Cobas

Risposta all’articolo di Contropiano: “Come i crimini economici della Fiat danneggiano il paese”

Ieri, sul sito del giornale della Rete dei comunisti è comparso un articolo ( che riporto qui sotto) dal seguente titolo: “Come i crimini economici della Fiat danneggiano il paese”. Inizia così: “Le scelte di Marchionne producono danni all’economia e al sistema industriale del nostro paese“. L’occasione è l’ultima visita di Renzi a Cassino con il suo degno compare Marchionne.

Di cui l’articolo denuncia i crimini antinazionali: l’aver portato le sedi fiscali e legali all’estero, il trasferimento in atto della progettazione a Detroit, la chiusura dell’Irisbus e della Menarini, “patrimonio industriale del paese”, per cui l’Italia dovrà ora comprare all’estero i 23.000 nuovi autobus promessi dall’accoppiata Renzi&Del Rio. Il testo si conclude con l’ipotesi di un processo a Marchionne e ai suoi amici ministri condotto dagli operai Irisbus e, insieme con loro, da “tutto il resto del paese“.  
Che Marchionne e la Fiat-FCA siano stati negli ultimi dieci anni la punta di lancia dell’aggressione padronale alla classe operaia e alla massa dei lavoratori salariati, è noto. E noi rivendichiamo con orgoglio di essere stati tra quelli che, oltre a denunciarlo, hanno cercato di contrastarne in concreto la marcia dal punto di vista degli interessi operaidi classe. Qui, però, l’imputazione è un’altra, molto differente. Qui ad accusare Marchionne è “il paese”, il “nostro paese”, l’Italia, tutte le classi unite (“tutto il resto del paese”).

L’accusa è di avere leso gli interessi nazionali, dello stato nazionale. Per il redattore di Contropiano le due cose, l’accusa degli operai e l’accusa della nazione-Italia, in sostanza coincidono.
Intervengo per segnalare la gravità di questa identificazione. Perché “l’economia del nostro paese” non è altro che il capitalismo italiano (ammesso e non concesso, che in tempi come questi si possa chiaramente distinguere tra capitale nazionale e capitale estero). E non c’è nessuna coincidenza tra gli interessi del ‘nostro’ capitalismo e quelli operai, né nella questione Irisbus, né in generale.

C’è soltanto antagonismo, un irriducibile antagonismo. Del resto, se ci fosse stata la coincidenza di cui a questo articolo, Confindustria, Bankitalia e i governi interessati, comitati d’affari della borghesia, avrebbero dovuto opporsi alla chiusura. Ma si sono ben guardati dal farlo. Perché? Perché il loro dogma è che ogni azienda persegua il massimo possibile di profittabilità. E se questo richiede licenziamenti e chiusura di impianti, nessun problema. Anzi, bene così. E avanti ad andare là dove lo sfruttamento del lavoro rende di più.
Marchionne è diventato un intoccabile, un modello per tutti i capitalisti del ‘nostro paese’ (e non solo – non dimentichiamo gli elogi di Obama) proprio perché ha saputo imporre il primato del profitto nelle fabbriche Fiat in vari Paesi del mondo con il massimo di determinazione e di cinismo anti-operaio. Il ‘paese’ dei capitalisti italiani, i grossi e i meno grossi, lo ammira. Altro che processarlo come nei sogni, o deliri, della Rete, di Contropiano e magari anche da parte di qualche lavoratore!

Questi sogni/deliri nazionalisti preparano, per gli operai, disastri. Piccoli disastri, data la limitata incidenza del giornale e della Rete, ma pur sempre disastri. Perché spingono lavoratori e compagni a ragionare ed agire avendo in mente insieme due riferimenti: la classe lavoratrice e la nazione, il ‘nostro paese’. Ma questi riferimenti fanno a cazzotti tra loro, anzi a bombe. Perché gli interessi del ‘paese’, cioè del capitalismo nazionale, esigono che l’Italia sia parte integrante di tutte le guerre scatenate dalle potenze occidentali contro i lavoratori, ieri in Jugoslavia oggi del Medio Oriente (Iraq, Libia, Palestina, Siria…) per assicurarsi un immenso esercito di riserva composto di sfollati, di profughi, di senza-niente, mentre la classe lavoratrice ha tutto l’interesse di denunciare queste guerre – come facciamo da anni – e di opporsi ad esse con tutta la propria energia (da ritrovare). Gli interessi del ‘nostro paese’, inteso nel senso di ‘capitalismo nazionale’, esigono la sua ulteriore espansione nel mondo, la sua ulteriore globalizzazione. E a questa globalizzazione del capitale la sola opposizione utile alla classe lavoratrice è la globalizzazione delle lotte e dell’organizzazione di classe

Il rancido nazionalismo “operaio” (operaio di retroguardia) della Rete e di Contropiano (ricordiamo a chi non lo sa che essi ispirano la politica di USB) porta nella direzione opposta.

Nella direzione dell’Ital-exit, della contrapposizione nazionale e nazionalista alla Germania e all’UE che, come Marchionne, ‘ci’ hanno penalizzati come ‘paese’, e dunque alla contrapposizione concorrenziale con i lavoratori degli altri paesi europei. Ma la Germania della Merkel e dei socialdemocratici, l’Unione europea di cui l’Italia è stata ed è parte integrante non secondaria, la BCE dell’italiano Draghi, colpiscono con violenza i lavoratori di tutta l’Europa, e ancora di più quelli extra-europei sotto il loro tallone. Il nazionalismo, comunque motivato, anche con ragioni ‘operaie’ (la cosa non è nuova), è la via al più tragico dei disastri. Il movimento di classe rinascerà solo sulla base dell’autonomia degli operai, dei lavoratori, dal ‘nostro’ schifoso capitalismo nazionale, solo sulla base della fraterna alleanza con i proletari di tutti i paesi, che già compongono il proletariato in Italia (immigrati). L’uscita dalla povertà e dalla disoccupazione delle tante famiglie operaie colpite dalla banda Renzi-Marchionne e dal processo di de-industrializzazione messo in atto dai capitalisti del ‘nostro paese’ può essere affidata solo ed esclusivamente a questa prospettiva rivoluzionaria.


