Riceviamo e pubblichiamo dai compagni della redazione Il Pungolo Rosso questo contributo, già disponibile sul loro sito (vedi qui):
Questo articolo comparso su Senza Tregua, giornale del Fronte della gioventù comunista, denuncia in maniera chiara e puntuale un aspetto particolare dell’azione anti-operaia del governo Meloni che è di grande importanza per l’intensificazione dello sfruttamento dei lavoratori salariati di tutti i settori di attività, soprattutto dei più giovani.
Redazione Il Pungolo Rosso
Meno vincoli sui contratti a termine:
l’attacco del governo Meloni si intensifica
– di Angelo Panniello
Dopo aver smantellato il Reddito di Cittadinanza e aver promosso una Legge di Bilancio lacrime e sangue per i proletari, il Governo Meloni si prepara, attraverso la modifica del Decreto Dignità, a liberalizzare ulteriormente i contratti a tempo determinato. Infatti, dopo la “Santa Crociata” a reti unificate in “favore” del lavoro e dell’occupazione, l’obiettivo dell’esecutivo sarebbe di allargare le maglie dei contratti a tempo determinato, eliminando del tutto le causali e allungando così la durata massima della precarietà e della flessibilità di questi contratti. Non c’è che dire: il problema urgente per il governo è dare lavoro a quegli scansafatiche che non vogliono fare nulla. Poi se questo lavoro è sempre più precario, sottopagato e si presta maggiormente a forme di ricatto, poco male!
In particolare, l’indirizzo espresso nelle dichiarazioni rilasciate fino ad ora, si concentra nel rimuovere tutta una serie di vincoli (sebbene già molto morbidi e facilmente aggirabili per i padroni) che il Decreto Dignità prevedeva, e che rendevano più difficile per le aziende prorogare la durata di un contratto a tempo determinato oltre i 12 mesi. Fino ad oggi, stando alla regolamentazione prevista dal Decreto Dignità, era possibile assumere lavoratori con contratto a tempo determinato per un massimo 12 mesi senza fornire alcuna causale, cioè senza il vincolo di dover indicare il motivo del lavoro temporaneo. Dopo i primi 12 mesi, per poter prorogare lo stesso contratto di altri 12 mesi, era invece necessario indicare tutta una serie di causali, come ad esempio esigenze temporanee e oggettive estranee all’attività ordinaria, sostituzione di lavoratori, incrementi temporanei e significativi dell’attività; tutte motivazioni comunque facilmente giustificabili e aggirabili da parte del datore di lavoro. Esauriti i 24 mesi non era più possibile procedere con la proroga del contratto a tempo determinato, quindi giunti al termine di questo lasso temporale si poneva la necessità di assumere la persona in modo stabile o, nella maggior parte dei casi ad onor del vero, di procedere con un licenziamento per rimpiazzarla con altri lavoratori.
Lungi dall’illusione che il Decreto Dignità abbia mai potuto rappresentare una qualche forma di avanzamento per le condizioni di vita dei lavoratori, è evidente come la nuova manovra sferri un altro duro colpo ai diritti dei proletari, in un contesto già di forte precarietà e sfruttamento nei luoghi di lavoro. Infatti, con la rimozione dei vincoli precedentemente previsti, come anticipato nel nuovo disegno di legge, il Governo lascia completa libertà ai padroni di prorogare un contratto di lavoro a tempo determinato a 24 mesi che, in alcuni casi, potrà essere prolungato ulteriormente, anche fino a 3 anni. Ovviamente tutto questo sarà reso possibile senza la necessità di dover fornire alcuna garanzia di assunzione a tempo indeterminato allo scadere di questi. Appare evidente, dunque, come questa nuova manovra avrà l’effetto di facilitare ulteriormente e aprire a maggiori possibilità per i padroni, piccoli e grandi, di affinare e portare al massimo il riciclo costante di forza-lavoro precaria, come già avviene ad esempio nel settore della logistica.
