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[COMUNICATO] Da Napoli un segnale chiaro a Draghi: alla repressione e ai divieti rispondiamo uniti e organizzati

Da Napoli un segnale chiaro a Draghi:

alla repressione e ai divieti rispondiamo uniti e organizzati 

Nel pomeriggio di sabato in migliaia siamo scesi in piazza a Napoli per rispondere alla chiamata nazionale del Movimento di Lotta – Disoccupati “7 Novembre”:

https://www.facebook.com/disoccupati7novembre/videos/723817515168241

Una manifestazione nata dalla necessità stringente di far quadrato attorno a un movimento che in questi anni ha dimostrato di saper ereditare a pieno titolo la lunga tradizione delle lotte dei senza lavoro nella città partenopea, dando continuità alla parte migliore di quella tradizione e mutuandone i contenuti e le parole d’ordine più avanzati in termini anticapitalistici: lavoro stabile e sicuro o salario garantito; rifiuto di ogni sirena elettorale e/o istituzionale; legame organico con le lotte operaie e il conflitto di classe dentro e fuori i luoghi di lavoro; capacità di reggere l’impatto della stretta repressiva statuale, mantenendo fermi i principi e rifuggendo dalla tentazione di trasformare il movimento di lotta in una sorta di associazione “di scopo” dedita ad elemosinare qualche posto di lavoro (quasi sempre precario) dagli enti locali.

Sono questi i motivi che hanno spinto centinaia e centinaia di lavoratori del SI Cobas ad affrontare fino a 12 ore di viaggio in autobus per portare il loro sostegno ai disoccupati 7 novembre: non si è trattato di semplice solidarietà, bensì della consapevolezza di essere parte di un’unica lotta che è cresciuta e si è consolidata nel corso di questi mesi e anni, laddove i facchini della logistica e gli operai combattivi del centro-nord hanno visto i disoccupati innumerevoli volte al loro fianco nelle loro lotte e vertenze, e finanche uniti sotto i palazzi del potere romano per ricevere risposte concrete alle loro istanze da un governo (prima Conte, e ora Draghi) che ha saputo dare come unica risposta i manganelli, i lacrimogeni, le denunce, gli arresti e i fogli di via…

La piazza di sabato è stata innanzitutto questo: la rappresentazione nitida e autentica di un processo di saldatura di lotte reali che nel corso di questi anni si sono ripetutamente incontrate, dandosi reciproco sostegno e assumendo quale comune baricentro l’autonomia di classe.

Ma la piazza di Napoli non è stata solo questo. A dare un respiro ben più largo alla manifestazione ci ha pensato ancora una volta la controparte, cioè il premier Draghi e la ministra Lamorgese, i quali a poche ore dallo svolgimento del corteo hanno varato una circolare che, con l’alibi della pandemia e il pretesto delle manifestazioni no-vax di queste settimane, si prefigge l’obbiettivo di vietare lo svolgimento dei cortei in tutti i centri cittadini delle principali metropoli: una misura da “coprifuoco a senso unico”, frutto dell’arroganza di un governo che nel giro di soli 3 mesi ha riaperto tutto, tirando fuori dal cilindro il greenpass come specchietto per le allodole utile a liberare i padroni da ogni responsabilità e onere in materia di tutela della salute, della sicurezza e della prevenzione del rischio derivato dalla crisi pandemica e scatenando una vera e propria guerra santa tra le fila dei proletari.

