Ai disoccupati e alle disoccupate del Movimento 7 novembre
– Tendenza internazionalista rivoluzionaria
Si è svolta ieri, in parte in presenza (a villa Medusa, a Bagnoli), in parte da remoto, l’assemblea convocata dal Movimento 7 novembre con questa lettera aperta: https://pungolorosso.wordpress.com/2021/09/26/lettera-dei-disoccupati-del-movimento-7-novembre-a-tutte-le-realta-di-lotta/
L’assemblea è riuscita sia per la presenza di numerose realtà di lotta – a cominciare dai facchini SI Cobas della FedEx di Piacenza, dagli operai della Gkn intervenuti con Dario Salvetti, dal movimento No Tav presente con Nicoletta Dosio, e con diversi altri collettivi da svariate città di tutta l’Italia -, sia perché è emersa una larga disponibilità ad accogliere la proposta di una mobilitazione nazionale da organizzare a Napoli contro la repressione statale e per gli obiettivi di lotta che hanno contrassegnato l’esperienza del Movimento 7 Novembre, che non valgono certo solo per i disoccupati di Napoli, e per i disoccupati.
Riportiamo qui di seguito l’intervento all’assemblea di un compagno della Tendenza internazionalista rivoluzionaria (TIR).
La vostra lettera aperta e la vostra iniziativa di oggi coglie in pieno la necessità imperativa del momento: opporre all’offensiva insieme dura e abile dell’asse governo Draghi-Confindustria il massimo di unità possibile tra le realtà operaie, proletarie, sociali in lotta, vincendo i particolarismi territoriali, aziendali, settoriali, di appartenenza sindacale che ci hanno tanto indebolito negli anni passati. Dobbiamo metterci definitivamente alle spalle la troppo lunga stagione dell’autonomismo, del localismo, del particolarismo, e incamminarci con decisione sulla strada dell’autonomia di classe.
La vostra forza – quella che ha portato anche a questa iniziativa partecipata dalle realtà di lotta più significative esistenti oggi in Italia – non è tanto nel vostro numero, quanto nelle modalità della vostra lotta (fondata sull’auto-organizzazione, l’auto-attività, il protagonismo di tutti/e gli appartenenti al movimento, in una dinamica di mobilitazione permanente, qualche volta perfino frenetica), nei suoi contenuti, nella sua determinazione.
Avete avuto la capacità di collegare la vostra lotta per uscire a testa alta dalla disoccupazione e dalla precarietà, con una serie di bisogni sociali violati dal sistema sociale capitalistico che riguardano l’insieme della classe lavoratrice: il bisogno di salute, il bisogno di vivere in un ambiente pulito, il bisogno di socialità, la necessità di ridurre gli orari di lavoro degli occupati per lavorare tutti lavorare meno, di introdurre il salario garantito per disoccupati e precari, etc. E avete mostrato in questi mesi e anni una speciale determinazione nel resistere sia alla repressione statale, sia alle lusinghe di questo o quel settore delle istituzioni. Una determinazione che avete mostrato anche in queste elezioni, dando un esempio di come si può “attraversarle” ponendo le vostre rivendicazioni ai diversi “personaggi” e partiti in lizza in questa gara delle menzogne e degli inganni che sono le elezioni – e dando sistematicamente conto in pubblico degli incontri che avete strappato con loro.
La necessità di lavorare per unire le forze già disposte alla lotta vale anche per la specifica questione della lotta alla repressione statale che si sta abbattendo su di voi, come su altri proletari (quelli della logistica organizzati con il SI Cobas, in particolare) – e non è una questione che sta a sé, da lasciare agli “specialisti”, ai comitati contro la repressione o agli avvocati, ma va integrata in pieno nella lotta contro il regime Draghi in formazione. Siamo stati tra i primi a parlare di un’“era Draghi” e ora di un “regime Draghi”; è evidente che non ci riferiamo ad un singolo, ma ad un processo di sempre più stringente autoritarismo statale e padronale, che ha in questo governo (e già ha avuto in quelli precedenti) la sua struttura di coordinamento. Un autoritarismo che si articola anche con lo strumento del green pass, arma di diversione, divisione e repressione dei lavoratori, che va combattuto e di cui va chiesta – secondo noi – la revoca.
