Riceviamo e pubblichiamo dalle compagne del Comitato 23 settembre questo contributo, già disponibile sulla loro pagina (vedi qui):
Guerra alla guerra.
La lotta delle femministe russe.
Riprendiamo dal Manifesto del 12.03.22 questa testimonianza sulla lotta e la repressione di cui sono oggetto le donne russe che si oppongono alla guerra.
Una crepa nel consenso necessario a sostenere l’invasione dell’Ucraina che dovrebbe estendersi e trasformarsi, qui, in una lotta generale contro il nostro governo che con l’invio di armi e la propaganda fomenta lo scontro in atto.
Parlano due attiviste perseguitate
Il terrore repressivo si abbatte ora in Russia indistintamente sugli intellettuali, sui militanti di sinistra, e sulle femministe.
Ma è un fatto che le nuove leggi colpiscono in primo luogo le donne.
La prima persona ad essere stata dichiarata «agente straniero» è un’insegnante di San Pietroburgo di nome Daria Apakhonchich.
Tra le prime vittime della legge «anti-fake» che proibisce la diffusione di notizie non conformi alla versione ufficiale c’è Vera Kotova, attivista contro la guerra di Krasnoyarsk, condannata per «vilipendio dell’esercito russo» per aver scritto «No alla guerra» sulla neve.
Molti giornalisti famosi, artisti, professori universitari stanno lasciando il paese.
Ma, per le militanti femministe ordinarie, questa non è un’opzione praticabile.
Loro rimangono in Russia, esposte alla violenza di chi abusa di loro, fisicamente minacciate dalla polizia da un lato e dai militanti di estrema destra dall’altro.
L’ottanta per cento degli arrestati nelle manifestazioni dell’8 marzo sono donne, ha riportato Maria Kuvshinova, redattrice della rivista femminista Kimkibabaduk.
Maria Kuvshinova è stata a sua volta vittima di bullismo per le sue posizioni critiche del maschilismo dell’industria del cinema.
L’Ong Ovd-info conferma il suo calcolo: 25 delle 29 persone portate alla stazione di polizia di Brateevo l’8 marzo scorso sono donne.
La resistenza più organizzata contro la guerra in Russia è quella proposta dalla Far (Resistenza Femminista Contro la Guerra) un gruppo che riunisce decine di attiviste operative in 30 città russe.
In un manifesto pubblicato il primo giorno del conflitto, la Far invita a protestare, a distribuire informazioni e chiama le donne del mondo intero a unirsi a loro.
La Far è diversa da altre organizzazioni pacifiste come il Comitato contro la guerra, che riunisce maschi liberal bianchi con base a Londra, a Riga o a Parigi.
Assai meno facoltose, con poca risonanza nei media occidentali, le militanti femministe restano per lo più anonime per evitare ritorsioni e, se alcune hanno lasciato la Russia, la gran parte rimane, affrontando la repressione.
Nella giornata internazionale della donna, quando le donne in Russia come altrove ricevono fiori, la Far ha organizzato un’azione che è consistita nel deporre dei fiori e dei simboli ucraini davanti a luoghi simbolici della memoria della Grande guerra patriottica, trasformandoli in memoriali delle vittime dell’invasione.
I luoghi sono stati scelti accuratamente: tra gli altri il mosaico stalinista della stazione moscovita Kyivskaya, la Stella delle vittime dell’invasione di Archangelsk.
L’azione sembra modesta ma, con le nuove norme contro il vilipendio delle forze armate, per un fiore si rischia la prigione.
Molte militanti erano state arrestate preventivamente.
Una di loro racconta al manifesto: «Non ho la forza di descrivere nei dettagli come ho vissuto i cinque giorni di detenzione.
Le forze speciali sono venute a prendermi, hanno buttato giù la porta, hanno confiscato tutto il mio materiale informatico, mi hanno portata via in manette.
Ho dormito una notte in un camion.
Poi in questura, fino a che i miei amici non sono riusciti a tirarmi fuori».
Nonostante questo, l’8 marzo sono state organizzate azioni in tutto il paese.
E i commissariati si sono riempiti di donne arrestate.
La militante Anastasia Kaluzhskaya è riuscita a registrare il suo violento interrogatorio.
Anastasia è stata picchiata e umiliata, le è stato detto di essere una prostituta e una traditrice.
Altre due ragazze hanno testimoniato al Mediazona journal di aver ricevuto lo stesso trattamento.
La repressione non avviene solo per tramite legale.
Già negli anni 1980, il Kgb si serviva di piccoli criminali per brutalizzare i dissidenti.
La Russia di Putin ha inventato una versione aggiornata di questa pratica. «Un bel giorno ho trovato insulti, minacce accompagnati dal mio indirizzo di casa sul canale di estrema destra Bloodseeker» ci ha raccontato Ksenia Bezdenezhnykh, femminista di Aternativa Socialista, «poco dopo, ero dappertutto su internet». Ksenia è una delle prime vittime della terrificante pratica della Z dipinta sulla porta di casa (vedi Il manifesto 08/03/22).
«I nostri indirizzi sono noti agli uffici del Centro E (il dipartimento per il contro-terrorismo del ministero degli Interni, ndr)» dice Ksenia, e da lì vengono trasmessi agli attivisti di estrema destra che li fanno circolare nei loro ambienti politici e criminali.
Da mesi, lei e i suoi compagni di Alternativa socialista vivono con la terribile pressione di essere sotto permanente minaccia.