In questi 8 mesi, il governo Draghi con il sostegno dei media asserviti ha sapientemente messo in campo una vera e propria opera di distrazione e di divisione di massa, individuando nella campagna vaccinale l’unico tema su cui spostare i riflettori dell’opinione pubblica ed alimentando a tavolino una finta polarizzazione (no-vax contro pro-vax) congeniale a distogliere l’attenzione dal fallimento catastrofico delle misure di contrasto alla pandemia di Covid e dall’impatto devastante delle politiche di macelleria sociale che quotidianamente colpiscono milioni di lavoratori, precari e disoccupati: licenziamenti di massa; salari da fame; precarietà generalizzata e proliferazione di contratti interinali e a termine; attacco alle agibilità sindacali e al diritto di sciopero; aumento vertiginoso delle tariffe e del costo dei generi di prima necessità; sgravi e agevolazioni fiscali di ogni tipo ai padroni; legalizzazione di fatto del lavoro nero e dello sfruttamento grazie al “colpo di spugna-Brunetta” con cui si sancisce l’eliminazione dei controlli a sorpresa delle ITL sulla sicurezza sul rispetto delle tutele sui luoghi di lavoro; aumento esponenziale dei morti sul lavoro; stretta sul reddito di cittadinanza; tagli alla sanità, alla scuola e ai trasporti; ulteriore allungamento dell’età pensionabile; aumento delle spese militari, emergenza ambientale e climatica… E la lista potrebbe continuare…

Anche solo la metà dei provvedimenti che abbiamo citato, uniti alla stretta repressiva a cui stiamo assistendo, in condizioni “normali” avrebbe dovuto spingere l’insieme del movimento di classe a una mobilitazione ad oltranza contro il governo dei padroni e dei banchieri. 
Stiamo invece assistendo, anche nel nostro campo, ad una stucchevole e surreale contrapposizione tra opposte fazioni sul tema del greenpass: una misura che non ha nulla di sanitario e che, al contrario, si inserisce pienamente nel solco della stretta repressiva e antiproletaria di cui sopra: una misura che, proprio per questo, va denunciata per il suo carattere ipocrita, divisivo e punitivo, ma questa denuncia va al contempo assunta come parte inscindibile di una più generale iniziativa di classe che parta da una critica complessiva dell’uso capitalistico e antioperaio della pandemia, quindi incompatibile sia con la propaganda governativa tesa a presentare il vaccino quale unica e sola “soluzione magica” per uscire dalla pandemia, sia con chi, illudendosi che la lotta al greenpass possa costituire un terreno di mobilitazione prioritario e “a se stante”, nei fatti finisce per accodarsi ai deliri negazionisti e alle inutili gazzarre delle piazze “no-vax”, montate ad arte sia dal governo sia della propaganda reazionaria che spopola sui social grazie alla sapiente regia di network legati alla galassia ultra-tradizionalista e all’”alt-right” trumpiana (non di rado, e non a caso, “attraversati” o persino pilotati dalla peggiore feccia sovranista, razzista e fascista nostrana).

Un “vento di destra” a cui abbiamo già assistito all’epoca delle infami campagne razziste e anti-immigrati, ora non  a caso scomparse dall’agenda dei loro promotori in nome della più “remunerativa” campagna antivaccinale, e che grazie alla condotta pilatesca (quando non apertamente filogovernativa) di tanti sedicenti anticapitalisti sul greenpass e sulla vere e proprie porcate dell’obbligo del tampone a pagamento e della sospensione dal lavoro per i non vaccinati, ha aperto un varco ai tentativi della teppaglia fascistoide di aprirsi un varco sui luoghi di lavoro provando ad egemonizzare le giuste e legittime  proteste contro il greenpass.

Da tutto ciò deriva che la piazza di Napoli ha dovuto caricarsi sulle spalle un duplice compito (tutt’altro che facile, anzi immane): da un lato rimettere al centro i temi, i bisogni e le parole d’ordine che hanno contraddistinto l’iniziativa dei proletari combattivi in questi due anni di pandemia, dall’altro lanciare un segnale al governo Draghi e al ministro Lamorgese. 

Nelle ore precedenti al corteo la Questura e la Prefettura volevano “convincerci” che a causa della circolare Lamorgese la manifestazione non avrebbe potuto sfilare per il centro cittadino, e che a causa delle concomitanti piazze “no-vax” tale divieto andava applicato anche al corteo dei disoccupati.

