CobasLogistica

[CONTRIBUTO] “E il corteo dell’Usb, l’avete fatto sparire?”. Una pacata risposta a questa domanda

Riceviamo e pubblichiamo questo contributo dai compagni della redazione Il Pungolo Rosso questo contributo, già disponibile sul loro sito (vedi qui):

Alcuni compagni che stimiamo e abbiamo più volte ospitato su questo blog, hanno protestato in modo acceso con noi perché non abbiamo dato notizia della parte di corteo del 3 dicembre organizzata dall’USB. Uno di loro ci ha scritto queste parole: “e le altre migliaia di manifestanti? Sono spariti, non se ne parla nemmeno? Dal vostro resoconto sembra ci fossero solo SI Cobas e SGB. Non è molto serio. Ieri c’era tanta gente ed era positivo. All’inizio eravamo tutti sulla stessa piazza della Repubblica. Dopo due cortei separati per una grande manifestazione contro la guerra, non ha fatto bene al movimento che ognuno dei sindacati presenti ‘vuole avere ragione’. Se si parla della manifestazione, si deve parlare di tutto il movimento, anche con i suoi limiti (un De Magistris). Io la penso così da comunista, non un sindacato o un altro”.

Calma!

Anzitutto: sullo sciopero del giorno 2, la nostra redazione ha dato conto, il giorno stesso dello sciopero, sia dei comunicati del SI Cobas che di quello dell’USB perché – al di là dell’impegno profuso o dei settori – si tratta comunque di lavoratori salariati/lavoratrici salariate che in tempi di fiacca hanno osato scioperare contro la guerra, il governo Meloni, il carovita. Una piccola minoranza rispetto all’intero corpo della classe operaia, del proletariato, del lavoro salariato – ma questo è. E se abbia scioperato per l’affiliazione al SI Cobas o all’USB o alla CUB o all’SGB è davvero secondario, benché non si possono considerare secondarie, o addirittura irrilevanti come in certe noiose lamentele, le linee di indirizzo politico di questi organismi sindacali.

Quanto alla manifestazione del giorno 3, noi avevamo scelto di essere nel corteo aperto dal SI Cobas perché riteniamo le posizioni espresse dalla direzione nazionale e dalle iniziative di questo sindacato le più coerenti con la lotta contro la guerra, il governo Meloni e il carovita dal punto di vista dell’internazionalismo e dell’anticapitalismo. Non essendo dotati di ubiquità, e non essendo abituati a fare gli spettatori nei cortei, non potevamo avere adeguate informazioni sul corteo aperto dall’USB. Nel frattempo abbiamo raccolto le informazioni necessarie e ora siamo pronti a dire qualcosa in merito.

Tanto per cominciare, non abbiamo alcun problema a riprendere il comunicato ufficiale dell’USB. Eccolo:

«Una bella e grande manifestazione ha riportato in piazza il mondo del lavoro. Questo è il segno più evidente della giornata di ieri a Roma, dove nonostante il maltempo hanno sfilato i braccianti di Torretta Antonacci accanto agli operai dell’ILVA, i vigili del fuoco vicino ai tirocinanti calabresi, i lavoratori della manutenzione stradale di Napoli con gli operai della logistica di tutta Italia, le maestre di Roma con gli operatori sociali, i lavoratori dell’igiene ambientale insieme ai portuali di Livorno, Genova e Civitavecchia, agli autisti del trasporto locale, ai ferrovieri, ai lavoratori del trasporto aereo.

Difficile ricostruire la lista delle tante rappresentanze e delegazioni delle aziende e delle fabbriche che sono arrivate a Roma, i settori del pubblico impiego e i gruppi del mondo del lavoro precarizzato e sottopagato portati in piazza dalla Federazione del Sociale. Una manifestazione arricchita da un grandissimo spezzone di studenti e da un largo schieramento di collettivi, comitati e organizzazioni politiche e sociali, tra i quali spiccavano i comitati contro il rigassificatore di Piombino.

Lo slogan d’apertura riprodotto su molti striscioni, “Abbassate le armi, alzate i salari”, sintetizza il senso della mobilitazione ma non basta a descrivere la varietà delle rivendicazioni che hanno animato il corteo né la complessità della piattaforma portata in piazza. Una piattaforma che è sindacale ma è anche sociale, è territoriale, cioè legata ai luoghi e quindi ambientale ma anche meticcia, cioè attenta alla specificità dei lavoratori migranti, è di genere perché guarda alla condizione sociale delle donne ed è fortemente contro la guerra e la pretesa di voler continuare a trascinare il nostro Paese dentro l’avventura bellica in Ucraina.