Aldo Milani Coordinatore Nazionale SI Cobas

Sotto l’articolo di Contropiano:

Le scelte di Marchionne producono danni all’economia e al sistema industriale nel nostro paese. Una esagerazione? No e i fatti lo stanno dimostrando. Basta leggerlo con attenzione sui giornali e vedere quello che c’è, quello che non c’è e fare le dovute connessioni.

Le cronache di oggi e i telegiornali di ieri hanno resocontato della visita di Renzi e Marchionne nello stabilimento Fca (ex Fiat) di Cassino. Il primo per incassare qualche consenso al Si nel referendum, il secondo per ribadire che “Renzi lì ce lo abbiamo messo noi”.
Dolosamente, nessuna cronaca riferisce che alla vigilia della visita di Renzi e Marchionne un operaio è finito d’urgenza in ospedale perchè investito da un carrello nello stesso stabilimento. E’ strabiliante come i giornalisti a seguito siano riusciti a non sentire nulla nè letto i flash di agenzia che riferivano quanto accaduto. Niente doveva guastare la kermesse del premier “messo lì” dal manager di una multinazionale che per anni è stata “simbolo del sistema Italia”.

I giornali, La Repubblica in testa, amplificano invece la narrazione tossica sull’innovazione, sulla competitività e le magnificenze dell’industria 4.0, diventata una sorta di prezzemolo mediatico ed evocativo che viene buttato lì ovunque, come una sorta di futurismo di ritorno ad uso  e consumo del patto tra governabilità e interessi delle multinazionali. Dentro questa narrazione la Fca viene presentata come esempio vincente di competitività industriale e tecnologica in un settore ormai saturo come quello dell’automotive. Nessuno che abbia mai il coraggio di porre domande sul fatto che la Fca abbia portato la sede “fiscale” a Londra e la sede legale in Olanda. Un artifizio per pagare meno imposte allo stato italiano. Anche gli studi strategici sulla progettazione, ancora in parte a Mirafiori, sono in via di trasferimento a Detroit.

Ma i danni che la Fca sta producendo al nostro paese non attengono solo al presente e al futuro. Non torneremo neanche sugli abbondanti finanziamenti pubblici ricevuti nei decenni (fiscalizzazione degli oneri sociali, finanziamenti ai piani di settore, cassa integrazione etc.) dalla Fiat. Sarebbe troppo vero ma anche troppo facile. Parliamo invece di 4,4 miliardi di euro e commesse industriali andati perduti insieme a pezzi strategici del patrimonio industriale del paese a causa delle scelte di Marchionne.

A spiegare questo crimine economico, è del tutto involontariamente, il ministro Delrio in una intervista di oggi al Corriere della Sera dedicata al trasporto locale. A parte la gioia per aver dato via alla liberalizzazione nel settore (dunque alla privatizzazione delle aziende del trasporto pubblico locale), Delrio afferma che il governo ha stanziato 3,7 miliardi per il rinnovo del parco autobus che si aggiungono ai 700 milioni già stanziati in passato. Di fatto si prevede la sostiutizione di quasi 23mila autobus nei prossimi anni in funzione del trasporto pubblico locale. Insomma i privati che si papperanno le aziende municipali, non avranno il costo del rinnovo del parco macchine perchè se lo è già accollato il bilancio pubblico .  Ancora una volta costi pubblici ma profitti ai privati. A fare impresa così saremmo capaci tutti. Ma il danno è ancora e immensamente peggiore. Anche qui nessuno ha avuto il coraggio o la lungimiranza di fare una domanda al ministro Delrio. Benissimo sostituire gli autobus vecchi con quelli nuovi. Ma dove li compreremo? E qui vengono fuori i crimini di Marchionne.

Infatti tre anni fa è stata chiusa la Irisbus, la fabbrica della Fiat che produceva gli autobus in circolazione nelle nostre città. Chiusa perchè Marchionne aveva altre priorità. Poi è stata chiusa anche un’altra fabbrica che produceva autobus: la Breda Menarini.

o 4,4 miliardi di finanziamento e commesse future per 23mila nuovi autobus, nel sistema produttivo italiano non ci sono più fabbriche in grado di costruirli. Ragione per cui lo acquisteremo in Polonia o in Francia (come già avviene per i treni). Una casualità? Vedute corte delle imprese italiane? Oppure conseguenza della centralizzazione produttiva a livello europeo la quale prevede la deindustrializzazione dei paesi più deboli (i Pigs) a tutto vantaggio dell’industria nei paesi più forti (Germania, Francia) e delle loro filiere produttive?

Se la Irisbus non fosse stata chiusa ma magari nazionalizzata, avrebbe adesso commesse industriali per anni e anni e avrebbe dato impulso al sistema industriale collegato. Quindi lavoro, tecnologie, produzione, sviluppo, soprattutto in quel Meridione devastato socialmente e sottoposto ad una desertificazione industriale pesantissima (resistono solo le fabbriche-lager di Marchionne a Pomigliano e Melfi).
Se prima o poi ci sarà un tribunale per i crimini economici e sociali, occorrerà portarvi in catene Marchionne e i ministri che gli hanno permesso di chiudere Irisbus. La giuria? Gli operai Irisbus, le loro famiglie e tutto il resto del paese.