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[CONTRIBUTO] Dove sta andando la scuola pubblica? Pillole di storia recente sullo smantellamento della scuola pubblica

DOVE STA ANDANDO LA SCUOLA PUBBLICA?

Pillole di storia recente sullo smantellamento della scuola pubblica italiana

“Voi la dimenticate, noi la riapriamo”
“Voi ce la togliete, noi ce la riprendiamo”
“Non l’avete ricostruita voi, ce ne occupiamo noi”
“Avevate in mano il nostro futuro, ce l’avete tolto”

[dalle occupazioni dei licei milanesi]

La scuola superiore italiana è in didattica a distanza (dad) dal 24 febbraio 2020.

Quindi da un anno solare che significa quasi due anni scolastici. Dopo un iniziale periodo di smarrimento, dovuto all’eccezionalità della situazione, la maggioranza dei docenti ha iniziato ad organizzarsi o meglio ad autorganizzarsi, attivandosi con mezzi, strumenti e conoscenze personali o familiari per far fronte al meglio alla situazione inedita.

Questa situazione ha messo fin da subito in evidenza alcune importanti ricadute sulle nostre vite e sull’organizzazione del lavoro a scuola che necessitano una riflessione seria e una presa di posizione.

Le ricadute familiari

Sempre più spesso sono state segnalate difficoltà nella gestione degli spazi abitativi familiari, dove si ritrovano sia adulti in smart working sia adolescenti in connessione da remoto alle loro lezioni. I problemi sorgono sia per quanto riguarda la mancanza del numero dei locali idonei allo svolgimento delle rispettive attività, lavorative e scolastiche, evitando di disturbarsi a vicenda, sia per quanto concerne la mancanza di un numero sufficiente di pc e, quand’anche questo ci fosse, si evidenziano numerose difficoltà di connessione nel reggere più collegamenti contemporaneamente.

Queste difficoltà oggettive hanno fatto sì che alcuni docenti, che spesso hanno famiglie e figli, fossero costretti a fare lezione in orario pomeridiano anziché mattutino creando ovviamente disagi ai loro allievi. Il problema non è solo di carattere “tecnico”, strumenti e spazi a disposizione, ma anche socio-economico, che compromette la possibilità di “stare al passo” con i tempi e i ritmi, le richieste per un numero significativo di alunni-studenti. È dovuta alla difficoltà di attrazione e motivazione di questo tipo di modalità, nonostante gli innumerevoli sforzi da parte di molti insegnati per renderla attraente e coinvolgente, ma che si propone essenzialmente come trasmissione nozionistica e passiva delle conoscenze, a cui si aggiunge la mancanza di un ambito familiare che sia in grado di supportare e sopperire alle difficoltà di concentrazione, interesse, memorizzazione e comprensione che l’uniformità di questo tipo di didattica genera perché privata totalmente della relazione ed interazione attiva dello studente con l’oggetto dello studio. Lo studente viene privato della possibilità di sperimentare, ipotizzare, verificare, progettare, scoprire e formulare soluzioni, concetti, ragionamenti, critica attraverso attività e metodologie che lo stimolino e motivino alla conoscenza e all’apprendimento.

La dad appiattisce l’insegnamento, lo acriticizza, spersonalizza le relazioni, annulla le metodologie standardizzando l’insegnamento ad un rapporto basato sull’ascolto, la memorizzazione e la ripetizione di nozioni in cui molti non riescono, per innumerevoli motivi: mancanza di metodo, difficoltà di comprensione, di memorizzazione, concentrazione…

Difficoltà che diventano ancor più macroscopiche per chi ha problematiche
certificate e che, più di altri, avrebbe bisogno di interventi mirati, di strumenti
diversificati e multiformi, linguaggi non solo verbali o scritti.

Accentua le differenze di classe perché i ragazzi che più risentono delle difficoltà provengono da ambiti familiari socio-economici più deboli che non hanno gli strumenti, le capacità o le possibilità economiche di supportare ed aiutare i propri figli.

Le ricadute culturali

D’altra parte, per le stesse motivazioni, la scuola italiana ha letteralmente perso diversi studenti, impossibilitati a seguire le lezioni da remoto per mancanza di spazi e/o di mezzi idonei, favorendo ed incrementando la diffusione del fenomeno della dispersione scolastica, piaga sociale già rilevante soprattutto al sud. E’ quindi ormai più che assodato che i ragazzi studino e imparino meno in dad per motivi oggettivi, ambientali, logistici, strumentali, chiaramente riconducibili all’approfondirsi del solco della differenziazione classista, per cui chi può permetterselo economicamente perché ha case più spaziose e strumenti, va avanti, chi non può permetterselo rimane indietro o addirittura si ritira. A ciò poi si aggiungano le problematiche soggettive, personali e familiari, le fragilità degli adolescenti in senso lato, oggi più che mai destrutturati e forzatamente educati alla precarietà esistenziale, il loro indiscutibile bisogno di formarsi e quindi di crescere attraverso esperienze di socialità tra pari la cui negazione istituzionale attraverso l’imposto isolamento sociale ha fortemente colpito chi tra loro (e tra noi) è più sensibile.