La particolarità e, per certi versi, la vera ritrovata novità di questo 3 dicembre è che questa piattaforma parte dai luoghi di lavoro. A strillarla in piazza c’erano ieri migliaia di lavoratrici e lavoratori. Non i lavoratori di un settore, ma semplicemente, nella loro infinita complessità, i lavoratori.

Nella difficoltà di un’epoca che costringe le persone a fare i conti con salari miseri e con una crescente ricattabilità sui luoghi di lavoro, chi lavora è capace di riconoscersi in una visione del mondo, in un campo di rivendicazioni che marca la differenza. La manifestazione di ieri diceva in fondo proprio questo: qui ci siamo noi, questo è il punto di vista di chi manda avanti il Paese. Se volete stare da questa parte del campo sapete per cosa vi dovete battere.

E in questa parte del campo ci sono certamente gli studenti: con la loro forte presenza hanno rinnovato la spinta ad una alleanza “studenti-operai” che già non è più solo uno slogan ma comincia a diventare un terreno concreto di azione comune.

Allargare questo campo, abbracciare i tanti che ancora non siamo riusciti a raggiungere, collegare e unire chi decide di schierarsi, è quello che dobbiamo continuare a fare. Senza farsi distrarre dalle piccole furbizie di chi insegue velleità egemoniche o agire competizioni senza senso.

Far vivere tutti i giorni la piattaforma del 3 dicembre, portarla lì dove non è ancora arrivata, mettere in campo un movimento di massa che sappia tradurre quelle indicazioni in un piano di lotta quotidiano, tenere assieme il particolare e il generale: questo è quello che dobbiamo fare. Ora con rinnovato entusiasmo.»

Questo resoconto è, per fortuna, meno trionfalistico sui numeri di precedenti circostanze (e di ciò che leggiamo su wikipedia, dove all’USB risultano affiliati, al 2021, 1 milione di lavoratori…). Anche nella parte del corteo aperta dall’USB c’erano effettivamente alcune migliaia di partecipanti, ed è vero che la composizione era molto variegata quanto a settori di lavoro (quasi sempre piccoli contingenti), con tre caratteristiche distintive rispetto al corteo aperto dal SI Cobas: la presenza di braccianti immigrati con la forte rivendicazione del permesso di soggiorno, un settore consistente di pubblico impiego, e un davvero folto spezzone di giovani studenti.

Là dove invece il comunicato dell’USB suona quanto meno curioso è quando attacca le “piccole furbizie di chi insegue velleità egemoniche o (…) competizioni senza senso”, perché a quello che ci risulta da fonti per noi molto attendibili, l’USB, dopo avere annullato la sua manifestazione inizialmente prevista per il giorno 2 dicembre, pretendeva di aprire il corteo del giorno 3 indetto dal SI Cobas, a cui aveva aderito, e intendeva imporre nel comizio finale una netta prevalenza di interventi di organismi o organizzazioni collaterali. A proposito di “velleità egemoniche”…

Le differenze tra i due settori del corteo del 3 dicembre erano, oltre che di composizione sociale, di ordine sia politico che sindacale.

La presenza politica più significativa del corteo aperto dall’USB era quella di Potere al popolo, anima dell’Unione popolare di De Magistris, legata ad una prospettiva istituzionale ed elettorale che ha poco o niente a che vedere con l’anti-capitalismo e l’internazionalismo (avete presente Melenchon che l’ha sponsorizzata? Bene, alle manifestazioni di Melenchon è ammessa solo la bandiera francese). La presenza politica più significativa del corteo aperto dal SI Cobas era quella dello “spezzone di classe, anticapitalista e internazionalista”, composto da compagni e compagne delle organizzazioni e dei collettivi che hanno promosso il convegno contro la guerra del 16 ottobre (Fdgc, FC, TIR, Iskra, Csa Vittoria, OSA, e nell’occasione il Comitato 23 settembre) – sulle cui posizioni potete trovare sufficiente documentazione su questo blog.