E’ bastato il colpo d’occhio di piazza Garibaldi già nei primi minuti del concentramento per portare a più miti consigli la questura e le forze dell’ordine: mentre nelle altre città i no-vax hanno quasi ovunque obbedito alle prescrizioni restandosene confinati in buon ordine sotto l’occhio vigile (ma non troppo) di quegli apparati repressivi che lo scorso 9 ottobre lasciarono Forza Nuova “libera” di mettere a ferro e fuoco il centro di Roma, il corteo dei 7 novembre e del SI Cobas ha sfilato regolarmente per le vie del centro di Napoli, concludendo il suo percorso nella centralissima Piazza Plebiscito e imponendo che una delegazione dei disoccupati venisse ricevuta dal prefetto.

https://www.facebook.com/sicobas.lavoratoriautorganizzati.9/videos/998037930773728

Al nostro fianco, coloro con cui condividiamo le battaglie di sempre: i movimenti per il diritto all’abitare di Roma, i giovani di Iskra e del Fgc, la Tendenza Internazionalista Rivoluzionaria, Nicoletta Dosio del movimento No Tav, le reti di attivisti sociali e del sindacalismo combattivo del sud Italia, gli operai Gkn ed Elettrolux, tanti compagni scesi in piazza collettivamente o individualmente per manifestare il proprio sostegno alla battaglia dei disoccupati.

La palma d’oro della falsità e della strumentalità è andata ancora una volta a certa stampa, che in una piazza composta da migliaia di operai, disoccupati e licenziati, ha avuto la brillante idea di andare ossessivamente a caccia del “non vaccinato” o di scovare tra i vari slogan quello del no al greenpass pur di bollare il corteo di ieri come l’equivalente napoletano delle piazze no-vax e nascondere le reali ragioni della protesta. Qualche telegiornale ha persino parlato di sole 400 persone in piazza: basta vedere solo la metà delle dirette pubblicate sui social e su qualche media indipendente per comprendere sia le dimensioni reali del corteo, sia quelle della disinformazione asservita a Draghi e alla sua cricca di potere.

Il messaggio della piazza è stato dunque chiaro e netto: non cadiamo nella vostra trappola, non ci facciamo distrarre dalla vostra propaganda e dalla vostra ipocrisia securitaria e non ci facciamo dettare da nessuno (men che meno dai media di regime) né il terreno, né il perimetro dello scontro che è a voi più congeniale. Corteo doveva essere e corteo è stato: si tratta di una condotta da estendere e generalizzare, rifiutando ovunque possibile ogni terreno di mediazione sul divieto di manifestare.

La giornata di sabato ha rappresentato, assieme alla piazza del 30 ottobre contro il G 20 a Roma, il principale momento di ricomposizione delle lotte reali all’indomani dello sciopero generale del sindacalismo di base dello scorso 11 ottobre. Come da noi evidenziato già in occasione della piazza romana (la quale, va detto, era stata indetta su un tema ben più generale e registrava un numero di adesioni collettive ben più ampio e “unitario” di quella napoletana), la strada verso la ricostruzione di un movimento di classe con dimensioni di massa e con un reale radicamento su tutto il territorio nazionale è ancora lunga e in salita. In quest’ottica, non possiamo non registrare come la piazza di Napoli abbia rappresentato l’ennesima occasione persa per la gran parte dei promotori dello sciopero, i quali continuano ad apparire molto più attratti da tatticismi esasperati, inutili liturgie da intergruppi e improbabili sommatorie di “generali” spesso e volentieri senza esercito, che non dalla volontà di collegarsi e rapportarsi seriamente alle lotte e al movimento reale.