L’incrudimento della repressione statale non è qualcosa di contingente, è destinato a durare perché è legato ad una crisi capitalistica che – al di là del clamore dei mass media sulla crescita al 6% – ha dimensione ciclopiche, e saremo in grado di contrastarlo solo con la concentrazione, con la centralizzazione delle forze già in campo; per rivolgerci con maggiore efficacia a quella grande massa degli sfruttati che è ferma, magari sfiduciata, ma sta comunque accumulando dentro di sé uno scontento e una rabbia per le vessazioni, le umiliazioni, l’incertezza radicale per il futuro che deve quotidianamente subire, che potranno esplodere quando meno ce lo aspettiamo.
Insieme ai compagni del SI Cobas e ad altri compagni, noi della TIR (Tendenza internazionalista rivoluzionaria) abbiamo delineato la prospettiva di un fronte di lotta, di un fronte di classe, anticapitalista nel settembre di due anni fa, proprio a Napoli. E l’abbiamo delineata non come forzatura soggettivista sulle lotte immediate, ma sulla base del dato di realtà oggettivo che oggi, per l’intreccio sempre più stretto tra economia e politica, non c’è lotta immediata vera che non si trovi immediatamente tra i piedi lo stato e l’intervento dei poteri istituzionali. Per questo, se si vuole lottare coerentemente contro il padronato e il governo, non si può scansare la dimensione politica delle lotte; e questa dimensione chiama in causa, in un modo o nell’altro, l’intero sistema sociale capitalistico.
Lo sciopero indetto da tutto il sindacalismo di base per l’11 ottobre è certamente interno a questa prospettiva, e posso dire che ci abbiamo lavorato intensamente, così come ci stiamo adoperando per allargare lo sguardo alla grande massa dei proletari, dei lavoratori che sono tuttora iscritti a Cgil, Cisl, Uil, e ai tantissimi non sindacalizzati.
Mi ha fatto piacere sentire dal compagno Salvetti della Gkn il riconoscimento del ruolo svolto dalla lotta della FedEx e dal SI Cobas nel dare impulso al processo che ha portato alla proclamazione dello sciopero dell’11 ottobre, perché troppo spesso si tace su questo. Ma osservo che c’è un altro aspetto su cui troppo si continua a tacere: il ruolo determinante svolto dal proletariato di immigrazione, protagonista nella logistica di un ciclo di lotte lungo un decennio, che ha saputo tenere alta la bandiera del conflitto di classe in tempi di riflusso e di stagnazione dei proletari autoctoni, e ancora oggi ci spinge verso l’11 ottobre e oltre l’11 ottobre. Sarebbe ora che questo silenzio finisse.
Lavoriamo quindi con decisione e spirito unitario alla massima riuscita dello sciopero del giorno 11. Proiettiamoci anche al di là di esso con le ulteriori iniziative già messe in campo, tra cui quella che avete messo voi in cantiere, in una direzione internazionale e internazionalista da riscoprire in pieno nella lotta contro il capitalismo globale – un internazionalismo, però, che sia un vero internazionalismo proletario, non certo quello al seguito dei bombardamenti imperialisti. (*)
(*) Il riferimento polemico è al preteso internazionalismo della partecipazione alla “guerra all’Isis” rivendicato da un intervento all’assemblea da parte di una compagna. Perché preteso internazionalismo? Perché si è trattato di una guerra condotta da Stati Uniti, Francia, Regno Unito, Paesi Bassi, Danimarca, Australia, Canada, Arabia saudita, Qatar, Bahrein, Marocco, Giordania, con l’aiuto logistico di Germania, Italia e Spagna, per tacere della Russia e degli alleati della Russia, davvero un bel fronte anti-imperialista; e questa guerra, la più asimmetrica tra tutte le guerre combattute nell’ultimo secolo, è costata alle popolazioni del territorio controllato per qualche tempo dall’Isis ben 36.000 missioni di bombardamento… che poi, per la spudorata ipocrisia dello stato italiano, si possa essere sanzionati individualmente per aver preso parte da “irregolari” a questa guerra fuori dai ranghi dell’esercito o dell’aviazione italiani, non cambia in nulla il carattere dei quella guerra. E le “buone intenzioni” non hanno rilievo davanti ai fatti. E che fatti!