Quanto all’aspetto sindacale, ciò che contraddistingue il SI Cobas è l’essere stato protagonista di un ciclo di lotte dure nella logistica – nell’isolamento dal resto del proletariato italiano – affermandosi come il primo sindacato di base a radice operaia dai tempi dello Slai Cobas dell’Alfa Nord e dell’Alfa Sud. Diciamo pure, senza tema di essere smentiti: il sindacato più combattivo di tutto il sindacalismo di base dell’ultimo decennio. Una caratteristica, questa, a cui molto ha contribuito la forte presenza di proletari immigrati che hanno avuto il merito storico di mostrare che la componente immigrata del proletariato non è una massa di “disperati” da soccorrere, ma costituisce un settore essenziale della classe che, a tutt’oggi, occupa una posizione di avanguardia e ha indicato concretamente al resto dei proletari la strada dell’organizzazione e della lotta. Né può essere dimenticato, come di solito si fa, l’apporto determinante dato alla nascita, allo sviluppo e all’indirizzo classista del SI Cobas da un piccolo nucleo di compagni formati all’internazionalismo comunista. Lungi da noi (e dai suoi stessi più consapevoli dirigenti) immaginarci un sindacato privo dei difetti tipici di tutti gli organismi sindacali, inclusi i più combattivi, e di tutti gli organismi sindacali che hanno avuto “successo”. Ma assumendo come spartiacque il grado di combattività nei confronti dei padroni e, spesso, anche dei governi, in un periodo di pressoché completa pace sociale, non è difficile capire perché il SI Cobas abbia acquistato seguito e rispetto anche fuori dai confini nazionali – un rispetto che, nel caso dello stato e dei padroni, ha equivalso ad una catena di azioni repressive tutt’altro che esaurite.

L’USB ha una radice sociale iniziale differente, essenzialmente nel pubblico impiego, anche se negli anni ha allargato la sua presenza in piccoli settori del bracciantato immigrato, della logistica, della giungla del lavoro precario e sottopagato del comparto “sociale” e del cosiddetto “multiservizi”, e in un modesto numero di fabbriche metalmeccaniche, nelle quali è riuscita a capitalizzare il malessere di gruppi di lavoratori nei confronti della FIOM, quasi sempre al seguito di alcuni funzionari del sindacato emarginati, e non sull’onda di lotte operaie. Comprensibile, perciò, l’orgoglio dei suoi dirigenti nel vantare una presenza (mai egemonica, però) in diversi settori della composizione di classe. Ciò che, però, caratterizza l’USB politicamente, a partire dalla sottoscrizione della legge sulla rappresentanza del 2014, sono la ricerca a tutti i costi di uno strapuntino nelle “trattative” dei tre sindacati istituzionali ed i suoi legami con settori del M5S, un partito del campo borghese (giusto?) – una vecchia prassi che si era in precedenza svolta con i verdi, Rifondazione, etc.

Ricordiamo questo perché ci ronzano nelle orecchie, a scadenze fisse, prediche sull’unità del sindacalismo di base da raggiungere a tutti i costi. Anche noi siamo per il fronte unico di classe e, di conseguenza, per ricercare le possibili forme di unità del sindacalismo di base – che rimane tuttavia una assai piccola frazione della classe – ma date queste premesse, non era, non è così agevole da raggiungere. Sarebbe semplicistico dire: comprendiamo le differenze tra queste due prospettive sindacali, tuttavia una cosa sono i “vertici”, un’altra le “basi”. Ogni organismo sindacale, infatti, recluta per una certa quota “a caso”, ma per la quota preponderante dei suoi iscritti “a ragion veduta”. Nello specifico, ci sono stati anche casi di conflitti aperti in date aziende o in date realtà tra SI Cobas e USB, in primo luogo nella logistica, e non di rado qualche dirigente dell’USB ha messo in atto modalità di “reclutamento” che sono andate ben oltre una pur fisiologica “concorrenzialità” tra sigle sindacali con orientamenti e metodi d’azione differenti. Una contraddizione “in seno alla classe”, se possibile, da superare. Ma che, per quanto ci riguarda, non può essere sciolta con astratti ed ecumenici appelli all’unità, che risultano tanto più vuoti se provengono da compagni pronti a spaccare il capello in quattro se si tratta di questioni ideologiche, storiche o, secondo loro, “squisitamente” politiche, come se in campo sindacale non avessero alcun peso gli orientamenti ideologico-politici di fondo.

È vero il contrario.

