Riceviamo dai compagni della redazione Il Pungolo Rosso questo contributo, già pubblicato sul loro sito (vedi qui – nella foto: senzatetto confinati in un parcheggio a Los Angeles durante la prima fase della pandemia Covid):
Su un capolavoro di F. Engels (La situazione della classe operaia in Inghilterra)
e una onesta ricerca sui “morti per disperazione” nell’Amerika di oggi
– Luca Bistolfi
Questo bell’articolo di L. Bistolfi (che francamente conosciamo poco, o nulla) stabilisce un accostamento interessante tra il massimo capolavoro (forse) di Federico Engels, La situazione della classe operaia in Inghilterra (al 1844), appena ripubblicato da Feltrinelli – un libro da leggere e da rileggere ! -, e un’onesta ricerca di due accademici statunitensi su tre flagelli che imperversano negli Stati Uniti di oggi, e spingono i più disperati, in genere proletari o proletarizzati, verso la morte: l’alcool, la droga, il suicidio.
In tempi come questi, fatti di messaggi brevi, con tempi di lettura minimi e cronometrati (2, 5, 8 minuti), invitare alla lettura di libri e allo studio, ed in particolare allo studio dei nostri classici, è controcorrente. Lo sappiamo bene. E nondimeno invitiamo, incitiamo i frequentatori di questo blog a leggere i libri indispensabili (quello di Engels è tale) e, se si ha tempo, anche quelli utili a comprendere gli implacabili antagonismi del capitalismo.
“Morti per disperazione”: uno studio e un classico fanno riflettere sul sistema capitalistico. Che non aumenta il benessere, ma esalta disparità e dolore
Bisogna elevare un grande plauso alla recente pubblicazione per i tipi di Feltrinelli della Situazione della classe operaia in Inghilterra, l’opera di Engels che lasciò ammirato Marx e che di fatto segnò l’inizio del loro sodalizio umano e politico. Un lavoro denso e preciso edificato sulla stampa e sulle relazioni delle commissioni dell’epoca e sulla diretta osservazione dell’autore, che schiude le porte dell’inferno sulla terra mostrando con spietatezza la realtà dei lavoratori e delle lavoratrici, bambini inclusi, a mezzo dell’Ottocento.
Il libro inizia illustrando la formazione della nuova classe operaia, la deportazione bianca dalla campagna alla città e le alterazioni sociali dovute all’introduzione delle macchine: premesse necessarie per cogliere la rivoluzione di quello svolto di tempo, la genesi d’una mutazione sociale sino ad allora inusitata. Ma cuore pulsante e sanguinante dell’opera è la descrizione, sin nel più preciso dettaglio, del disastro, sotto ogni aspetto, in cui piombò da subito il neonato proletariato. Ne trascrivo qualche eloquente passaggio, non nascondendo l’imbarazzo della scelta, ché a ogni pagina si resta sconcertati e agghiacciati.
È difficile immaginare la disordinata mescolanza delle case, che si fa beffe di ogni urbanistica razionale, l’ammassamento, per cui sono letteralmente addossate le une alle altre […]. In tempi più recenti la confusione è stata portata al massimo, poiché dovunque vi fosse un pezzetto di spazio tra le costruzioni dell’epoca precedente si è continuato a costruire e a rappezzare, fino a togliere tra le case anche l’ultimo pollice di terra libera ancora suscettibile di essere utilizzata […].
Dopodiché Engels passa a descrivere ciò che attornia l’Irk, un fiume di Manchester:
A sinistra e a destra una quantità di passaggi coperti conducono dalla strada principale ai numerosi cortili, entrando nei quali ci si imbatte in una rivoltante sporcizia che non ha l’eguale […]. In uno di questi cortili, proprio all’ingresso, là dove termina il passaggio coperto, si trova una latrina priva di porta, e così sporca che gli abitanti per entrare e uscire dal cortile devono attraversare una pozzanghera di orina imputridita e di escrementi che la circonda […]. Sotto, sul fiume, si trovano numerose concerie, che appestano l’intera contrada col puzzo della putrefazione animale […].
L’Irk «ristagna», è un fiume nerastro, puzzolente, pieno di immondizie e di rifiuti che riversa sulla riva destra […]; con il tempo asciutto su questa riva resta una lunga fila di ripugnanti pozzanghere fangose, verdastre, dal cui fondo salgono continuamente alla superficie bolle di gas mefitici che diffondono un puzzo intollerabile […].
