CON L’INSURREZIONE OPERAIA E POPOLARE IN KAZAKISTAN
abbasso il regime capitalista, fuori le truppe russe!
– Tendenza internazionalista rivoluzionaria
L’insurrezione esplosa in Kazakistan, che il presidente Tokayev attribuisce a “terroristi” al soldo di non meglio precisate potenze “straniere” è in realtà stata iniziata il 2 gennaio dai lavoratori della città industriale di Zhanaozen, e si è subito estesa a tutta la regione mineraria occidentale di Mangystau. Ha quindi una chiara matrice di classe. Questi lavoratori nella scorsa estate erano stati protagonisti di un’ondata di scioperi economici vittoriosi, che avevano portato il raddoppio dei salari; ma il raddoppio del prezzo del Gpl, il principale carburante per auto nel paese, a seguito della liberalizzazione dei prezzi dell’energia (prodotta in loco), per quanto su livelli che in Italia sarebbero irrisori (da circa 12 a 24 centesimi di euro al litro), è apparso loro come una beffa che cancellava quanto strappato con la lotta.
Ciò tuttavia non avrebbe portato alla rivolta aperta contro tutte le istituzioni statali se assieme a questo senso di ingiustizia sociale non si fossero accumulati negli anni una diffidenza inappellabile, un disprezzo genuino, un odio profondo nei confronti del ceto dominante, dei clan al potere, a partire dal dicembre 2011 quando la polizia sparò contro i lavoratori del campo petrolifero di Ozenmunaigas di Zhanaozen, licenziati a maggio (in mille!) a seguito di uno sciopero – sparò per liberare la piazza che avevano occupato, dove si doveva celebrare la festa nazionale: almeno 14 furono i morti. Anche se il“padre fondatore”della repubblica kazaka, Nursultan Nazarbaiev, cercò di smarcarsi da questa strage dimettendo alcuni funzionari e il proprio genero, molti di coloro che parteciparono alle proteste contro il massacro vennero arrestati, torturati e condannati.
Questa volta hanno detto “basta”, hanno occupato le sedi locali del potere, disarmato le “forze dell’ordine”(che secondo alcune fonti si sono in parte unite ai rivoltosi) e preso il controllo del potere locale. Ma la rivolta sarebbe rimasta un fatto regionale, più facile da isolare e reprimere, se quel sentimento di disprezzo e di odio contro uno stato oppressore, contro la cricca al potere di capitalisti e corrotti arricchiti oltre ogni misura (secondo i calcoli di KPMG 162 persone, arricchitesi con le privatizzazioni e la rendita mineraria, hanno il 55% di tutta la ricchezza del paese) non fosse condiviso da milioni di abitanti delle maggiori città, a partire da Almaty (Alma Ata), dove dai quartieri popolari folle di migliaia di giovani disoccupati e senza futuro hanno risposto all’appello dei lavoratori di Zhanaozen (prima che il governo bloccasse social media e tutto internet) e si sono riversati in centro città insieme a gruppi di lavoratori, assaltando i palazzi del potere, incendiando il municipio, e sembra anche una torre della TV, attaccando la polizia, rovesciando e incendiandone i mezzi, pare anche appropriandosi di depositi di armi. Ci sono anche notizie di saccheggi di negozi e atti di vandalismo. Le rivoluzioni non sono sfilate di gala…
L’insurrezione non si è fermata di fronte alla rapida retromarcia del governo che ha subito revocato gli aumenti del Gpl e promesso sussidi sui generi alimentari, e neppure di fronte allo scioglimento del governo stesso da parte del presidente Tokayev, con la promessa, non nuova, di un nuovo governo capace di ascoltare il popolo. Come hanno chiesto per due anni i manifestanti algerini, anche gli insorti kazaki non si accontentano di un cambio di persone, chiedono di cambiare il “sistema”: una richiesta radicale anche se inevitabilmente vaga nell’alternativa proposta, mancando una direzione politica del movimento.