Se ancora nell’Ottocento poteva darsi, forse, una certa neutralità del conflitto sindacale rispetto ai conflitti politici, è comunque da più di un secolo che l’intervento degli stati e dei governi nei conflitti sindacali è diventato sempre più sistematico, preventivo e capillare in chiave repressiva e corporativa. E questo processo, senza cancellare la specificità dei conflitti di classe immediati e parziali rispetto a quelli generali e di prospettiva, lega strettamente livello politico e livello sindacale dello scontro di classe. È perciò incredibilmente strano che certi compagni che si scandalizzano per le divisioni nel sindacalismo di base facciano finta di non vedere che, davanti alla guerra in Ucraina, tanto per fare un solo esempio, si sono manifestate almeno tre posizioni: pro-Ucraina (cioè di appoggio al “nostro” governo e alla NATO – Confederazione Cobas), “pacifista”/semi-campista con evidenti simpatie per la Russia o per un “diverso” ruolo dell’Italia e dell’Europa imperialiste (USB), disfattista su entrambi i fronti (SI Cobas). Provate voi a ‘combinarle’. E sarebbe forse giusto, per l’autonomia della classe, tentare di combinarle?

Ci vuole tutta la finta ingenuità dei predicatori a vuoto di unità/unità/unità per non accorgersi che dietro USB c’è una solida prospettiva politica “sovranista”, social-nazionalista, che subordina l’avvenire, e quindi anche il presente, della classe proletaria all’avvenire del paese-Italia. Ieri questa prospettiva si esprimeva in Eurostop con l’obiettivo dichiarato dell’Italexit, mai rinnegato nonostante l’esperienza amarissima che il proletariato britannico sta facendo della valenza totalmente anti-proletaria della Brexit; oggi, si esprime nella proposta “rompere la gabbia euro-atlantica” con l’inequivocabile indicazione di stampo nazionalistico: il nemico principale è esterno all’Italia (sono la UE e la NATO, che tra l’altro esterni all’Italia non sono affatto – in realtà si vuol dire Germania e Stati Uniti). Parliamo evidentemente della Rete dei comunisti che, segreto di Pulcinella, è alla guida dell’USB – cosa del tutto normale perché, specie in tempi come questi di crisi storica del modo di produzione capitalistico, è la prospettiva politica a dominare sull’agire sindacale, non viceversa. Cosa evidentissima anzitutto per Cgil-Cisl-Uil, e poi per l’insieme del sindacalismo di base. Finti ingenui o veri sprovveduti coloro i quali non lo vedono. Essere per il fronte unico di classe, così come noi lo concepiamo, impone di avere un’attitudine non settaria verso i diversi segmenti del sindacalismo di base e soprattutto verso i lavoratori che vi aderiscono, ma richiede al tempo stesso di entrare nel merito dell’operato concreto di ciascuno di essi dal nostro punto di vista: quello dell’internazionalismo rivoluzionario, del marxismo.

E dunque: anche se abbiamo fatto la nostra scelta il 3 dicembre stando nella prima parte del corteo, quella del SI Cobas, abbiamo ben presente che nel settore di corteo aperto dall’USB c’erano operai, proletari, salariati, giovani studenti da conquistare alla causa della lotta di classe rivoluzionaria al capitalismo, che consideriamo nostri interlocutori naturali – e a cui ci siamo già rivolti con un invito a riflettere, quando un paio di anni fa Soumahoro abbandonò l’USB, e non vogliamo ripeterci. Ma a chi contesta, a torto, il nostro essere di parte, opponiamo che il nostro sguardo è rivolto molto, molto al di là dell’area degli organizzati nel “sindacalismo di base”, alla massa degli operai, dei proletari, dei salariati. Ciò nella convinzione che l’avanzare di questa crisi di sistema e la caratterizzazione di Cgil, Cisl e Uil come sindacati sempre più statizzati e subalterni al padronato, apre potenziali autostrade a quelle organizzazioni del sindacalismo di base che saranno in grado di solcarle, e – più in generale – alla prospettiva rivoluzionaria. Ma altrettanto convinti che la nascita di un sindacato di classe con dimensioni davvero di massa sarà un percorso complesso e impraticabile per chiunque si illuda che possa darsi come semplice sviluppo “a raggiera” di una qualsiasi delle organizzazioni sindacali attualmente esistenti – inclusa la più combattiva tra di esse. Per una nascita del genere sarà indispensabile una nuova enorme ondata, o un seguito di enormi ondate, di lotte, con l’auto-attivazione di milioni di proletari/e, che sconvolgerà l’attuale panorama sindacale e politico. Ed a questo seguito di grandi eventi traumatici politici e sindacali ci prepariamo nei limitati scontri del presente.