Le malsane condizioni delle abitazioni, delle fabbriche e dell’ambiente in generale scatena una serie inenarrabile di guasti alla salute, un effetto domino su ogni singolo aspetto della vita degli individui poveri, un gorgo apocalittico. La precoce mortalità è una delle tante dannazioni cui è sottoposto il proletariato. È raro, scrive Engels, trovare tra gli operai «individui robusti, ben costruiti e sani, almeno tra gli operai dell’industria [la più parte, ndr], che lavorano per lo più in ambienti chiusi […]. Sono quasi tutti gracili, dall’ossatura nodosa, ma non vigorosa, magri, pallidi e flaccidi di fibra, a eccezione dei muscoli particolarmente impegnati nel loro lavoro. Quasi tutti soffrono di cattiva digestione, e di conseguenza sono tutti più o meno ipocondriaci e di umore cupo e scontroso. Il loro fisico indebolito non è perciò in grado di opporre resistenza alle malattie e a ogni minima occasione ne viene colpito: per questa ragione invecchiano precocemente e muoiono giovani». Le statistiche che seguono lasciano senza fiato.
La situazione dalla classe operaia in Inghilterra è utile anche per capire come sia possibile l’abbruttimento morale e intellettuale di quelli che possiamo senz’altro chiamare sopravvissuti. Ci stupiamo spesso che i proletari siano rozzi e volgari e sporchi, in parte ancor oggi; ma pochissimi si chiedono quale sia l’origine della loro animalizzazione, che talora raggiunge vertiginosi apici. Secondo Engels, e i fatti sono lì a dimostrarlo, le condizioni materiali in cui sono costretti tanto per la forza del movimento storico, quanto per l’atteggiamento della classe dominante, impongono di necessità l’abbassamento di ogni dignità personale, talora il suo annichilimento. Contravveleno a dieci, dodici, sedici ore di fabbrica, ad abitazioni insalubri non di rado allocate in scantinati, l’addensamento – come in veri e propri campi di concentramento – della popolazione, la mancanza di denaro, l’assenza di servizi di ogni genere, la lotta (e questo è punto cruciale) di tutti contro tutti, possono essere soltanto quegli sfoghi animaleschi che i più accorti ben conoscono: dalla promiscuità sessuale all’ignoranza, dall’ubriachezza alla prostituzione, dal semplice furto al più cruento delitto. All’operaio non resta alcuno spazio psicologico e fisico se non per declinarsi così; egli è schiacciato in una condizione ancor peggiore del servo della gleba. Il lavoratore è merce e pertanto a un certo segno trascurabile oggetto, eliminabile di punto in bianco, di poi sostituibile con altra merce, senza escludere naturalmente le solite donne, i soliti bambini. Ed è questo uno dei punti cruciali del libro: l’atteggiamento vessatorio e delinquenziale della borghesia, indifferente alle sorti dei subalterni.
Altro e non trascurabile merito dell’opera è di essere accessibile a chiunque. Siamo ben lontani dalle indubbie difficoltà di altri classici del socialismo o del comunismo, vedi l’Antidühring o Il capitale. Qui Engels parla bensì carte alla mano ma con l’anima, l’anima di chi, pur pienamente appartenendo alla classe dominante, non può né vuole restare indifferente davanti alla catastrofe umanitaria, che di lì a poco avrebbe coinvolte l’intero globo.
Essa è anche efficacissimo controcanto a tutta la letteratura edificante e mistificante di quel secolo sublime e terribile, degno per altri versi campeggiare accanto ai grandi romanzi di Émile Zola. Ed è una delle prime opere, se non davvero la prima, in cui si racconta, senza la mediazione letteraria, la storia della classe senza storia.
Qualcuno si domanderà ridendo che senso abbia, se non il solo storico, pigliarsi la briga di leggere una vicenda ormai passata, vecchia d’un secolo e mezzo, quasi due. Nullo o almeno poco ne avrebbe se fossimo usciti dalla morsa del capitalismo. E nulla o poco ne avrebbe se solo con qualche variazione il capitalismo non stesse ancora mietendo le sue innumeri vittime. Non occorre volgere lo sguardo ai Paesi del Terzo e del Quarto Mondo: per contemplare l’orrore basta andare negli odierni Stati Uniti.
Per farlo abbiamo fresco fresco uno strumento per suo conto valido e scabroso come il testo engelsiano: Morti per disperazione e il futuro del capitalismo (Il Mulino 2021) è un accurato studio di Anne Case, docente di economia a Princeton, e Angus Deaton, anch’egli docente universitario e Nobel per l’economia del 2015. E se il socialista Engels può essere tacciato di partigianeria, accusa peraltro miserabile e insostenibile, questi due autori affatto, fortissimi sostenitori del capitalismo quali sono, fidenti di poter offrire il loro contributo al suo miglioramento denunciandone in tutta onestà le gravissime storture.
