeterminatamente e perdere ulteriore salario.

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Vero cuore dell’attività di Rhiag, che distribuisce in gran parte d’Europa componentistica e ricambistica per auto (entro e fuori dai paesi membri dell’unione monetaria della “zona euro”: Svizzera, Repubblica Ceca, Spagna, Ucraina, Polonia, Ungheria, Romania, Slovacchia) sono i magazzini della logistica, come i due principali a livello nazionale, ex-Bertolotti, di Siziano (PV). Qui le attività di magazzino sono appaltate al consorzio Oversin&R.C.O., che a sua volta affida alle cooperative consorziate lo svolgimento delle lavorazioni garantendo alle figlie, “legittime” o meno, divise, DPI e mezzi per la movimentazione delle merci.

 

In questi anni Rhiag è alacremente impegnata nella propria collocazione in borsa (aveva già dovuto rinunciarvi nel 2011, quando era controllata dal Fondo Alpha, per un eccessivo prezzo delle azioni rispetto all’affidabilità del volume d’affari dell’azienda, http://www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2011-05-27/rhiag-rinuncia-borsa-salta-064118.shtml?refresh_ce=1) tramite il gruppo d’investimento Apax (che, subentrata nel businness dell’aftermarket auto al Fondo Alpha, controlla finanziariamente Rhiag dal 2013, http://www.repubblica.it/economia/finanza/2013/10/09/news/apax_mette_le_mani_su_rhiag_il_fondo_alpha_si_chiama_fuori-68262986/) e dovrebbe vedersi “finalmente” quotata nel 2016. È indubbio per Rhiag dover dimostrare che il proprio margine operativo lordo sia stabile e profittevole (in base a tale indicatore di redditività Rhiag è valutata circa UN MILIARDO #1.000.000.000# di euro ed Apax vorrebbe incassare almeno 10 volte questo valore dalla vendita azionaria, http://bebeez.it/2015/07/17/apax-si-prepara-gia-al-dual-track-per-rhiag/).

 

Per raggiungere tale scopo, Rhiag si affida all’intermediazione di manodopera del sistema cooperativo tanto diffusa nel settore della logistica. La capacità di tale sistema è inoltre garantita da leggi e sotterfugi elusivi approntati ad hoc, allo scopo di abbassare il costo della “forza lavoro” in questo settore chiave, attraverso la collaborazione di impuniti sfruttatori come quelli che gestiscono i magazzini di Siziano. La smisurata sottrazione di valore al “costo del lavoro” dei facchini Rhiag di Siziano a favore del profitto dell’azienda, ha però necessità di essere supporta e tutelata dal sistema nelle sue poliedriche emanazioni di potere istituzionale perché si perpetri senza interferenza e concorra a realizzare l’obbiettivo; senza lesinare sulle congrue prebende destinate a consorzio e cooperative. A titolo puramente esemplificativo, tale sottrazione è stata quantificata dai nostri conteggi a circa 30.000 euro di media per ciascun operaio, in quattro anni di semi-schiavitù.

Perciò la legislazione e le conseguenti prassi giudiziarie non possono interdire il processo in atto nemmeno di fronte ad una sentenza di reintegro che, emessa per la palese indifendibilità della violenza anti-sindacale del consorzio Oversin&R.C.O. e Rhiag, viene aggirata grazie alla disinvoltura concessa ai soggetti giuridici coinvolti, nella forma societaria cooperativa e consortile (affrancandole al ruolo di vere miniere d’oro per caporali e sfruttatori nell’ultimo decennio). Divincolandosi così dal riconoscere ai “soci” lavoratori diritti contrattuali e dignità pari a quelle dei lavoratori dipendenti, comunque scardinate dalla riforma dell’art. 18 dello statuto dei lavoratori.

