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[SANITÀ] Bozza CGIL CISL UIL per il rinnovo del contratto: e la chiamano piattaforma…

Bozza CGIL CISL UIL per il rinnovo del contratto della Sanità Pubblica 2019-2021
(E la chiamano piattaforma…)

Premessa

Ogni stesura di contratto (piattaforma), ogni piano di lavoro o progetto è sempre
riconducibile a interessi di classe.

Ogni classe è portatrice di valori sociali e di un visione di società che assegna priorità determinate da questi stessi interessi.

La piattaforma che andiamo a valutare non può assumere criteri di valutazione ragionieristici ma collocarla in quella divaricazione di interessi che pone necessariamente in contrapposizione bisogni, e aspirazioni perfettamente
umani a altri bisogni (non umani) propri di un sistema che per perpetuarsi deve
spesso negare bisogni elementari: il pane e aspirazioni più elevate, proprie della
condizione umana, le rose.

La piattaforma che CGIL CISL UIL propongono per la sanità oltre a non rivendicare il pane e tanto meno le rose prevede solo spine.

La spietata guerra di concorrenza schiera i confederali, come ausiliari, a fianco degli interessi della borghesia.

Questa guerra, che non fa prigionieri.

Questa guerra sacrifica non solo gli interessi degli operatori della sanità sull’altare degli interessi della nazione (la loro nazione) ma viene estesa a tutta la popolazione.

Una popolazione a cui è stata negata: prevenzione primaria, cure e assistenza.

Il dilemma che si è consumato con la pandemia è un tormento storico per la nostra
classe che spesso è costretta a mettere a rischio la propria vita e piegarsi alle condizioni disumane della produzione capitalistica o rinunciare alla fonte della
sussistenza.

All’ILVA, alla Bartolini di Bologna e in centinaia di altri luoghi di lavoro e di rischio, è crudamente posta l’alternativa tra rischiare la vita o patire la fame.

Il compito loro assegnato dallo Stato (ne sono un’articolazione), è quello di seminare illusioni.

Per loro stessa ammissione non ci sono risorse messe a disposizione per il rinnovo contrattuale della Sanità pubblica.

Se non ci sono risorse provano a supplire (come volgari sovranisti) stampando i titoli dell’illusione che come il capitale fittizio rimanda ad una ricchezza da prodursi in un futuro sempre più lontano.

La promozione delle professionalità altro non è che la cooptazione di una esigua
minoranza nel ruolo di guardiani delle politiche aziendali.

Questa operazione serve a seminare discordie, invidie e concorrenza tra i
lavoratori.

La nostra contro- piattaforma deve avere come caposaldo l’unificazione di tutto il
personale sanitario: sia pubblico che privato.

Impostare un lavoro per rivendicare: un contratto unico per tutta l’area
sanitaria e socio-sanitaria è la polarità a cui tendere e a cui legare fermenti e
proteste che altrimenti saranno facilmente tenuti sotto controllo.

Un patto d’azione tra tutti i soggetti che si riconoscono su questo obbiettivo è una
necessità e un’urgenza.

La bozza di piattaforma anticipata da CGIL CISL UIL per il rinnovo del contratto della sanità pubblica 2019-2021 stilata prima dell’esplosione dell’epidemia è ascrivibile ad un’altra epoca storica.

Con l’epidemia Covid-19 tutto cambia.

L’intreccio tra crisi epidemica e crisi economica modifica lo scenario di riferimento e apre una fase di crisi sociale. Piani, progetti e piattaforme andrebbero rivisitati.

Dalle prime mosse, un aggiornamento di linea non sembra affatto nelle loro corde.

La continuità con l’impostazione che si aveva con il precedente contratto è assoluta, ne è la continuità esatta.

Se lor signori, nel frattempo, non passeranno dalle parti di Damasco, non sembra proprio che vogliano mutare direzione.

CGIL CISL UIL con la firma del Protocollo Sicurezza d’intesa col governo fa una scelta di campo chiara: prima la continuità del sistema produttivo, costi quel che costi in termini di vite umane.

Il protocollo è fatto solo d’impegni “morali” facili da eludere.

Il codice Ateco è stato bellamente aggirato dalla quasi totalità delle aziende.