In forte difficoltà nella repressione dei moti, Tokayev ha chiesto il soccorso delle truppe del CSTO, la Nato russa, che Putin, pur impegnato nella prova di forza in Ucraina, ha prontamente inviato. È la prima volta che il CSTO mobilita le truppe a sostegno di uno stato membro. E lo fa non contro un nemico esterno, ma contro una insurrezione interna. Con l’aperto sostegno del principale partito russo di “opposizione” parlamentare, il super-nazionalista Partito “Comunista” Russo, che ignorando la caratteristica operaia dell’insurrezione, ha avvalorato la tesi che la rivolta sia opera di “terroristi” finanziati dai governi occidentali, plaudendo alla repressione, e ha sostenuto l’invio delle truppe russe chiedendo il rafforzamento dell’integrazione della Unione Economica Eurasiatica degli Stati ex URSS.
La Cina da parte sua ha fornito, con qualche giorno di ritardo il 7 gennaio, il suo sostegno a Tokayev. Le cancellerie occidentali si tengono defilate, auspicando una rapida soluzione senza spargimento di sangue, e nel “rispetto dei diritti umani”… del resto lo stesso Biden il 5 dicembre scorso si era congratulato con Tokayev per il 30° anniversario della repubblica kazaka.
La repressione è stata durissima, con l’ordine dato da Tokayev di sparare a vista senza avvertimento; i dati ufficiali danno 162 morti e 8 mila arresti, dato che testimonia del fatto che decine di migliaia di persone hanno partecipato alle proteste, smentendo la tesi che si sia trattato di bande islamiste addestrate all’estero. Nessuna protesta contro la repressione del movimento è venuta dai “governi democratici”, e neppure contro l’invio delle truppe russe. Diverse grandi imprese americane ed europee, soprattutto del settore energetico e minerario, stanno partecipando da decenni, con soddisfazione e profitti, allo sfruttamento delle enormi risorse naturali del Kazakistan (2,7 milioni di kmq, quanto l’Europa Occidentale), a partire dal petrolio e gas, che vede protagoniste le americane ExxonMobil e Chevron, l’italiana ENI e la francese Total, con grandi investimenti per lo sfruttamento di alcuni dei più grandi giacimenti del mondo e la gestione di oleodotti e gasdotti per l’esportazione, cui dal 2005 si sono aggiunte le cinesi CNPC (che ha acquisito la società statale Petrokazachstan) e Sinopec, con 20 miliardi di dollari di investimenti, inclusi oleodotto e gasdotto verso la Cina. Non solo: il Kazakistan è il maggiore produttore mondiale di uranio, con il 40% della produzione globale, e le sue forniture alle centrali nucleari di tutto il mondo, in particolare in USA, Canada ed Europa, ma soprattutto in Cina, che ne acquista circa la metà, sono note per la loro regolarità e affidabilità – che in questi giorni gli scioperi dei lavoratori del settore e dei trasporti hanno interrotto, facendo salire dell’8% il prezzo internazionale dell’uranio. Così come sta di fatto per il ripristino dell’ordine capitalista il governo italiano, che oltre all’interesse preponderante dell’ENI (con interessi nei giacimenti di Karachaganak e Kashhagan), rappresenta anche quelli di diverse decine di imprese, nello sfruttamento dei lavoratori kazaki. L’ordine del capitale globale deve tornare a regnare al più presto in Kazakhstan e per ora sono Tokayev e i suoi a garantirlo per tutti.
C’è di fatto l’interesse comune dei vari imperialismi alla stabilità del Kazakistan, con la preoccupazione di quelli occidentali – e presumibilmente della Turchia –che l’intervento russo non rompa l’equidistanza finora tenuta dal Kazakistan, e faccia prevalere l’influenza russa. Contro questo sostegno internazionale di fatto alla repressione della insurrezione kazaka, esprimiamo la nostra piena solidarietà ai lavoratori che sono insorti per rovesciare il sistema politico kazako con alla testa miliardari capitalisti, e che vede una stretta collaborazione tra multinazionali e imprese statali e private locali, di concerto con il governo, nello sfruttamento della classe operaia e delle risorse naturali kazake. La sanguinaria repressione sembra sia ormai riuscita a stroncare, per il momento, la sollevazione ad Almaty, e nel Mangystau. Le avanguardie del movimento di opposizione di classe, per quanto decimate dagli arresti, si trovano di fronte alla necessità di consolidare una tendenza anticapitalista e internazionalista, che si ponga in grado di durare oltre la repressione. Il fatto che il movimento di rivolta, pure ostentando bandiere kazake, non abbia assunto caratteri di ostilità contro la popolazione di lingua russa, favorisce il suo consolidamento come movimento di classe. Da parte nostra il compito di cercare collegamenti e sostenere un tale movimento.