Le ricadute lavorative

Rispetto alla professione dei docenti, che consiste non solo nell’insegnamento e nella comunicazione, ma nell’organizzazione, nel coordinamento, nella progettazione, nella collaborazione, nell’osservazione, nella costruzione di relazioni positive, si assiste ad un veloce smantellamento dell’organizzazione lavoro. Il nostro è un lavoro che deve svolgersi in presenza: in primis per motivi comunicativi, pedagogici, didattici, ma non solo, perché fare l’insegnante da casa significa un aumento del lavoro e dei costi a carico del lavoratore, perché qualsiasi contatto organizzativo deve svolgersi tramite telefono personale o via mail e comporta una dilatazione infinita dei tempi lavorativi, visto che ormai chiunque, studente o collega che sia, contatta gli altri in qualsiasi momento della giornata, della serata e della settimana. Non ci sono più orari di lavoro e non c’è più privacy. Costringe ad un aumento delle attività burocratiche imponendo continue verbalizzazioni, comunicazioni ed incontri a seguito dei mille cambiamenti che a distanza anche di pochi giorni vengono imposte.

Depotenzia l’idea della lotta come possibilità per modificare la situazione esistente:

  • mancando lo spazio fisico -la struttura scuola- si perde l’idea dell’incisività di una qualsiasi protesta, perché ad una scuola vuota si contrappone una scuola altrettanto vuota, quindi l’invisibilità della protesta (ma cosa scioperiamo a fare, intanto siamo a casa! i ragazzi hanno perso già un sacco di giorni di scuola, non possiamo far perdere altri giorni…);
  • lo sciopero stesso, viene ritenuto spesso spuntato, anzi un “favore” agli studenti che non hanno la “rottura” di doversi connettere e, in alcuni casi, per le famiglie che non devono vigilare sui figli. O al contrario, innesca meccanismi
    di colpa nei confronti delle famiglie già vessate da questa situazione;
  • l’emergenzialità mette in secondo piano il rispetto delle normative che regolano il rapporto lavorativo nell’ottica che si è tutti sulla stressa barca; si fa leva sul senso di responsabilità individuale e collettiva affinché si contribuisca a trovare soluzioni e ad attivarsi per organizzare e gestire la situazione nel miglior modo possibile caricando responsabilità e decisioni, spesso, sui singoli insegnanti pur non competendogli.

Durante l’estate le scuole hanno lavorato per allestire le sedi in sicurezza, seguendo le normative in vigore, in vista della riapertura di settembre, tentando, senza grande successo, di dialogare con delle istituzioni sorde e mute rispetto alle richieste inerenti le mancanze strutturali. Mascherine, igienizzanti e disinfettanti in ogni aula, distanziamento misurato al centimetro tra i banchi, abolizione degli intervalli, ingressi scaglionati. Lavoro colossale, realizzato, come avviene da anni, sotto organico di personale.

Dopo la brevissima parentesi di riapertura settembrina, da ottobre è iniziata la
delirante proliferazione di Dpcm e circolari anche tra loro contrastanti, per via
delle lotte intestine tra i diversi poteri locali, comuni e regioni, o centrali, il
governo. Questo ha determinato un ulteriore carico lavorativo, perché l’orario che generalmente si fa due volte all’anno, provvisorio e definitivo, è stato rifatto molteplici volte in ogni scuola, al fine di adattarsi ad ogni cambiamento di disposizione legislativa.

Dal 6 novembre tutte le scuole superiori sono rientrate in dad e lo sono tuttora. A seconda del colore delle regioni (giallo, arancione, rosso) anche gli allievi delle seconde e terze medie vengono periodicamente obbligati a rimanere a casa a seguire le lezioni da remoto: a novembre erano a casa, qualche settimana prima di Natale a scuola fino al 18 gennaio, quindi ora di nuovo a casa.

Di fronte a questa situazione di evidente e progressivo smantellamento della
scuola pubblica, di disinteressamento totale per chi lavora e per chi cresce nelle scuole, della formazione degli studenti italiani forse perché ancora non votano e non sono produttivi, qualcuno ha cominciato a reagire.

Priorità alla scuola (PAS)

Si tratta di un movimento, che si dichiara apolitico, nato lo scorso aprile per pensare ad una scuola nel periodo dell’emergenza e per riportare la scuola pubblica e il diritto all’istruzione al centro del dibattito e delle politiche pubbliche. PAS ha riunito insegnanti, studenti e genitori e in poco tempo si è diffuso in decine di città italiane per provare a garantire a bambini e ragazzi una scuola aperta e in sicurezza, ma anche per avviare un confronto con le istituzioni sulla scuola del futuro, che, citando le loro parole, non deve solo sopravvivere alla (in)capacità di gestione dell’emergenza pandemica ma uscirne rinnovata, mettendo al centro gli studenti e il loro diritto allo studio, i lavoratori e i loro diritti, gli educatori e la loro creatività. Una scuola in cui siano i servizi (trasporti in testa) a disposizione del diritto
all’istruzione e non viceversa. PAS ha organizzato alcuni presidi piuttosto partecipati prima dell’estate e sicuramente è un punto di riferimento per le attuali mobilitazioni milanesi.

