RIFLESSIONI DI UNA MILITANTE DEL S.I. COBAS
MANIFESTAZIONE DEL SI COBAS A MODENA: l’aggressione dei padroni, il divieto delle istituzioni e il protagonismo della classe…
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SE LA MACCHINA DEL FANGO DIVENTA UN BOOMERANG? di Enrico Moroni su Umanità Nova
Quello che colpisce nella vicenda dell’arresto di Aldo Milani, coordinatore nazionale del sindacato SI Cobas, con l’accusa infamante di aver ricevuto denaro in cambio della riduzione di conflittualità nei confronti dell’azienda Levoli, leader nel settore della macellazione e distribuzione delle carni nel modenese, sono due cose:
La prima questione che colpisce riguarda la velocità e il livello di risonanza con cui i media, i principali telegiornali e organi di stampa, hanno riportato la notizia. Una informazione riportata integralmente dalle veline della questura, senza la minima verifica, per cui, ad esempio, i sindacalisti arrestati sarebbero stati due, per cui anche il sig. Piccinini, un imprenditore delle pseudocooperative dell’appalto nella distribuzione per conto della Levoli, si trovava ad essere promosso al rango di sindacalista.
Non possiamo esimerci dall’osservare che questi stessi media e telegiornali, così proni, non danno mai notizia di quanto avviene, ormai quotidianamente, nel settore delle logistica, in appalto alle false cooperative in mano alla mafiosità, dove la mano d’opera è costituita per la maggior parte da immigrati, quando questi, in conseguenza delle lotte anche per il semplice rispetto del contratto, subiscono pesanti cariche della polizia, licenziamenti arbitrari (solo la Levoni ne ha licenziato 52 per le lotte rivendicative), denunce, fino all’assassinio come è avvenuto a Piacenza, dove un lavoratore che difendeva i propri diritti è stato travolto da un camion su precisi ordini del dirigente aziendale.
Tutto questo non fa notizia, come non la fa il ricatto che questi lavoratori subiscono quotidianamente nell’essere sottopagati, o nel non ricevere il pagamento degli straordinari, costretti a subire carichi di lavoro fuori di ogni regola, super sfruttati, sottoposti al ricatto della perdita di lavoro che significa perdita del “permesso di soggiorno”.
Come mai non fa notizia quando quelli che controllano gli appalti con false cooperative nella logistica, aggrediscono con agguati mafiosi coloro che portano avanti queste lotte o le sostengono?
Come mai non ha fatto notizia quando lo stesso coordinatore nazionale del SI Cobas, poi arrestato a Modena, ha già ricevuto un “foglio di via” dalla questura di Piacenza solo perché svolgeva la sua funzione, sostenendo e seguendo la lotta dei lavoratori dell’Ikea nella stessa località?
E’ troppo evidente la montatura messa in atto dai vertici della Levoni, in combutta con gli apparati polizieschi e con il sostegno dei mezzi di comunicazione, nel tentativo di stroncare quelle lotte del settore della logistica che non riescono a domare con la repressione, ricorrendo alla macchina del fango.
La seconda questione che colpisce è la grossolanità con cui viene imbastita la montatura, facilmente smontabile. Si mostra come prova un video, ovviamente predisposto dalla polizia, della durata di pochssimi secondi, senza l’audio, in cui si vede Aldo Milani a colloquio con i dirigenti della Levoli, nel corso della trattativa sulla questione dei licenziati, mentre s’intravede che uno dei dirigenti consegna una busta in mano al sig. Piccini che poco ha a che fare con il sindacato SI Cobas, molto con gli affari dell’azienda Levoli. E’ un responsabile di pseudo cooperative appaltate dalla ditta Levoli. Una trappola quindi facilmente smontabile.
Evidentemente, le aziende che operano nel settore devono essere in grande difficoltà per la durezza delle lotte dei facchini che ne bloccano la produzione e soprattutto la distribuzione, per cui non ritengono più sufficienti le azioni repressive sopra evidenziate, ricorrendo alla macchina del fango per fermare tali lotte.
Ma la domanda che ci si pone è: se queste montature a scopo diffamatorio sono così grossolane che si sciolgono come neve al sole, che vantaggio ne traggono i loro diffusori? Evidentemente, disponendo dell’appoggio degli apparati polizieschi e soprattutto degli organi di “disinformazione”, sanno che questi ultimi, dopo aver accuratamente diffuso la “notizia”, ben difficilmente la ritratteranno quando la verità verrà a galla. Così si spera che il veleno seminato possa fungere da deterrente a quelle lotte conflittuali che i sindacati di regime, quali Cgil-Cisl-Uil, non riescono a controllare.