Tra vittorie e sconfitte, in questi mesi difficili abbiamo saputo resistere e, ove possibile, contrattaccare ai piani di macelleria sociale e alle strette repressive, contrapponendoci prima alla propaganda del “siamo tutti sulla stessa barca” (veicolata dai padroni e fatta propria dai sindacati di stato Cgil-Cisl-Uil e dagli ultimi cascami delle sedicenti “sinistre”) e ora al vile e abile tentativo di dividere i proletari con l’”esca” del greenpass, al fine di nascondere e insabbiare due anni di gestione disastrosa e criminale della pandemia, sia in termini sanitari che sociali.

Lo scontro imposto da padroni e governi si è tradotto in centinaia di licenziamenti, denunce, fogli di via, cariche della polizia, attacchi armati dei padroni e dei loro cani da guardia fuori ai cancelli, e soprattutto nell’assassinio di Adil, la cui memoria è ben impressa nello striscione che i lavoratori del SI Cobas portano ad ogni manifestazione e che ieri era in piazza a Napoli nello spezzone di apertura che ha unito fianco a fianco i licenziati Fedex di Piacenza, della Unes di Trucazzano e i leoni e le leonesse che ogni giorno, nella logistica e non solo, proseguono sui loro luoghi di lavoro quella lotta per migliori condizioni lavorative e salariali che è costata la vita ad Adil.

Torniamo da Napoli ancora più carichi e determinati: ci aspettano a breve nuovi e impegnativi appuntamenti, su tutti la mobilitazione internazionale del prossimo 26 novembre contro la schiavitù del modello-Amazon che i padroni stanno tentando di imporre in tutto il settore della logistica.

Pur nelle molteplici difficoltà generate dal fuoco di fila scatenato da governo e padroni contro chiunque osa opporsi alle loro politiche “lacrime e sangue”, continuiamo a ritenere che il compito principale di un sindacato di classe, tanto più in questa fase storica, sia quello di legare ogni iniziativa, ogni singola battaglia, alla necessità di favorire un raccordo sempre più ampio tra i lavoratori e i proletari combattivi, e a tradurre le lotte rivendicative e parziali in una comune battaglia contro il governo Draghi e per lo sviluppo del fronte di classe anticapitalista.

E’ con questo spirito che a partire dalle vertenze dei disoccupati e dei licenziati, nei prossimi giorni torneremo a porre con forza a tutti i lavoratori in lotta e tutte le realtà sindacali e sociali attive sui territori la necessità di costruire in tempi brevi una manifestazione nazionale a Roma con l’obbiettivo di portare le proteste fuori e dentro i palazzi governativi. 

Con buona pace dei creduloni e dei “finti tonti”, la battaglia contro i licenziamenti e l’attacco generalizzato ai salari non passerà mai per le segreterie dei sindacati di stato: non si tratta di affermare una “verità assoluta”, bensì di constatare la cruda realtà dei fatti, che evidenzia ogni giorno di più (al di la delle chiacchiere ad uso e consumo della stampa) il patto d’acciaio che unisce governo, Confindustria e triplice sindacale in nome della salvaguardia dei profitti e della pace sociale. L’uso sciacallesco dell’assalto squadristico alla Cgil compiuto da Landini al fine di consolidare l’asse con Draghi sulla pelle dei lavoratori (ivi compresi gli utili idioti scesi in piazza per “la democrazia e l’antifascismo”) è quanto mai indicativo. Chi continua a seminare l’illusione che i bonzi di Cgil-Cisl-Uil possano un bel giorno “convertirsi” alle ragioni di uno sciopero generale, alla prova dei fatti non sta ricercando una strada “diversa” per un obbiettivo comune, bensì contribuisce, volente o nolente, a stringere ulteriormente attorno al collo dei lavoratori il cappio ultratrentennale della passività e della resa: un cappio da cui liberarsi il prima possibile.

Per tornare a far davvero paura ai padroni e ai loro governi non esistono scorciatoie: la lotta è l’unica strada percorribile. Perché chi non lotta ha già perso.

SI Cobas nazionale