La storia e la dislocazione geografica dell’epidemia coincidono con la diffusione del tessuto industriale sul territorio.

L’esercito del lavoro in piena epidemia era concentrato nelle fabbriche dove il distanziamento sociale è fisicamente non attuabile.

Interventi successivi confermano la subalternità delle confederazioni al capitale e
accompagnano le spinte industriali.

La Confindustria di Bergamo diffonde il video “Bergamo is running/Bergamo non si ferma”.

Sala rilancia a nome del comune la pagina FB: “Milano non si ferma, a Milano si lavora”.

La settimana della moda (non certamente una produzione per bisogni primari) non viene fermata.

Su queste e centinaia di altre malefatte, i Confederali non abbozzano né reazioni né proteste.

Semplicemente non esistono e se ci sono dormono. Quindi, salvo ripensamenti dell’ultimo momento (l’ipotesi di contratto accumula un ritardo di quasi due anni), la piattaforma è nei fatti confermata ed è da questa che dobbiamo partire.

Viene dichiarato espressamente che il nuovo contratto dovrà “completare il lavoro avviato con il precedente contratto per costruire il nuovo ordinamento professionale e migliorare i diritti e le tutele”.

Salario

Nella bozza poco, quasi niente, viene richiesto in termini di recupero salariale. Continueranno, non dichiarandolo e con camuffamenti creativi, le politiche delle rinunzie e dei sacrifici.

C’è una affermazione generica su “innalzare il livello delle retribuzioni” ma scorrendo la bozza nulla viene indicato in concreto sul quando e sul come procedere.

Per mettere in luce le reali intenzioni occorre diradare la fumosità delle proposte per scoprire che alla fine c’è molto poco o addirittura niente. Si tenga conto che queste “ardite” richieste dovranno essere contrattate con ARAN sentito il Comitato di settore (Conferenza delle Regioni a cui partecipa un rappresentante del Governo, designato dal Ministro della salute).

Nello specifico: “Consolidamento e conglobamento nella retribuzione tabellare dell’elemento perequativo definito dall’art. 78 del CCNL 2016/2018”.

Sotto la voce elemento perequativo, pensato a beneficio dei livelli retributivi più bassi, dall’1/4/2018 si riconosce per 9 mesi in busta paga un incremento salariale mensile di 4 € per Ds6 10 € per i D4, 30 € per il livello A. Sono cifre di cui già disponiamo e che si vuole estendere per 13 mensilità.

Recupero salariale effettivo è per Ds5 e Ds6 36€ all’anno, per D4 40€, per A 140 €.
“Conglobamento nella retribuzione tabellare dell’Indennità di Vacanza Contrattuale”.

Da luglio 2018 sono già in busta paga. Per un D4 sono 8 € su base mensile, esempio questo che chiarisce la pochezza del recupero salariale a tutti i livelli retributivi.

“Adeguato incremento della retribuzione tabellare, al netto dei conglobamenti precedenti, di un valore economico non inferiore a quello attribuito nel contratto 2016-2018”.

L’incremento del contratto precedente su base mensile variava da 90€ per un Ds6 a 50 € per il livello A e 77€ per un D4.

In termini percentuali, per un Ds6 l’incremento è dello 0,29%, per A 0,72% per D4 0,45%.

Senza addentrarci nello studio particolareggiato delle singole posizioni e considerando che l’inflazione prevista dall’ISTAT su base annua è dello 0,2% si può concludere che nel contratto non c’è nessuna intenzione di recupero salariale.

In busta paga, per esempio, un Ds6 si troverà un aumento di 88€, un ausiliario 122€ e un D4 117€, ma solo a regime perché inevitabilmente, come sempre è avvenuto, saranno contingentati in più scaglioni.

Comunque tutto dovrebbe ruotare intorno ad un aumento medio di 100€
“Per questo, fermo restando la necessità di superare preliminarmente e per via legislativa il tetto di spesa…”.

Per loro stessa ammissione, quindi, CGIL CIS UIL riconoscono che la disponibilità finanziaria non c’è.

A meno che i Confederali non confidino in un ripensamento, per via legislativa, ossia in uno scavalcamento a sinistra da parte governativa e della Conferenza delle Regioni (depositari della cassa), il nuovo contratto si annuncia come quei matrimoni fatti con i fichi secchi.