Infatti, già dalla prima udienza, mentre il sindacalista Aldo Milani ha dato tutte le spiegazioni richieste, il sig. Piccini si è avvalso della facoltà di non rispondere. La stessa azienda ammette, nella sua denuncia, che non ha assolutamente idea del coinvolgimento del Milani. Quindi la montatura si sfalda presto, mentre gli organi d’informazione, che con tanta enfasi avevano dato la notizia dell’arresto e soprattutto delle motivazioni, oggi tacciono.
Nell’esprimere tutta la solidarietà ad Aldo Milani, all’organizzazione del SI Cobas e a tutte le vittime della repressione, tra cui i 52 licenziati della Levoni, si auspica che questo maldestro tentativo di attivare la macchina del fango contro le lotte fuori controllo, si trasformi in una reazione di lotte dure contro chi ha osato tanto.
Enrico Moroni
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NO ALLA CRIMINALIZZAZIONE DELLE LOTTE! RIFLESSIONI DOPO LA SCARCERAZIONE DI ALDO – CSA VITTORIA
Il compagno Aldo Milani è finalmente libero, scarcerato sabato pomeriggio dopo l’udienza di convalida tenutasi tra le mura del carcere di Modena. Il GIP chiamato a decidere sulla convalida dell’arresto del compagno lo ha comunque confinato, nei fatti, a Milano imponendogli un obbligo di dimora. La montatura sta però crollando sotto il peso della stessa architettura maldestramente assemblata da Questura e Procura di Modena, l’imprenditore della carne Levoni e un sinistro figuro già conosciuto nel sottobosco corrotto del mondo della cooperazione emiliano-romagnola.
Un tessuto produttivo, quello della regione “rossa”, nel quale la cooperazione ha un primato che sembrava indiscutibile e che ha saputo esprimere una figura come Poletti, l’attuale Ministro del Lavoro, oggi tra le punte avanzate della guerra al lavoro.Uno degli assoluti protagonisti, tanto nel governo Renzi quanto nella sua attuale fotocopia Gentiloni, dell’opera di ristrutturazione del mercato del lavoro, di contrazione dei salari, di liberalizzazione dei licenziamenti e, complessivamente, di metodica demolizione di diritti e garanzie residue conquistati in decenni di dure lotte operaie.
In un contesto di crisi strutturale, infatti, lo schieramento non può che essere quello degli interessi padronali, il perimetro è imposto dalle istanze economico-finanziarie comunitarie e il profitto è l’unico fine da perseguire e proteggere. Un primato pervasivo che innerva ogni settore dell’economia regionale: dalle filiere del comparto della ceramica, della logistica e delle pulizie, al welfare e al terzo settore e, infine, al comparto della lavorazione delle carni, terreno su cui si è sviluppato e inasprito lo scontro di classe negli ultimi mesi e su cui è stata montata l’inchiesta che ha portato all’arresto di Aldo.
Un equilibrio lentamente costruito nel tempo e fondato sul patto e il compromesso con la politica (PCI, prima, PDS e PD oggi) e le amministrazioni amiche e potentati locali. Ciò con la complicità del sindacalismo confederale (CGIL in testa) che, pienamente cooptato e incluso in questo sistema, ha garantito accordi e compromessi al ribasso, dismissioni di tutele e una sostanziale sordina alle lotte garantendo pacificazione e un assoluto disinteresse alle modalità di gestione degli appalti e ai sottesi diritti dei lavoratori. Un sistema affaristico, lambito da inchieste su infiltrazioni mafiose e corruzione (basti pensare a Manutencoop coinvolta nell’inchiesta sugli appalti Expo), nel quali i vantaggi erano distribuiti a tutti i soggetti coinvolti e in cui tutti avevano garantita la propria fetta di profitto.
Un monolite, quindi, che sembrava inscalfibile ma che negli ultimi anni è stato dapprima sfiorato e poi profondamente scosso da quel ciclo di lotte che, esploso nel settore della logistica milanese nel 2008, si è esteso all’intero territorio nazionale e che nelle province di Bologna e Modena ha trovato terreno fecondo per un suo radicamento stanti le condizioni di precarietà e di sfruttamento cui erano sottoposti i lavoratori addetti. Un movimento di lotta che allargandosi di magazzino in magazzino, di stabilimento in stabilimento, ha saputo, attraverso l’autorganizzazione e la lotta, invertire i rapporti di forza dati e conquistare tutele, condizioni salariali e lavorative migliori.
Un movimento esemplare che, rifiutando compatibilità e concertazione, ha saputo indicare a una classe frammentata e depressa l’unica strada possibile per la difesa dei propri interessi: l’unità nella lotta, la solidarietà tra sfruttati, il superamento delle artefatte divisioni comandate dal capitale e del conseguente razzismo. Nella materialità delle lotte è stato infatti dimostrato che ilconfitto di classe è ancora vivo. La risposta alla radicalità e agli interessi messi in discussione non poteva che essere, quindi, dura e determinata. La repressione padronale e poliziesca, diretta a tentare di fermare le lotte, ha investito tanto il piano diretto del rapporto di lavoro (licenziamenti politici, sospensioni, trasferimenti) quanto i cancelli e le aule di Tribunale. Una contrapposizione militare e di criminalizzazione che mai è riuscita a intimidire il S.I. Cobas, i lavoratori e le realtà politiche solidali protagoniste, nella lotta, di blocchi e scioperi.
