Riceviamo e pubblichiamo dalla redazione Il Pungolo Rosso questo contributo, già disponibile sul loro sito (vedi qui):
Perchè negli USA le morti per Covid hanno superato quelle per AIDS
– di S. W. Thrasher
In visita all’installazione di arte pubblica ‘In America: Remember’, in memoria delle vittime del Covid, a Washington, DC. – sabato, 18 settembre Washington, DC. Credit: Kent Nishimura – Los Angeles Times/Getty Images
Abbiamo tradotto questo articolo da “Scientific American” perché è utile ad oggettivare la portata della pandemia in atto rispetto a quella precedente di Aids. Ed è altrettanto utile per ragionare su entrambe in termini globali, con una netta distinzione – anche per ciò che riguarda la tutela della salute – tra paesi imperialisti e paesi dominati dall’imperialismo. Va detto, però, che l’autore rivela una buona dose di superficialità quando si dice “perplesso” sul modo in cui gli Stati Uniti hanno sprecato i “vari vantaggi” che avevano nell’azione di contrasto al Covid 19. Almeno tre fattori sono chiaramente identificabili ad occhio nudo: 1) l’inesistenza di un sistema sanitario pubblico, non nel senso di statale, ma nel senso di centrato sulla prevenzione delle malattie (e tanto più delle epidemie) e sulla tutela della salute della popolazione lavoratrice, e non mediato dal pagamento in contanti; 2) la presenza di una quota importante di appartenenti alle classi lavoratrici che hanno uno stato di salute largamente compromesso a causa sia di una pessima alimentazione, sia di uno stress da lavoro che è tra I massimi al mondo; 3) la speciale forza che ha negli Stati Uniti l’Internazionale negazionista-complottista che, con Trump alla Casa Bianca, ha per alcuni mesi ostacolato le misure necessarie al contenimento della pandemia, usando come un’arma politica anti-cinese la sua esplosione, e tutt’ora sponsorizza (come nota Thrasher) anche pratiche di diffusione intenzionale del virus.
Si sa che negli Stati Uniti quasi 800.000 persone sono morte di COVID-19. Se la tendenza attuale continua – speriamo di no – nel 2022 altre centinaia di migliaia di persone potrebbero morire di COVID, mentre le 15.000 persone che hanno contratto l’HIV potrebbero morire per qualsiasi altra causa.
Vale la pena di confrontare e riflettere su queste cifre terribili, ma con qualche precisazione. In primo luogo, il considerare i decessi in termini di numeri alla rinfusa appiattisce ciò che sta realmente accadendo.
È difficile riuscire a rendere giustizia alle oltre 100.000 persone che negli Stati Uniti sono morte per overdose l’anno scorso (con un aumento del 30% rispetto all’anno precedente) e alle centinaia di migliaia di morti per HIV e SARS-CoV-2. Ciascuna delle persone morte per queste pandemie è degna di essere ricordata per come ha vissuto e amato durante la sua vita su questa terra.
Inoltre, non sapremo mai esattamente quante persone sono morte di AIDS o di COVID.
Eppure, questo dato di fatto è importante per la sua portata. Per decenni ho conosciuto molte persone che hanno perso e pianto i loro cari a causa dell’AIDS; ho visto da vicino il tributo che questo ha comportato per coloro che sono sopravvissuti alla pandemia di AIDS dal 1981, e come il loro dolore individuale e collettivo ha condizionato la politica, le proteste e la comunità omosessuale negli Stati Uniti. È significativo e angosciante constatare che quattro decenni di una sofferenza tanto forte si sono concentrati in meno di due anni. Come può la società statunitense elaborare un lutto di tale portata così velocemente, soprattutto considerando il fatto che il COVID ha consentito molte meno espressioni di lutto collettivo?
Per comparare le morti per COVID e quelle per AIDS negli Stati Uniti occorre comparare le morti globali per COVID e quelle per AIDS. E in questo confronto osserviamo una situazione molto differente. Mentre negli Stati Uniti le morti di COVID sono attualmente circa il 110% del totale delle morti di AIDS, le morti globali di COVID – circa cinque milioni e in crescita – sono meno del 20% degli oltre 36 milioni di persone morte di AIDS.
Dal punto di vista della virologia, si può prevedere che il nuovo coronavirus possa portare alla morte molto più velocemente dell’HIV. SARS-CoV-2 è un virus molto più potente dell’HIV, si trasmette molto più facilmente, e tutto ciò che lo riguarda è più veloce dell’HIV. Il nuovo coronavirus si muove rapidamente tramite le relazioni sociali, può contagiare le persone (e trasmettersi attraverso di esse) in pochi giorni, e può portare alla morte in settimane (anziché in anni). Secondo UNAIDS, le morti globali annue per AIDS hanno raggiunto un picco di circa 1,7 milioni nel 2004, circa 23 anni dopo la pandemia. COVID ha già superato questo totale in un decimo del tempo.
Eppure, questo non spiega perché negli Stati Uniti COVID ha già superato il totale dei decessi per AIDS, mentre è meno di un quinto di essi a livello globale. Da un certo punto di vista, queste disparità indicano come il Sud del mondo abbia pagato il prezzo più alto per le morti di AIDS.
Gli Stati Uniti hanno potuto disporre di farmaci antiretrovirali nel 1996, e il tasso di mortalità per AIDS è immediatamente crollato (tra coloro che negli Stati Uniti hanno ricevuto i farmaci). Eppure gli stessi farmaci hanno cominciato ad essere distribuiti nel continente africano solo nel 2003, quando l’HIV aveva già creato innumerevoli orfani e infettato milioni di persone.
