La medicina del territorio
e il Piano nazionale di ripresa e resilienza
di Visconte Grisi
Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo intervento di Visconte Grisi sul ruolo subordinato, se non proprio marginale, che il PNRR del governo Draghi assegna alla spesa sanitaria, e in essa al ruolo ancor più marginale della medicina del territorio – già per quello che riguarda i termini quantitativi (l’entità della spesa prevista). In realtà tutto il PNRR, in perfetta coerenza con le direttive dell’UE racchiuse nelle 528 condizioni (o condizionalità), prevede una molteplicità di “riforme” che vanno sistematicamente nella direzione di spianare il terreno alla furiosa ricerca del profitto, ponendo i bisogni sociali dei proletari (incluso il bisogno di salute) e la spesa sociale tra le “cose” sacrificabili.
Il Pungolo Rosso
Rispetto al disastro della medicina del territorio, di cui abbiamo parlato più volte, il P.N.R.R. non promette nulla di buono. Per cominciare dall’aspetto quantitativo, la sanità pubblica rimane l’ultima voce del Piano, che prevede un finanziamento totale per la sanità di 20,23 miliardi, un misero 8% del totale, quantificabile in circa 250 miliardi.
Ciò è tanto più preoccupante se consideriamo che il Documento di Economia e Finanza (DEF) per il 2021, approvato il 22/4 dai due rami del Parlamento, conferma i tagli alla Sanità Pubblica per il triennio 2022-2024 per un totale di circa 7 miliardi, oltre ad aprire la strada a una legge per attuare l’autonomia regionale differenziata. Conseguentemente, il rapporto fra la spesa sanitaria e il PIL decresce e si attesta, alla fine dell’arco temporale considerato, ad un livello pari al 6,3%, quando nel 2021 è il 7,3% – livello che ha raggiunto dopo decenni di tagli di spesa e di strutture.
Inoltre, dei 20,23 miliardi previsti la maggior parte, cioè 11,23 miliardi saranno destinati all’ammodernamento del parco tecnologico e digitale ospedaliero con l’acquisto di strumentazioni e tecnologie all’avanguardia per gli ospedali e una loro digitalizzazione, per arrivare a sostituire tutto il parco delle grandi apparecchiature sanitarie con più di 5 anni, per aumentare i posti letto di terapia intensiva e ammodernare i Pronto Soccorso (4,05 miliardi). Inoltre è previsto l’adeguamento antisismico degli ospedali (1,64 miliardi) e il rafforzamento degli strumenti per la raccolta, l’elaborazione e l’analisi dei dati, cioè il Fascicolo Sanitario Elettronico e la telemedicina (1,67 miliardi). Una parte minore degli 11,23 miliardi, cioè 3,87 mld, sono destinati alla ricerca e alla formazione del personale.
Da tutto questoè confermata la tendenza ospedalocentrica della sanità, che già è stata all’origine di tanti problemi nel corso della pandemia, e questo perché la centralità dell’ospedale all’interno della struttura sanitaria è senz’altro funzionale alla concentrazione dei profitti capitalistici nella sanitàQuanto alla medicina del territorio, la misera cifra rimasta per gli investimenti è di 9 miliardi (in 6 anni), da cui bisogna detrarre 1 miliardo e mezzo destinato all’acquisto di vaccini e farmaci anti-Covid e ad assumere a tempo determinato il personale sanitario impegnato nel contrasto della pandemia, e altri 500 milioni per un non meglio specificato investimento chiamato “Salute, ambiente e clima”. Alla fine di tutto restano quindi, per cercare di rimettere in piedi la disastrata medicina del territorio 7 miliardi, che, nel Piano sono suddivisi in tre parti:
1) la prima è rappresentata dalle “Case di Comunità”, presidi socio-sanitari “destinati a diventare il punto di riferimento, accoglienza e orientamento ai servizi di assistenza primaria di natura sanitaria”. Al di là del linguaggio roboante si tratta in sostanza dei poliambulatori distrettuali o di quartiere il cui bilancio è stato, fino ad ora, fallimentare. Attendiamo al varco questo nuovo tentativo ma senza riporre in esso eccessiva fiducia. Tanto per cominciare, “come sottolinea l’ANCI, rispetto al vecchio piano il budget per le Case è stato dimezzato, scendendo a 2 miliardi di euro, con la conseguente contrazione anche del numero di presìdi che saranno realizzati (1.288 rispetto ai 2.500 originariamente previsti)”. Cominciamo bene…
2) i miliardi tagliati alle Case di Comunità sarebbero però parzialmente assorbiti dall’assistenza domiciliare che “vede quasi raddoppiare gli investimenti (4 miliardi)”. Non è chiaro, però, se questi soldi serviranno ad assumere il numeroso personale qualificato necessario per la costruzione di una valida rete di assistenza domiciliare per i malati cronici, i pazienti allettati o quelli colpiti da infezioni virali, o se saranno ancora distribuiti a pioggia ad enti privati e cooperative varie accreditate per l’assistenza domiciliare il cui scopo primario non è certo l’assistenza ai malati, mafar profitti sulla malattia. Staremo a vedere. Per adesso si parla anche di progetti di telemedicina proposti dalle Regioni, progetti che pur avendo alcuni risvolti positivi, possono condurre a una ulteriore spersonalizzazione dell’atto medico.
3) la terza parte è rappresentata, infine, dalla realizzazione di 381 presidi sanitari a degenza breve (Ospedali di comunità) “destinati a svolgere una funzione “intermedia” tra il domicilio e il ricovero ospedaliero al fine di sgravare l’ospedale da prestazioni di bassa complessità (investimento di 1 miliardo e realizzazione entro la metà del 2026)”. I piccoli presidi ospedalieri hanno un miglior rapporto con il territorio circostante, ne conoscono le criticità sanitarie, quindi hanno più possibilità di effettuare una medicina preventiva sul territorio. Il fatto è però che questi piccoli ospedali esistevano già, e la maggior parte di loro è stata chiusa, fra le proteste della popolazione locale. Si verificherà effettivamente questa inversione di tendenza? Ci sono molti motivi per dubitarne.
In conclusione gli investimenti previsti dal P.N.R.R. per la sanità pubblica, lungi dal prospettare una inversione della tendenza alla aziendalizzazione e alla privatizzazione che ha caratterizzato gli ultimi decenni di gestione della sanità, mirano ad accentuare queste tendenze in maniera ancora più pesante.
Perciò è necessario ripartire dalle parole d’ordine che hanno caratterizzato le ultime mobilitazioni del movimento di lotta per il diritto alla salute: “LA SALUTE NON E’ UNA MERCE, LA SANITA’ NON E’ UNA AZIENDA”, per una una sanità che non sia più fonte di profitti per capitalisti pubblici e privati, ma metta al suo centro “la promozione della salute”, “la pienezza del benessere psicofisico e sociale” dei lavoratori e dell’intera popolazione.