Questo esclude dal loro orizzonte ogni rivendicazione che parta dai bisogni degli operatori della sanità.

Viene conferma la natura di sindacato subalterno agli interessi della nazione che coincidono con gli interessi della borghesia piccola, media, grande, industriale, finanziaria o parassitaria.

Si affideranno a quello che maggioranza e opposizione vorranno concedere dopo aver subito le pressioni del fronte padronale che già tuona contro l’assistenzialismo alla povertà e rivendica solo politiche a favore delle aziende.

Non bisogna essere delle cassandre per capire che fine faranno gli sbandierati 3,7 miliardi che il Ministero della Salute promette per il potenziamento della Sanità Pubblica.

Non certamente l’assunzione di nuovo personale!

In piena emergenza covid-19 hanno continuato a non far scorrere le graduatorie degli idonei vincitori di concorsi e continuano le esternalizzazioni di attività anche strettamente sanitarie.

Si deve considerare ancora che una quota di questo ipotetico aumento sarà taglieggiato di quella parte di welfare contrattualizzato in bonus e dal 10% che andrà alla contrattazione di secondo livello.

E’ un mistero.

Dovranno spiegarci come e con quali soldi vogliono finanziare la promozione
delle professionalità e la revisione delle indennità.

Una prima e inconfessata soluzione è quella di esasperare ulteriormente i criteri di premialità, togliendo alla massa dei lavoratori (laureati e non) per dare un contentino alle figure apicali dei vari profili professionali, in aggiunta a tante medaglie di cartone.

Nella migliore delle ipotesi gli stanziamenti a favore della sanità, tanto strombazzati, sono circoscritti all’emergenza epidemica e andranno ad incrementare contratti a tempo determinato ed è fuori luogo che questi vogliano promuovere nuova occupazione con contratti a tempo determinato.

In Francia chiedono 300 € di aumento nel quadro di una sollevazione che ha coinvolto migliaia di sanitari e popolazione.

Il 16 giugno ci sono stati 220 cortei in città grandi e piccole.

I temi e le rivendicazioni sono sovrapponibili ai nostri.

Questa è una grandezza di riferimento necessaria per attuare un recupero salariale fermo da un ventennio.

Orario di lavoro

Nonostante la rivoluzione dei turni e degli orari conseguente all’adozione dell’orario di lavoro “europeo” che ha messo fine alle deroghe, di fatto si applica un nastro lavorativo articolato in 12 ore diurne e 12 ore notturne.

Curioso che su questo snodo degli orari, da destra e da sinistra, nessuna critica all’Europa “maligna” sia stato mai mosso.

La rimozione è totale.

Questo passaggio non è stato mai formalizzato ed esplicitato, ma è conseguente al venir meno di quell’ultimo presidio legale che stabiliva per legge (8 ore di lavoro ordinario) la durata massima giornaliera dell’orario di lavoro, misura, questa, risalente addirittura alla monarchia sabauda in via di fascistizzazione.

Ora la durata della giornata lavorativa è desunta per sottrazione dalla 24 ore giornaliere. 24 meno le 11 ore di riposo biologico tra i turni e almeno mezzora di pausa (ma non per i turnisti).

Quello che resta è tempo di lavoro gestito in via esclusiva dalle direzioni e l’informativa da dare alle controparti sindacali è solo un obbligo di bon ton.

Possibile che nessuno se ne sia accorto, né i confederali né il sindacalismo “di base”?

Questi turni così concepiti per medici, infermieri, e per tutto il resto degli operatori sanitari, sono antecedenti all’emergenza epidemica.

Sono turni massacranti che fiaccano fisico e spirito e mal si conciliano con urgenze, emergenze e complessità proprie della cura alle persone.

La riduzione dell’orario di lavoro è una priorità da rivendicare per lavorare meno,
meglio, tutti!

La riduzione dell’orario settimanale a 35 ore andrebbe a beneficio degli operatori super sfruttati e potrebbe assorbire una quota di idonei, di precari e di tanti altri disoccupati in un quadro di assunzioni straordinarie necessarie per rimettere in piedi un SSN al limite del collasso.