Ciò che in qualche modo mi lascia perplesso è che gli Stati Uniti, come per l’accesso precoce agli antiretrovirali, hanno avuto vari vantaggi con la SARS-Co-V2 rispetto ad altri paesi – anche di più, secondo alcuni parametri.
L’HIV è stato notato per la prima volta negli Stati Uniti molto tempo dopo che la gente era stata infettata e stava morendo; ma con il nuovo coronavirus, gli Stati Uniti avrebbero potuto imparare dalla Cina e dall’Italia, le cui precedenti esperienze hanno dato agli Stati Uniti il tempo di prepararsi. Gli Stati Uniti hanno anche avuto alcuni dei primi farmaci e vaccini COVID e, dopo un inizio difficile, li hanno distribuiti rapidamente – a un certo punto vaccinando quattro milioni di persone al giorno. Ma si sono fermati, e attualmente sono al di sotto del cinquantesimo posto per i tassi di vaccinazione. Eppure, nonostante tutto, gli Stati Uniti hanno continuato ad avere il più alto numero di infezioni totali e di morti da coronavirus (e a volte, i più alti decessi pro capite). Pur essendo il 5% della popolazione mondiale, gli Stati Uniti attualmente contano circa il 15% dei decessi da COVID nel mondo e, in alcuni momenti, hanno rappresentato fino al 25%.
Penso che queste tendenze divergenti dipendano da chi veniva percepito come il più a rischio per HIV e COVID negli Stati Uniti. Inizialmente l’HIV si trasmetteva più frequentemente tramite il sesso anale, l’uso di droghe attraverso iniezione e le trasfusioni di sangue. I più colpiti erano persone emarginate che da tempo avevano stretto solidarietà tra di loro.
E così, anche se le modalità di trasmissione venivano stigmatizzate, gli omosessuali e i neri e i consumatori di droghe iniettabili iniziarono rapidamente a usare i preservativi, ad organizzare scambi di siringhe sterili e ad impegnarsi nell’educazione reciproca su come evitare l’HIV.
Ma quando gli Stati Uniti ebbero gli antiretrovirali a metà degli anni ’90, l’HIV stava circolando nel Sud del mondo non solo tramite il sesso anale, la vicinanza nelle carceri e l’uso di droghe da iniezione, ma, sempre di più, tramite il sesso vaginale e la trasmissione verticale, da genitore a figlio.
A quel tempo in America, molte persone potevano avere accesso a buoni farmaci contro l’HIV, e il virus era concentrato all’interno di alcune comunità che non potevano procurarsi i farmaci; nel frattempo, nel Sud globale, l’HIV circolava in una popolazione molto più generale, mentre nessuno potè accedere ai farmaci per quasi un decennio.
Una dinamica diversa si sta sviluppando con il COVID negli Stati Uniti. Mentre gli stessi tipi di persone sono più vulnerabili al COVID che all’HIV, le persone ricche avvertono, giustamente, di essere anche loro vulnerabili al COVID.
L’HIV impose alle persone emarginate di prendersi cura collettivamente delle loro comunità in modi molto specifici (come l’uso di preservativi e siringhe sterili) durante attività molto specifiche. Ma COVID esige che tutta la popolazione degli Stati Uniti modifichi molti comportamenti per proteggersi l’un l’altro – e su questo punto la popolazione generale degli Stati Uniti si differenzia notevolmente dai gruppi emarginati all’interno dei suoi stessi confini, come pure rispetto a molte società del Sud del mondo.
Ad esempio, al culmine delle morti di AIDS negli Stati Uniti, gli omosessuali adottarono in massa nuove pratiche per proteggersi l’un l’altro, anche se furono spesso accusati dai moralisti etero di “bug chasing” – cercare intenzionalmente di prendere l’HIV, un rischio perseguito da un gruppo estremamente di nicchia e mai avallato dai leader omosessuali ufficiali. Eppure con COVID, il “bug chasing” è stato normalizzato e sostenuto da importanti conduttori radiofonici e politici conservatori.
La comparazione dei tassi di COVID e AIDS negli Stati Uniti e nel mondo evidenzia la follia di pensare agli Stati Uniti come un’unica entità. I dati sanitari variano molto da una regione all’altra, e le pandemie di HIV e COVID negli Stati Uniti sono concentrate soprattutto negli stati del sud.
Certo, tutto questo forse sembrerà molto diverso nel 2060, anno lontano dalla prima morte nota di COVID come attualmente lo siamo dalla prima morte nota di AIDS. Per quanto ne sappiamo, gli Stati Uniti potrebbero stabilizzarsi con COVID, mentre in altri paesi moriranno senza vaccini. Ma in questa giornata mondiale dell’AIDS, oltre a ricordare i morti e a sostenere i vivi che sono colpiti dall’HIV, ricordiamoci che non c’è nessuna gara tra queste due pandemie. Non è una competizione. Nonostante le particolarità dei due virus, essi riguardano una sottoclasse virale simile. Realizzare un mondo libero dall’AIDS consentirebbe di realizzare un mondo libero dal COVID (e viceversa), perché alla base di entrambe le pandemie ci sono le medesime cause.
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(*) Steven W. Thrasher, Ph.D., is a Scientific American columnist and professor at Northwestern University in the Medill School of Journalism and the Institute of Sexual and Gender Minority Health and Wellbeing. He is the author of the forthcoming book The Viral Underclass: The Human Toll When Inequality and Disease Collide from Celdaon Books and Macmillan Publishing. Follow Steven W. Thrasher on Twitter.