Ma cosa significa, per un proletario, avere un contratto a tempo determinato per due o anche tre anni?
Aumentare la durata massima di proroga di un contratto a tempo determinato permetterà ai padroni di aumentare tantissimo il tempo in cui quel lavoratore potrà essere sottoposto a ricatto, con la continua pressione del licenziamento, rendendolo di fatto più esposto nel subire le ingiustizie e le richieste di straordinari. Inoltre, senza un contratto a tempo indeterminato, è estremamente difficile, se non impossibile per i proletari, a maggior ragione se stranieri, ottenere un contratto di affitto di un appartamento. Infine, l’incertezza in merito al proprio destino lavorativo andrà ulteriormente a minare la possibilità per i lavoratori di organizzarsi sul piano sindacale, i quali, sotto ricatto costante, saranno ancora più ostacolati nel portare avanti lotte e vertenze all’interno dei luoghi di lavoro per richiedere condizioni migliorative. Occorre allo stesso modo tenere presente che, posta su un piano sociale più ampio, la precarietà lavorativa agisce a cascata sulle condizioni di vita generali delle persone, precarizzando conseguentemente tutte le altre sfere della quotidianità e causando, ad esempio, un aumento significativo dei casi di disagio psicologico.
Questo Governo, dopo aver basato gran parte della sua retorica e propaganda sull’attacco al Reddito di Cittadinanza per contrastare i cosiddetti “furbetti”, dopo aver inserito nella manovra la reintroduzione dei voucher e gli sgravi fiscali nei confronti dei grandi capitalisti, oggi con la liberalizzazione dei contratti a tempo determinato, elargisce l’ennesimo regalo ai padroni. Appare evidente come questa manovra messa in atto dal nuovo esecutivo risponda a diverse esigenze: da un lato va incontro alla necessità di assorbire, ancora di più, sul piano istituzionale i consensi di quella parte della piccola borghesia che nei due anni di pandemia ha mantenuto un alto livello di mobilitazione, dall’altra continuare a favorire i grandi monopoli, che attraverso il lavoro somministrato e precario macinano miliardi e miliardi di profitti. Altro che un governo a favore di chi lavora: questo è apertamente il governo dei padroni!
I lavoratori in questo Paese, già fiaccati dai costi sociali della guerra in Ucraina, dal carovita dilagante e dalla disoccupazione, dovranno affrontare le conseguenze dei provvedimenti anti-operai e anti-popolari che il governo Meloni si prepara a varare. Serve ora mettere in campo un’opposizione sociale di classe che sia in grado di opporsi ai piani del Governo. E’ necessario costruire l’opposizione senza mai dimenticare il ruolo centrale che partiti come il PD e i suoi satelliti di centro-sinistra, attraverso riforme come il Jobs Act, hanno avuto nel preparare il terreno ad un attacco serrato ai diritti dei lavoratori, avvalendosi in tutti questi anni della silente complicità dei sindacati confederali. Occorre allo stesso modo tenere sempre a mente le responsabilità di altre forze politiche, come i 5 Stelle, che oggi cercano di riproporsi in una rinnovata veste a difesa degli interessi popolari, ma che per anni -governando ora con la Lega, ora col PD- hanno dimostrato di portare avanti gli stessi indirizzi economico-strategici fondamentali a favore dei monopoli italiani e del grande capitale.
Al netto di ogni falso richiamo all’unità, che oggi viene proposto come unica alternativa in grado di arginare le politiche reazionarie del nuovo Governo, gridando allo spauracchio fascista, serve mantenere lucidità e avere chiaro che a dettare la strada per il cambiamento non saranno di certo quegli stessi partiti che per anni hanno governato questo paese tutelando gli interessi dei padroni e scaricando sulle spalle degli strati popolari i costi della crisi.
La classe operaia ha una sola via d’uscita dalla macelleria sociale: organizzarsi nella lotta per il rovesciamento di questo sistema, in grado di portare solo guerra, miseria e distruzione.