Riclassificazione del personale

Si prende atto che “Il contratto del comparto sanità 2016/2018 ha avuto in primo luogo la funzione di restituire alle lavoratrici e ai lavoratori il diritto ad avere un contratto (troppa grazia) dopo la lunga stagione dei blocchi e degli interventi vessatori della legge.

La quantità delle risorse disponibili, unitamente all’esigenza primaria sopra descritta, non hanno consentito di realizzare tutti i miglioramenti necessari”.

Nonostante il SSN abbia dato una cattiva prova di sé prima del covid-19 e sia di fatto sprofondato con l’esplosione dell’epidemia, la piattaforma, anziché interrogarsi e interrogare la controparte sui tanti perché del fallimento ed approfondirne le cause, risponde con la cosmesi, il rifacimento di facciata, la riclassificazione del personale, ovvero la ri-denominazione di quello che (non) c’è.

Viene messo l’accento sulle competenze, i percorsi formativi, le responsabilità e l’autonomia professionale.

Intanto i carichi di lavoro aumentano e la vera competenza del fare pesa sulle spalle di operatori ridotti di numero e appesantiti dall’età a seguito di ricambi generazionali fatti con il contagocce.

E il più delle volte le nuove leve entrano in servizio con contratti a tempo determinato e/o interinali.

Quando, se non ora, far scorrere le graduatorie degli idonei?

Quando, se non ora, stabilizzare il precariato che si continua ad alimentare in quantità industriali?

Sono questi lavoratori che tengono in piedi quello che resta della Sanità Pubblica.

E’ su questi “eroi della fatica”, sottoposti a sforzi intensi e continuati, che ricade la vera responsabilità che si dispiega quotidianamente tra mille difficoltà.

Su questo numero insufficiente di operatori si scarica la domanda di salute di una popolazione non assistita attraverso una rete territoriale che è ridotta ai minimi termini.

Questi stessi lavoratori sono costretti a vivere da assediati nelle corsie e nei pronto soccorso.

Ma la popolazione non può che rivolgersi a questi per le urgenze che esplodono e maturano
proprio per la mancanza di una rete di prevenzione territoriale e familiare.

Chi chiede aiuto, soccorso e assistenza e non riceve risposte adeguate a volte eccede sino a scaricare l’aggressività su medici e infermieri o altrimenti promuovere azioni legali.

Il giusto risentimento andrebbe indirizzato su chi ha trasformato la salute in occasione per affari.

Per fuggire da una condizione da assediati di Forte Alamo, il personale sanitario farebbe bene a non prestarsi al gioco dei premi come contropartita a rischi e fatica, farebbe bene a non prestarsi al gioco di assicurazioni taroccate contro la colpa grave.

Tutti i sedicenti sindacati che dispensano questa mercanzia in cambio di adesioni sono i terminali di interessi finanziari che speculano sulla salute.

L’azione sindacale deve avere come obiettivo la difesa delle condizioni di lavoro, riducendo ed eliminando i rischi, non monetizzandoli.

I premi al disagio sono la confessione che non si è praticata la difesa dei lavoratori: non sono azioni di difesa collettiva, sono, al contrario, l’esposizione individuale ai rischi.

Sono la negazione dell’idea stessa di sindacato.

Su questo degrado la demagogia ha gioco facile nel seminare illusioni.

Nella bozza viene detto: “In particolare il nuovo contratto dovrà incominciare un percorso di progressiva armonizzazione degli strumenti di valorizzazione professionale fra i contratti dei dipendenti del comparto e della dirigenza, oggi operanti nel sistema sanitario pubblico, sia per quanto riguarda la struttura della retribuzione che per tutti gli altri istituti a partire dal sistema degli incarichi e al fine di garantire percorsi di carriera che diano risposte a tutte le
professioni”.

Su questo “dovrà incominciare un percorso”, sempre fermo ai nastri di partenza, viene veicolata l’illusione di una promozione economica e sociale legata al riconoscimento di lauree, master e titoli vari.

Pur nell’ambiguità di linguaggio, stanno dicendo che i designati, gli incaricati, i pretoriani delle linee aziendali sono un affare delle Direzioni… sentiti (forse) i sindacati maggiormente rappresentativi che certamente daranno battaglia, ma solo per piazzare i propri vice boss.