Ci sono diversi punti ancora da chiarire in quanto sta avvenendo in Kazakistan. Come mai il padre-padrone Nursultan Nazarbayev è stato dimissionato dal Consiglio di Sicurezza, al quale si era fatto nominare presidente a vita? Cosa ha motivato l’arresto del capo del Comitato Nazionale di Sicurezza, Karim Masimov per “alto tradimento”? E’ evidente che è in atto uno scontro tra i gruppi dirigenti kazaki. Uno scontro di quale natura? Nazarbayev, ex primo ministro della Repubblica Kazaka, poi segretario generale del Partito Comunista kazako ai tempi dell’URSS, è uno dei pochi leader che è rimasto al posto di comando col disfacimento dell’URSS: ha utilizzato il nazionalismo kazako per consolidare l’indipendenza, anche trasferendo popolazione kazaka nelle regioni del nord per ridurre i russi (molti deportati da Stalin) in minoranza (a questo scopo la capitale è stata spostata ad Astana , ha aperto agli USA e all’Europa senza però mai pregiudicare i rapporti con Mosca, e ha continuato a bilanciare i rapporti anche con la Turchia e soprattutto negli ultimi due decenni con la Cina, che ha il potenziale economico per prevalere sulla Russia come potenza egemone nell’Asia Centrale. Come altrove la Cina, pur lasciando trasparire una certa preoccupazione per il possibile rafforzamento dell’influenza russa, mantiene una posizione politica di basso profilo, confermando l’appoggio a Tokayev, preferendo fornire “assistenza economica”, anche se lascia capire che potrebbe intervenire nell’ambito della Shanghai Cooperation Organisation (che include anche Russia e Kazakistan, sotto guida cinese), che anche se non è un’alleanza vera e propria prevede cooperazione contro “terrorismo, separatismo, estremismo”.
Non possiamo quindi escludere che fazioni dell’establishment kazako abbiano cercato di utilizzare la ribellione degli operai petroliferi della provincia di Mangystau per proprie manovre di potere e diverse opzioni di schieramento internazionale. Quel che è certo è che la classe operaia kazaka non troverà alleati in queste fazioni borghesi, divise sulle scelte geopolitiche ma unite nel garantire lo sfruttamento del proletariato kazako. I suoi potenziali alleati sono i lavoratori degli altri paesi, e la lotta istintivamente rivoluzionaria dei lavoratori kazaki per rovesciare il “sistema” è solo l’ultimo esempio che ci indica la necessità di lavorare per ricostruire un fronte unico internazionale anticapitalista su una base di classe.
Con i lavoratori kazaki in lotta contro il regime capitalista autoritario!
No alla repressione, no all’intervento della Santa Alleanza del nuovo zar!
Proletari di tutti i paesi, uniamoci!
Tendenza internazionalista rivoluzionaria
WITH THE WORKERS AND PEOPLE’S UPRISING IN KAZAKHSTAN
Down With the Capitalist Regime, Russian Troops Go Home!
The uprising in Kazakhstan, which President Tokayev attributes to ‘terrorists’ on the payroll of unspecified ‘foreign powers’, was actually started on 2 January by workers in the industrial city of Zhanaozen, and soon spread to the entire western mining region of Mangystau. It therefore has a clear working class character.
Last summer, these workers had been the protagonists of a wave of successful economic strikes, which brought about the doublig of wages; but the doubling of the price of LPG, the main fuel for cars in the country (produced locally), following the liberalisation of energy prices – although at low levels under Western standards (from about 0.12 to 0.24 euros per litre) – has appeared to them as a mockery that wipes out what they have wrested through struggle.
