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[CONTRIBUTO] Verso l’8 marzo: un appello dell’Africa profonda

VERSO L’OTTO MARZO

UN APPELLO DALL’AFRICA PROFONDA

L’otto marzo di 35 anni fa risuonò in tutto il continente africano un meraviglioso appello alla sollevazione e al riscatto di tutte le donne africane.

Da un piccolo e poverissimo paese, il Burkina Faso, un giovane leader rivoluzionario, Thomas Sankara, lanciava una denuncia a tutto tondo delle cause dell’oppressione delle donne ed esaltava la loro partecipazione al processo rivoluzionario in atto nel suo paese.

Consapevole che nessuna trasformazione duratura della società sarebbe stata possibile senza la partecipazione attiva delle donne, senza il loro accesso all’istruzione e al lavoro, senza l’abbandono degli stereotipi di genere che dominavano nel paese, e che affliggevano e condizionavano le donne dalla nascita, Thomas Sankara non si limitò in quella occasione a denunciare le malefatte del colonialismo ma additò gli uomini del Burkina Faso, le loro perversità e i loro vizi, il loro opportunismo e la loro irresponsabilità nei rapporti, come responsabili diretti dell’oppressione e del degrado in cui versavano le donne del paese.

Un degrado che lo portava a definire la prostituzione un microcosmo della società, e a “vedere in ogni prostituta un dito accusatore verso tutta la società” .

“L’uomo sciovinista, in cui si nasconde il signore feudale, deve essere distrutto”; “anche l’uomo più povero ha qualcuno su cui comandare: la sua donna”.

E’ necessario quindi un cambiamento profondo nella mentalità collettiva, la donna deve uscire dal ruolo obbligato di moglie e di madre, e non essere giudicata in modo malevolo se non ha figli.

Al tempo stesso vanno combattute tutte quelle pratiche “di bellezza” che mutilano il corpo e la sua integrità che le donne infliggono a se stesse per piacere agli uomini e trovare marito: “vi fate male, dice Sankara, perché gli uomini possano farvi ancora più male!”

Bandire l’usanza del levirato e della dote, l’educazione sessista in famiglia, che fa delle bambine uno strumento di produzione e di servizio a fianco della madre, praticare la condivisione del lavoro domestico (cose da far tremare le vene ai polsi ai benpensanti di destra e ai progressisti di sinistra nostrani…).

Un cambiamento radicale della vita del paese che può essere messo in atto solo all’interno di un processo rivoluzionario come quello iniziato tre anni prima.

Poiché “vivere nello squallore produce rapporti sociali squallidi”, vanno immediatamente messe in atto misure concrete che consentano l’accesso all’istruzione, al lavoro, alla parità salariale, alla sanità pubblica, sui quattro fronti di lotta alla malattia, alla povertà, alla fame e alla degenerazione.

Soprattutto va incentivata in ogni modo la partecipazione attiva dalle donne al processo rivoluzionario e alla gestione della vita sociale.

Nessuna riforma duratura può cadere dall’alto ma deve essere conquistata con la lotta.

E purtroppo oltre alle donne che hanno partecipato alla rivoluzione che ha liberato il Burkina Faso dal colonialismo, l’analfabetismo e la passività sono ancora troppo presenti nella grande massa di contadine del paese.

“Sento il ruggito del silenzio delle donne, sento il rombo della loro tempesta e sento la furia della loro rivolta”, così disse Sankara in quel mitico discorso l’otto marzo del 1987, denunciando il doppio carico delle mogli degli immigrati, rimaste sole a sostenere la famiglia, lo sfruttamento nel lavoro agricolo ma anche la mercificazione dei corpi nella pubblicità e l’attacco alla dignità delle donne, comprese le donne bianche, la falsa libertà data dal colonialismo e le illusioni del femminismo elitario che dava alle donne il diritto di emulare i maschi.

Una capacità strepitosa di unire le rivendicazioni economiche, così stringenti in un paese poverissimo, alla necessità di cambiamento di mentalità, di una nuova concezione dei rapporti tra i sessi e sociali, di andare oltre.

In un paese ridotto alla fame non c’è posto, per Sankara alla contrapposizione fra bisogni economici e lotta ideologica contro la mentalità corrente, in una visione globale della contrapposizione fra modelli di società e di vita, fra capitalismo e socialismo.

L’appello alla lotta comune, al coinvolgimento delle donne in ogni sfera della vita sociale e produttiva è sempre accompagnato al richiamo agli uomini affinché si prendano le loro responsabilità e spezzino le catene con cui tengono imprigionate le donne.

Siamo in presenza di uno sforzo raramente riscontrato al giorno d’oggi di superare le diatribe fra principale e secondario, che tanto hanno ammorbato e diviso le lotte del movimento operaio e dei partiti più o meno ispirati allo stalinismo, e non solo, rinviando al domani la soluzione della “questione femminile”, amputando le forze della classe a beneficio della crescita della nazione.

Thomas Sankara un visionario?

Colpisce il suo entusiasmo e la sua fiducia nella rivoluzione dal basso.

Colpisce l’attualità degli obiettivi e la lucidità dell’analisi della condizione femminile nel continente africano e non solo.

Dei limiti (inevitabili) della sua concezione ne parliamo un’altra volta, e solo a partire dal riconoscimento del carattere rivoluzionario della sua visione.

A 35 anni dal suo appello, si inasprisce l’attacco sistematico degli stati alle donne e ai popoli del sud del mondo e dei governi verso le donne sempre più precarie, sovraccariche di lavoro produttivo e riproduttivo, costrette a vivere in crescente povertà, mercificate, private del diritto di autodeterminazione.

E colpisce anche l’allontanarsi progressivo del movimento femminista maggioritario dalle contraddizioni che pesano e si abbattono sulle vite delle donne senza privilegi.

Thomas Sankara era un pericolo per chi voleva mantenere lo status quo in Burkina Faso e in tutta l’Africa.

Sarà assassinato su ordine degli imperialisti pochi mesi dopo aver pronunciato questo splendido discorso davanti alle donne del suo paese.

Un colpo di stato spazzerà via l’ansia di riscatto presente nelle lotte anticoloniali che avevano percorso tutto il continente.

Il processo finalmente avviato qualche settimana fa contro i suoi assassini materiali è stato oggi improvvisamente sospeso, grazie ad un nuovo colpo di stato.

L’ennesimo tentativo di levare di mezzo un nome e una memoria ingombrante.

Ma il suo nome è fonte di orgoglio e di fierezza per tutti gli africani che hanno combattuto il colonialismo e che si battono oggi contro il neo colonialismo nei loro paesi di origine o nelle terre di immigrazione.

E’ fonte di riconoscenza per tutte le donne d’Africa protagoniste di lotte sconosciute, a cui vogliamo dare voce e che sono la nostra speranza.

Da parte nostra raccogliamo l’appello alla mobilitazione in prima persona e allo sciopero, sempre più necessario, per un otto marzo di lotta unitaria e internazionale.

(Le citazioni sono dal discorso di Thomas Sankara l’8 marzo 1987, riportate dal volume “Women’s liberation and the African freedom struggle”, ed. Pathfinder, 1990)