Per chi non riesce a liberarsi dalla sindrome da piccolo medico questo “dovrà incominciare un percorso” viene amplificato e vissuto come la soluzione.

Viene alimentato il distacco dagli altri lavoratori poco titolati ed è facile l’auto inganno di rappresentarsi come altro da lavoratori salariati.

L’illusione del vincere facile li rende oggetto della demagogia.

Ma non bastano i flash mob e il rivendicare “rispetto per gli infermieri”, andati in onda in molte piazze.

Rispetto, applausi e prossimamente monumenti non mancheranno, ma condizioni di lavoro e livelli retributivi migliori si conquistano con la lotta e l’unità di tutti gli operatori sanitari e socio-sanitari, sia pubblici che privati.

Il passaggio nella dirigenza in forza dei titoli è una pia illusione e se il miracolo si compirà sarà a favore di una esigua minoranza di figure da associarsi come caporali nella gestione manageriale di aziende sempre meno sanitarie e sempre più infiltrate da potentati privati interessati solo a realizzare profitti.

In un sistema dove tutto è regolato dal mercato, tanto che anche la professione medica, un tempo sacralizzata, ne è toccata a tal punto che sono sempre più alti tra i ricercatori e gli specializzandi il precariato e i contratti a termine e part time, la scorciatoia dell’uscita dal comparto fatta baluginare (fatta apparire e sparire rapidamente) equivale ad una uscita dalla realtà.

In un sistema dove tamponi, mascherine e perfino l’ossigeno, e quindi la vita e la morte della popolazione, sono regolati dal mercato, anche il costo della forza lavoro dei “professionisti” della sanità risponde a questo criterio.

In un sistema dove tutto è regolato dal mercato, la promozione della professione (tutte le attività, dalla più semplice alla più complessa, hanno contenuti di professionalità) o è per tutti o per nessuno ed è strettamente legata alla difesa di una sanità pubblica ma che deve essere anche universale, altrimenti non è né pubblica né universale.

La riclassificazione è un bla bla avvolto nella nebbia ma pudicamente si dice che “A tal fine andranno individuate risorse economiche specifiche da dedicare a questo punto”: ma non si pensa neanche lontanamente di strappare al padronato le risorse con la lotta.

Fanno finta di concordare “con ARAN e con il Comitato di Settore “all’interno della commissione paritetica sulla revisione dei sistemi di classificazione professionale (art. 12 CCNL 2016-2018) al fine di elaborare un documento da consegnare ai soggetti negoziali per la definizione del CCNL 2019 -2021.”

Auguri!

Queste le linee guida, questa la proposta di lavoro “che potrà essere arricchita ed integrata a seguito degli ulteriori contributi e degli spunti utili acquisiti nei percorsi di informazione e condivisione che saranno avviati sui territori e nei posti di lavoro”.

Che facce di bronzo!

Dopo anni di non convocazione delle assemblee e di non funzionamento delle RSU, spunti e condivisioni saranno solo quelle etero dirette dalle segreterie territoriali.

Questi pensano che il cosiddetto gioco democratico a questo punto sia salvo.

E’ un bluff e sta a noi lavoratori svelarlo.

E’ un gioco che non si regge in piedi e a cui non crede più nessuno.

Solo il passaggio dalla rassegnazione all’azione, solo il passaggio dalla delega alla auto-difesa dei propri interessi può ribaltare la nostra sorte.

Bisogna prendere esempio dai nostri compagni francesi.

I lavoratori della sanità sono scesi in sciopero da settimane in ospedali grandi e piccoli e stanno dando filo da torcere a Macron e a tutto il sistema di potere sanitario che non è dissimile da quello italiano nel tagliare salari, personale e servizi sanitari.

La “concertazione”, i tavoli, il confronto va sviluppato con i nostri compagni d’oltralpe.

Lasciamo lor signori alle geometrie, ai disegni, alle costruzioni con i lego perché la
classificazione “in aree per gli operatori, per gli assistenti e per i professionisti da scomporsi internamente in posizioni iniziali, posizioni elevate e posizioni apicale” è solo aria fritta per non saper cosa altro raccontare.

S.I. Cobas Sanità – Pubblico Impiego