However, this would not have led to an open uprising against all state institutions if this sense of social injustice had not been accompanied over the years by an irreconcilable distrust, a genuine contempt, a deep hatred of the ruling class, of the clans in power, ever since December 2011 when the police fired on the workers of the Ozenmunaigas oil field in Zhanaozen, who had been dismissed in May (over a thousand of them!) following a strike.
They were fired upon with live ammunition to clear the square they had been occupying, where the Independence Day was to be celebrated: at least 14 were killed.
Although the ‘founding father’ of the Kazakh republic, Nursultan Nazarbayev, tried to distance himself from this massacre by dismissing some officials and his own son-in-law, many of those who took part in the protests against the massacre were arrested, tortured and sentenced to jail.
This time they have said ‘enough!’, occupied the local seats of power, disarmed the ‘security forces’ (some sources say some of the latter have joined the insurgents) and taken control of local power.
But the revolt would have remained a regional affair, easier to isolate and suppress, if that feeling of contempt and hatred against an oppressive state, against the ruling clique of capitalists and corrupt individuals enriched beyond all limits – according to KPMG’s calculations 162 people, enriched through privatisation and mining revenues, own 55 percent of all the wealth of the country – was not shared by millions of inhabitants of the major cities, starting from Almaty, where crowds of thousands of unemployed young people with no future ahead responded to the call of the Zhanaozen workers (before the government’s blocking of social media and the internet) and poured into the city centre together with groups of workers, attacking the palaces of power, setting fire to the city hall, and also a TV tower, attacking the police, overturning and setting fire to their vehicles, and reportedly also seizing weapons stores.
There are also reports of shop looting and vandalism, but revolutions are not gala parades.
The uprising did not stop in the face of the government’s rapid retreat, as it immediately revoked the LPG increases and promised food subsidies, nor did it stop in the face of the dissolution of the government itself by President Tokayev, with the not new promise of a new government capable of listening to the people.
As the Algerian protesters have been asking for two years, the Kazakh insurgents are not content with a change of people in power, they are asking to change the “system”: a radical request even if inevitably vague in the proposed alternative, since the movement lacks political direction.
Struggling to suppress the uprising, Tokayev has called for the help of CSTO (Russia’s NATO) troops, which Putin, even while engaged in the showdown in Ukraine, promptly dispatched.
This is the first time the CSTO has mobilised troops in support of a member state.
And it does so not against an external enemy, but against an internal insurgency. With the open support of Russia’s main parliamentary ‘opposition’ party, the supernationalist Russian ‘Communist’ Party, which, ignoring the working-class nature of the uprising, has upheld the allegation that the uprising is the work of ‘terrorists’ financed by Western governments, applauding the crackdown, and has supported the deployment of Russian troops, calling for the strengthening of the
integration of the Eurasian Economic Union of the former USSR states.
China for its part has given its support to Tokayev, with a few days delay on 7 January.
Western governments are keeping a low profile, wishing for a rapid solution without bloodshed and with the ”respect for human rights”… after all, on 5 December Biden himself had congratulated Tokayev on the 30th anniversary of the
Kazakh Republic.
The repression has been extremely harsh, with Tokayev giving the order to shoot on sight without warning.
Official figures report 162 deaths and 8,000 arrests, a figure that testifies to the fact that tens of thousands of people took part in the protests, disproving the allegation that they were Islamist gangs trained abroad.
No protests against the repression of the movement has come from “democratic governments”, nor against the sending of Russian troops.
Several large American and European companies, especially in the energy and
mining sectors, have been participating for decades, with satisfaction and profits, in the exploitation of Kazakhstan’s huge natural resources (2.7 million square kilometres, the size of Western Europe), starting with oil and gas, with the American ExxonMobil and Chevron, Italy’s ENI and the French Total, playing a major
role in the exploitation of some of the world’s largest deposits and in the management of oil and gas export pipelines.