Nasce il Comitato “A Scuola!”. Motivato dal pensiero che aprire le scuole debba essere una priorità, nasce il Comitato, costituito da genitori, studenti e docenti che dal 16 novembre 2020 tiene un presidio davanti alla sede del Comune di Milano, a Palazzo Marino. Due persone al giorno, tutti i giorni, per un’ora (dalle 13,30 alle 14,30). Consapevoli dell’emergenza sanitaria, sono altrettanto preoccupati per le ricadute psicologiche dell’istruzione esclusivamente in dad, quindi insistono affinché le istituzioni si adoperino per garantire il rientro a scuola in sicurezza. A tal fine il Comitato l’ 11 gennaio 2021 ha presentato un ricorso, che è stato accolto dal Tar, per l’annullamento dell’ordinanza di regione Lombardia dell’8 Gennaio sul rinvio dell’apertura delle scuole secondarie al 25 /01/2021. Secondo il ricorso “l’ordinanza non è sufficientemente motivata” e il decreto regionale avrebbe violato l’art. 4 del
decreto legge n.1 del 5 gennaio 2021 che prevedeva la progressiva ripresa
dell’attività scolastica in presenza per gli alunni delle secondarie di secondo
grado.

In buona sostanza il punto è che secondo i dati scientifici non sembrerebbero essere le scuole i luoghi deputati all’innalzamento dei contagi da Sars-Covid 19, ma gli assembramenti che si creano durante il tragitto da casa a scuola e viceversa, quindi la soluzione non è chiudere le scuole, ma agire sull’organizzazione e sul potenziamento dei mezzi pubblici. Purtroppo però dal 18 gennaio la Lombardia è nuovamente entrata in zona rossa, cosa che ha momentaneamente sospeso il contenzioso e decretato la chiusura delle scuole.

Le occupazioni dei licei milanesi

In data 21 gennaio 2021 le occupazioni simboliche e veloci dei licei milanesi sono più di 10. E’ partito il Liceo Manzoni e a seguire il Severi-Correnti, il Volta, il Tito Livio, il Tenca, l’Albe-Steiner, il Vittorio Veneto, il Caravaggio, il Parini, l’Einstein, il Cremona-Zappa, il Virgilio.

Gli studenti, sostenuti dai genitori e da alcuni docenti e Dirigenti Scolastici
non chiedono la riapertura immediata delle scuole, ma puntano ad un cambiamento del modello scuola affinché la riapertura sia una naturale conseguenza di investimenti politici ed economici che colmino quei buchi che da anni vive la scuola pubblica. Progressivamente sembra assumere la forma di una protesta che non si oppone soltanto alla didattica a distanza come metodo di insegnamento, ma che si basa su una visione di critica più ampia che mette in discussione anni e anni di tagli ai danni della scuola pubblica.
La situazione è in evoluzione e al momento concentrata nei licei nella città di

Milano, non nelle periferie, non in altre città. Oggi, sabato 23 gennaio viene a
Roma occupato il liceo Kant (immediatamente oggetto di un aggressione
poliziesca) preludio di nuove mobilitazioni.

Lo sciopero del 29 gennaio

Gli studenti si mobiliteranno al fianco dei lavoratori in occasione dello sciopero generale indetto per il 29 gennaio 2021 da S.I.COBAS – Sindacato intercategoriale Cobas e SLAI COBAS per il sindacato di classe e promosso dall’Assemblea nazionale delle lavoratrici e dei lavoratori combattivi. Vedremo cosa accadrà.

Queste poche righe non sono certo esaustive, anzi devono essere costantemente aggiornate, perché la situazione è in continua evoluzione.
Hanno però l’obiettivo di proporre qualche spunto di riflessione per cominciare a ragionare e a prendere provvedimenti e contromisure rispetto al futuro che sembra delinearsi all’orizzonte per la scuola pubblica. Si va verso l’istruzione impartita secondo la modalità della didattica digitalizzata e conseguentemente un’accelerazione di un processo già in atto di stampo classista?

Si va verso la privatizzazione e la conseguente distruzione della scuola pubblica, dopo almeno 15 anni di continui tagli di fondi e personale, come già avvenuto ai danni della sanità pubblica e di cui abbiamo toccato con mano gli esiti nefasti la scorsa primavera con le terapie intensive stracolme, il blocco dell’erogazione dei servizi essenziali come visite ed esami, il proliferare di servizi a pagamento?

È notizia di qualche ora fa che la Lombardia dopo una settimana di zona rossa ritorna ad essere arancione perché pare che i dati forniti in merito agli indici di contagio Rt fossero estremamente imprecisi. E il braccio di ferro tra regione e governo si è concluso con la inaspettata decisione di riaprire le scuole al 50% di presenze a partire da lunedì 25 gennaio 2021. Come docenti abbiamo solo qualche ora per riorganizzare l’orario al fine di ottemperare alla nuova normativa.

Direi che ci vedremo numerosi allo sciopero del 29 gennaio.

Milano, 23 gennaio 2021

Panetteria Occupata