 

Tale arroganza, che spesso e volentieri asseconda, nelle dinamiche di accumulazione intermedie, veri e propri circuiti malavitosi di riciclaggio di denaro ed improprie attività collaterali, non trova più giustificazione nella distinzione che le organizzazioni padronali del sistema cooperativo (Legacoop, Confcooperative ed Agci) e sindacalismo confederale (CGIL, CISL e UIL) stabiliscono tra cooperative presunte “virtuose” e “spurie”. Quando questa distinzione viene adottata anche da personaggi della sinistra riformista e non (la peggiore congrega della storia istituzionale in Italia ad assecondare e tessere l’annichilimento del movimento operaio) come il sopracitato Ichino, in realtà rimestano nel torbido, favorendo e supportando all’occorrenza anche le peggiori canaglie che tale sistema esprime: trafficanti di braccia e sudore ben al di sotto delle tariffe già risicate, stabilite dal mercato e promotori di levate squadristiche prezzolate contro gli operai in sciopero.

 

Quando dunque non basta la riforma politica (e nel caso dei nostri compagni non sussiste cronologicamente e formalmente l’applicazione delle “tutele crescenti”, tanto che lo stesso giudice ne ha stabilito il reintegro, chiaro e netto), la permeabilità all’inganno ed all’elusione garantita al sistema giuridico-malavitoso cooperativo-mutualistico entra in scena: è sufficiente ai padroni liquidare una cooperativa, per riuscire a schivare senza colpo ferire una sentenza giudiziaria. Tutto è approntato perché il “naturale” corso delle cose, voluto ed incrostato nelle menti dalla cultura borghese dominante, che utilizza come viatico la facile propaganda populista dei partiti reazionari e la ragion-di-stato promossa dai partiti della sinistra imperialista, abbia luogo senza ostacolo. Ed a cui anche parte della classe operaia ricattata ed asservita a forza si presta, vittima spesso e volentieri della retorica filo-congiunturale ed anti-operaia dei sindacati corporativi.

In merito agli scioperi della Yoox si legga articolo huffingtonpost  con le dichiarazioni di Alberto Ballotti della Filt Cgil di Bologna e in venti minacciano il capitalismo

 

L’attacco ai lavoratori è sferrato a 360 gradi, su innumerevoli fronti. La lotta di classe dei padroni si dispiega più recrudescente che mai e saremmo degli ingenui se credessimo che tale ulteriore possibilità sia casuale. Levarsi di torno operai che abbiano coraggiosamente affrontato la sistemica contrapposizione di fondo tra una retribuzione dignitosa e lo sfruttamento e l’umiliazione, andandosi ad insinuare in un ganglio più profondo della struttura capitalista, è tanto più facile per i mezzani-padroni cooperativi: mutano ragione sociale e partita IVA ed, hop-là, il gioco è fatto. Dato che il capitale sociale delle cooperative è costituito dalle quote versate dai soci e null’altro (il C.C. pure prevede che sussista un fantasioso principio “democratico-paritario”, e non proporzionale alla consistenza della partecipazione o rispetto al ruolo ricoperto, nella gestione della società cooperativa) e data la “responsabilità limitata” concessa ai titolari delle cariche amministrative, dimostrare di essere insolvibili è gioco facile e sostenibile a fronte di qualsivoglia sentenza di tribunali del lavoro.

 