Morti per disperazione è una documentatissima inchiesta sulle migliaia di morti tra i bianchi americani, uomini e donne, suscitati soprattutto da tre fattori: alcol, droga, suicidio. Questi tre cavalieri dell’apocalisse sono la conseguenza d’un sistema disumano e infernale. Nelle dinamiche che conducono alla morte per abuso di sostanze dannose a causa delle indegne vite cui sono costrette queste persone, ci sono sconcertanti similitudini con quanto descrive Engels. Ma non solo. Questo ricco studio si spera potrà aprire gli occhi anche a quanti, ieri come oggi, gridarono al miracolo per l’istituzione dell’Obama Care, la riforma sanitaria voluta dall’ex messia nero della Casa Bianca, e si affidano, è storia di questi ultimi mesi in Europa e in Italia, all’industria farmaceutica quale divinità onnisciente. Leggiamo:
La nostra idea è che il sistema sanitario americano sia una peculiare calamità che sta minando la vita degli americani […]. Il crescente potere economico e politico delle grandi imprese e il declino del potere economico e politico dei lavoratori consentono a quelle di incamerare profitti a spese della gente comune, dei consumatori e in particolare dei lavoratori. Nel peggiore dei casi, questo potere ha permesso ad alcune industrie farmaceutiche, sotto l’ombrello di licenze governative, di lucrare miliardi di dollari dalle vendite di oppioidi che creano dipendenza e che sono stati falsamente spacciati come sicuri, e di realizzare profitti a spese della distruzione di vite umane. Più in generale, il sistema sanitario americano è un eminente esempio di istituzione che, sotto la protezione del potere politico, redistribuisce il reddito verso l’alto a ospedali, medici, produttori di dispositivi sanitari e aziende farmaceutiche, offrendo al contempo risultati sanitari tra i peggiori nel panorama dei paesi ricchi. Mentre scriviamo, nell’agosto del 2019, i produttori di oppioidi sono sotto processo; un giudice ha intimato alla Johnson & Johnson di pagare oltre mezzo miliardo di dollari allo stato dell’Oklahoma. Una filiale della Johnson & Johnson ha coltivato in Tasmania papaveri come materia prima di quasi tutti gli oppioidi prodotti negli Stati Uniti. Quanto sta trapelando riguardo a una transazione che ha per protagonista il peggior trasgressore, Purdue, casa produttrice dell’OxyContin, fa ritenere che la famiglia Sackler, proprietaria dell’azienda, potrebbe perderne la proprietà insieme a diversi miliardi di dollari già accumulati. Tuttavia, l’aggressiva commercializzazione di prodotti farmaceutici rivolta a medici e pazienti è tuttora in corso, così come sono ancora in vigore le regole in base alle quali la Food and Drug Administration ha approvato l’uso di quella che è, essenzialmente, eroina legalizzata.
E ancora:
Gli Stati Uniti spendono ingenti somme di denaro per conseguire tuttavia uno dei peggiori risultati del mondo occidentale in ambito sanitario […]. Questa industria è un cancro nel cuore dell’economia, diffusamente metastatizzato, che ha compresso i salari e distrutto ottimi posti di lavoro, e che ha reso sempre più difficile agli stati e al governo federale di potersi permettere ciò di cui i cittadini hanno bisogno. Le finalità pubbliche e il benessere dei comuni cittadini sono stati subordinati al guadagno privato dei già ricchi. Niente di tutto ciò sarebbe possibile senza l’acquiescenza – e talvolta l’entusiastica partecipazione – dei politici che dovrebbero operare nell’interesse del pubblico.
C’è una frase di questo libro che voglio ancora citare, secondo cui «il capitalismo americano ha iniziato ad apparire più come un racket estorsivo che come il motore della prosperità generale». Non so se Case e Deaton lo sappiano, ma queste parole ne ricordano assai da vicino altre, pronunciate all’inizio del secolo scorso: Capitalism is the legitimate racket of the ruling class. “Il capitalismo è il racket legale della classe dominante”.
A pronunziare tale verità non fu uno schifoso comunista, un delinquente anarchico, un ubriaco risentito, bensì uno che di racket se ne intendava assai: Al Capone. I precipui metodi della classe dominante sono rimasti gli stessi, nell’Ottocento, come all’inizio del XX secolo e come nel XXI. Nulla nella sostanza è mutato, tanto meno una sua specifica caratteristica, non messa in rilievo da Case e Deaton, cui non lo si potrebbe chiedere, ma dal solito Engels:
Il decorso della malattia sociale di cui soffre l’Inghilterra è simile a quello di una malattia fisica: si sviluppa secondo certe leggi e ha le sue crisi, di cui l’ultima, la più violenta, decide del destino del malato. E poiché la nazione inglese non può tuttavia perire in quest’ultima crisi, ma deve uscirne rinnovata e rinata, non c’è che da rallegrarsi di tutto ciò che può acuire la malattia.
In sintesi: il capitalismo contiene in sé i germi della sua propria necessaria distruzione. E ciò con buona pace degli idioti di ogni estrazione, convinti dell’unicità e insostituibilità di questo sistema, culmine, solfeggiano, della civiltà globale e naturale conseguenza della struggle for the life. Il nostro modo di produzione oggi più che mai ci confessa invece gridando d’essere giunto alla sua fase agonizzante. Se così non è, attendiamo previsioni più efficaci.
Cosa scaturirà dalla fase terminale della putrefazione capitalista, non ci è dato saperlo. Gli scenari che si squadernano in via ipotetica sono molteplici. È certo però che niente di peggiore, se non un’altra guerra planetaria, potrà raggiungerci.