Since 2005, they have been joined by the Chinese CNPC (which acquired the state-owned company Petrokazachstan) and Sinopec, with investments totalling $20 billion, including oil and gas pipelines to China.
Furthermore, Kazakhstan is the world’s largest producer of uranium, with 40% of global production.
Its supplies to nuclear power plants around the world – in the USA, Canada and Europe, but above all in China, which buys about half of it – are known for their regularity and reliability, but these days they have been interrupted by strikes by industry and transport workers, pushing up the international price of uranium by 8%.
Likewise, the Italian government, which in addition to the prevalent interest of ENI (with stakes in the Karachaganak and Kashagan deposits), also represents those of several dozen companies in the exploitation of Kazakh workers, favours the restoration of the capitalist order.
The order of global capital must reign again in Kazakhstan without delay, and for the time being it is Tokayev and his associates who guarantee it for everyone.
Actually, the various imperialisms share a common interest in the stability of Kazakhstan, with the Western imperialisms – and presumably Turkey – concerned that Russian intervention might break Kazakhstan’s geopolitical balancing, and allow Russian influence to prevail.
Against this de facto international support to the suppression of the Kazakh insurgency, we express our full solidarity with the workers who have risen up to overthrow the Kazakh political system headed by capitalist billionaires, and which sees a close collaboration between multinationals and local state and private companies, in concert with the government, in the exploitation of the Kazakh working class and natural resources.
The bloody repression appears to have succeeded, for the time being, in crushing the uprising in Almaty, and in Mangystau.
The vanguards of the working class opposition movement, although decimated by arrests, are faced with the need to consolidate an anti-capitalist and internationalist tendency capable of enduring beyond the crackdown.
The fact that the uprising movement, although displaying Kazakh flags, has not taken on hostile attitudes towards the Russian-speaking minority, favours its consolidation as a class movement.
It is our duty to seek connections and support such a movement.
There are several points still to be clarified in what is happening in Kazakhstan.
Why was the father-master Nursultan Nazarbayev dismissed from the Security Council, to which he had appointed himself president for life?
What prompted the arrest of the head of the National Security Committee, Karim Masimov, for ‘high treason’?
It is clear that a confrontation is taking place within the Kazakh leadership.
What’s the nature of this confrontation?
Nazarbayev, former Prime Minister of the Republic of Kazakhstan, later Secretary General of the Communist Party of Kazakhstan at the time of the USSR, is one of the few leaders who remained in command with the disintegration of the USSR: he has used Kazakh nationalism to consolidate independence, including by moving Kazakh population to northern regions to reduce the ethnic Russians (many the descendants of people deported by Stalin) to a minority – for this purpose the capital was moved to Astana.
Nazarbayev opened up to the US and Europe without, however, undermining relations with Moscow, and has continued to balance relations also with Turkey and especially in the last two decades with China, which has the economic clout to prevail over Russia as a hegemonic power in Central Asia.
As elsewhere, China, while hinting at a certain concern for the possible strengthening of Russian influence, maintains a low-profile political stance, confirming its support for Tokayev, saying that she prefers to provide “economic assistance”, even if she might have intervened in the framework of the Shanghai Cooperation Organisation (it also includes Russia and Kazakhstan, under Chinese leadership), which despite not being a real alliance provides for cooperation against “terrorism, separatism, extremism”.
We cannot therefore exclude that factions of the Kazakh establishment have tried to use the rebellion of the oil workers of the Mangystau province for their own power plays and different international alignments.
What is certain is that the Kazakh working class will not find allies in these bourgeois factions, divided on geopolitical choices but united in guaranteeing the exploitation of the Kazakh proletariat. Its potential allies are the workers of other countries, and the instinctively revolutionary struggle of the Kazakh workers to overthrow the “system” is just the latest example that shows us the need to work to rebuild an international class-based anti-capitalist united front.
With Kazakh workers fighting against that authoritarian capitalist regime!
Against repression and the intervention of the new tsar’s Holy Alliance!
Proletarians of all countries, let’s unite!
January 10, 2022
Tendenza Internazionalista Rivoluzionaria