E nemmeno il deciso salto di qualità tentato da padronato e magistratura con l’arresto di Aldo, nell’illusoria convinzione che decapitando il gruppo dirigente del S.I. Cobas e attaccando l’avanguardia di classe per isolarla dalla massa dei lavoratori e delle lavoratrici si recuperasse terreno, è riuscito nell’intento di disaggregare e colpire questo movimento di lavoratori e solidali. Disarticolare le efficaci armi dello sciopero e del blocco della produzione e circolazione, ulteriori obiettivi mediati di questo attacco repressivo, è risultato vano. Questa è in sostanza la finalità del raffazzonato teorema accusatorio che sostengono le infamanti accuse di tentata estorsione mosse ad Aldo dagli inquirenti: chi si organizza per la difesa dei propri interessi di classe, chi sciopera, non lotta per i suoi diritti e per ottenere ciò che gli è dovuto, ma “estorce” somme di denaro a “innocenti” imprenditori.
La semplice rivendicazione del miglioramento delle proprie condizioni lavorative, il recupero di salari e contributi sottratti dal padronato per massimizzare i propri profitti in spregio a leggi e contratti, diventano per la Procura un ricatto da perseguire. Una teoria ridicola, costruita per criminalizzare le lotte, che rifiutiamo e che gli stessi lavoratori hanno respinto al mittente. E’ proprio la reazione immediata e compatta dei lavoratori che hanno bloccato nella notte di giovedì e nella giornata di venerdì i magazzini di tutta Italia, prima ancora che il S.I. Cobas lanciasse la mobilitazione generale, ha segnato ulteriormente la forza di questo movimento che, lungi dal farsi intimorire, si è ritrovato unito e determinato nella difesa del proprio compagno in contrapposizione alle posizione attendiste e opportunistiche di troppe realtà politiche e sindacali.
Difesa incondizionata e totale che si è poi plasticamente rappresentata davanti al carcere sabato mattina, allorché centinaia di facchini provenienti da tutta Italia hanno letteralmente assediato il carcere di Modena irridendo l’attonita polizia schierata armata a sua protezione. Il segnale lanciato è chiarissimo: alcun attacco rimarrà senza risposta e la repressione e le menzogne non fermeranno in alcun modo le lotte. Né tantomeno vi riusciranno le operazioni di linciaggio mediatico e le montature a tutela degli interessi padronali come quelle scagliate poche ore dopo l’arresto di Aldo.
Ma se la complicità della stampa borghese è scontata e non fa clamore, risulta purtroppo assolutamente assordante il silenzio delle altre forze sindacali cosiddette conflittuali. Di queste nessuno, salve pochissime eccezioni, si è esposto. Gli episodi di desolidarizzazione emersi in questa vicenda sono palesi e vergognosi: i distinguo, l’opportunismo, la misera e fintamente legalitaria attesa dell’udienza di convalida per avere contezza assoluta dell’innocenza del compagno, l’omertà, la meschinità di piccole e miserabili rivalse personali, danno il segno della scarsa integrità e sostanza politica di quanti hanno preferito voltarsi dall’altra parte.
Ciò in un fragoroso silenzio che oggettivamente ammanta di debolezza l’intero movimento di classe, già frammentato proprio perché troppo spesso asserragliato a difesa della propria bandierina e dei propri interessi di bottega. Se non addirittura di un presunto “marchio Cobas” da rivendicare e proteggere come si può leggere nel comunicato di quel Bernocchi della Confederazione Cobas nel quale abbiamo letto parole di pavido opportunismo fino alla dissociazione. Ma se crediamo che questo triste opportunismo sia utile solo alle logiche di potere (divide et impera) del Ministro degli Interni e delle lobby di potere emiliane, siamo anche convinti che i numerosissimi comunicati e l’enorme manifestazione di affetto e di comprensione di quale sia la posta in gioco che abbiamo visto davanti al carcere di Modena, possano far ben capire come questo gravissimo attacco repressivo sarà spazzato via dalle coscienze di chi sa perché e per che cosa sta lottando e che di fronte a interessi inconciliabili, il proletariato immigrato e non solo, della logistica e non solo, sa e saprà con chi schierarsi.
Ma lasciamo queste miserie alla fine che meritano e al nulla che rappresentano e ribadiamo la piena solidarietà ad Aldo, al S.I. Cobas e a tutti i lavoratori e lavoratrici nostri compagni e compagne con i quali continueremo a lottare per una trasformazione radicale del presente pronti a stare al loro fianco nelle prossime mobilitazioni indette in risposta a questa infame provocazione.