Scardinare questo sistema di sfruttamento deve essere una nostra rigida priorità. L’intermediazione di manodopera a basso prezzo garantita dal sistema cooperativo, gioca sempre e comunque a favore delle aziende committenti che, attraverso il lavoro in appalto, possono enormemente tagliare i costi sulla manodopera attraverso lo sfruttamento di sponda dei “miserabili” soci lavoratori di cooperativa, assoggettati alle nefaste deroghe concesse ai regolamenti interni ed alla fragilità della loro posizione giuridica. Così come insinuato in sede processuale dalla prof.ssa Mariella Magnani, docente di “diritto del lavoro” all’Università degli studi di Pavia e componente del collegio difensivo della cooperativa CDS in liquidazione: il socio di cooperativa escluso per essere contravvenuto agli unilaterali princìpi comportamentali statutari (salvo che nel caso di CDS nessuno si sia mai interessato, né fosse predisposto, a sanzionare immediatamente i quotidiani gesti squadristici, le angherie e gli abusi degli sgherri del padrone nei magazzini o parametrarli ad eventuali “codici comportamentali”), dovrebbe vedersela con il tribunale delle imprese poiché la propria posizione di socio-azionista “anticiperebbe” giuridicamente quella di lavoratore subordinato ulteriormente instaurata con la “propria” società. L’esclusione disciplinare da socio, prevalendo allora sul presunto licenziamento disciplinare da subordinato, che ne sarebbe solo conseguenza, se accettato giudizialmente rappresenterebbe un ulteriore drammatico precedente ai danni dei lavoratori, esautorando il ruolo della propria rappresentanza sindacale in loro difesa.

Tutto ciò, come per tanti operai scagliati sull’orlo della soglia di povertà o confinati a spaccarsi la schiena in interminabili giornate di lavoro, per avere reclamato più di 5 euro netti all’ora, otto ore di lavoro, ed essere trattati dignitosamente.

A fronte di tutto quanto, dopo essere stati aggrediti dai servi dei mezzi-padroni con mazze ed ammortizzatori di camion, siamo ritornati davanti a quei cancelli e ci ritorneremo.

 

 

Ritorniamo con la memoria alla celeberrima “marcia dei 40.000” quadri FIAT, organizzata dai padroni, che impestò le strade di Torino il 14 Ottobre del 1980; dopo 35 giorni di sciopero con picchetti stabili davanti ai cancelli di Mirafiori e svariate manifestazioni per la città, gli operai torinesi avevano intrapreso una lotta senza quartiere per determinare i rapporti di forza in un quadro che presagiva il punto di non-ritorno nel processo di ristrutturazione capitalista. E lo fecero, privi del supporto politico e sindacale di rappresentanze ormai prone ad assecondare la “congiuntura” e le necessarie, sacrificali misure salvifiche che la borghesia esigeva ed impose. Pensiamo inoltre alla dura repressione delle lotte del 1919-20; quando il movimento operaio ordinovista torinese tentò l’innesco di una miccia rivoluzionaria sulla scia lunga del potere dei soviet russi. Fu allora, per reazione conservatrice, oggetto della violenza fascista assurta a rappresentanza istituzionale della borghesia nazionale. Da tutto ciò possiamo cogliere qualche suggestione riguardo il presente.

 

Fare nostro in particolare il fatto che il capitalismo declina questo dominio con i mezzi di volta in volta più adeguati, siano essi la repressione poliziesca-giudiziaria o gli attacchi convergenti ai diritti dei lavoratori. Lo stesso, talora rarefatto sui propri ponti di comando trans-nazionali dei banditi della BM, FMI, UE, BCE, o ramificato nei grumi di potere coi quali governa nei più remoti anfratti della provincia.

Un fatto è palese: che per alcuna manifestazione di questo potere si concretano nell’immediato occasioni o strumenti per combatterlo in senso più generale, al di là della rabbia e del disprezzo.

 

La solidarietà di classe è un fermento che né si auto-alimenta ed arde a pieno ogni giorno, né cova sotto le braci per erompere a richiesta. È invece un processo di disciplina e coscienza che non ingaggia la propria lotta per scombussolare i piani del capitale in episodiche levate di popolo, ma persegue quotidianamente e coerentemente la propria linea di attacco e difesa scontrandosi, avanzando ed arretrando.

 

La lotta della classe dei padroni contro la nostra classe si riarma ed impunemente ci offende in questa fase attuale; ci ritroverete d’ora in poi davanti ai cancelli delle fabbriche, dei magazzini della logistica, nelle piazze e dovunque sarà necessario riaffermare e portare la nostra contro-offensiva.