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[CONTRIBUTO] Il complesso militare-industriale italiano. Il nemico è in casa nostra. Basta fregnacce nazionaliste sulla “Italia colonia”

Riceviamo e pubblichiamo questo contributo dai compagni della redazione Il Pungolo Rosso, già disponibile sul loro sito (vedi qui):

Il 2 giugno è stata l’occasione per rilanciare, tutti uniti da Mattarella a La Russa passando per Meloni e Crosetto, la retorica del militarismo imperialista italiano che da sempre s’ammanta di “nobili motivi ideali” per perseguire, su montagne di cadaveri, i sordidi interessi dell’accumulazione di profitti.

In questo caso la beneficiaria dell’umanitarismo bellicista di Roma sarebbe la popolazione dell’Ucraina, spinta, anzi: comandata, a suicidarsi “per noi”, per l’Italia, per l’UE, per la NATO, in nome della sua “auto-decisione” – come lo furono in passato le popolazioni dell’Abissinia, della Libia, della Somalia, dell’Albania, della Jugoslavia, e così via, che “ci” eravamo assunti il compito di “liberare”. La retorica dello stato democratico “nato dalla Resistenza” ricalca, talvolta alla lettera, sempre nella sostanza, quella di Benito Mussolini: “L’Italia non aggredisce le popolazioni etiopiche, ma le libera, emancipa gli schiavi, ridistribuisce il grano razziato dalle orde del Negus, apre strade, istituisce ambulatori, protegge i bambini abbandonati, dà pane agli indigeni indigenti.” Anche il fascismo, del resto, impugnò il principio della “autodecisione dei popoli liberati” con riferimento alle genti musulmane della Somalia, ai copti del Tigri, ad alcune etnìe etiopiche, etc. Tutti i poteri imperialisti hanno qualche missione “liberatrice” da compiere.

Ma il 2 giugno, seppure su scala minore, è stata anche l’occasione per rilanciare le quanto mai logore banalità sull’Italia che, sacra Costituzione alla mano, “ripudia la guerra”, ovvero sull’Italia che fa la guerra solo perché colonia degli Stati Uniti, altrimenti regalerebbe all’universo mondo vasetti di Nutella e maglioni multicolori di Armani.

Alla ditta Mattarella&La Russa nulla abbiamo da ricordare – si tratta solo di prenderli a bersaglio permanente – in quanto nemici giurati – della battaglia di classe, internazionalista contro la guerra in Ucraina e contro la tendenza sempre più forte ad una nuova guerra mondiale.

A quanti ancora prestano ascolto alle fregnacce dei nazionalisti “di sinistra” sull’Italia-colonia, ci permettiamo invece di ricordare, attraverso un po’ di documentazione e di rimandi qui sotto elencati, che il capitalismo italiano è il settimo esportatore di armi del mondo; vanta con la Leonardo s.p.a. il primo conglomerato bellico dell’intera UE e con la Beretta la dinastia di industriali produttori di armi più longeva del mondo (500 anni); ha aggiunto – con il governo Meloni – altre quattro missioni militari all’estero alle decine già operanti [https://www.analisidifesa.it/2023/05/il-governo-rinnova-le-missioni-allestero-e-ne-autorizza-altre-quattro-in-africa-e-ucraina/ ]; è al comando della missione KFOR in Kosovo con il gen. Ristuccia (852 militari, 137 mezzi terrestri e 1 mezzo aereo) incaricata di tenere sotto controllo la popolazione serba e, in queste ultime settimane, di supportare le provocazioni kosovare contro di essa per attizzare un altro focolaio di guerra; investe ogni giorno 106 milioni di euro per la produzione di morte a scala internazionale, e ha programmato di investirne ancora di più, etc. etc. Svolge questa sua impareggiabile attività, ovviamente, nell’ambito di un complesso di plurime alleanze (NATO, UE, OSCE, etc.), di cui nessun paese imperialista, gli Usa inclusi, può fare a meno. Perché tutti i singoli paesi imperialisti – gli Usa inclusi – sono impossibilitati, sempre più impossibilitati, a dominare da soli l’economia mondiale e la politica mondiale così come esse si conformano nel primo quarto del XXI secolo.

Piantiamola una buona volta con le fregnacce nazionaliste sull’Italia-colonia! 

Il nostro primo nemico è in “casa nostra”!

Fontehttps://it.insideover.com/difesa/dove-litalia-produce-i-suoi-armamenti.html ]

Il piano da 60 miliardi di euro in 15 anni che il governo Draghi sarebbe pronto a mettere in campo per accelerare i finanziamenti alla Difesa dopo lo scoppio della guerra russo-ucraina e per sviluppare tecnologie critiche, sistemi d’arma e programmi strategici può, nei prossimi anni, guidare strategicamente Roma a una spesa del 2% del Pil in armamenti come prescritto dalla Nato. E impattare su un sistema industriale che ha dalla Difesa un ritorno importante su tutto il territorio nazionale.



Secondo l’organizzazione di categoria delle industrie della Difesa, l’Aiad, esse ogni anno contribuirebbero con un fatturato complessivo di 15,5 miliardi di euro all’economia nazionale. Di poco inferiore, ma comunque elevata, la stima di Ambrosetti del 2018: 14 miliardi. E il totale complessivo, se si somma il settore a sé stante dell’aerospaziale, in cui imprese operanti sia nel campo militare che in quello civile si muovono dinamicamente, è sicuramente ancora più alto. 

Uno studio del Centro studi internazionali (Cesi) dedicato al comparto strategico dell’aerospazio per la difesa e la sicurezza (AD&S) ha sottolineato il peso di questo apparato particolare che genera un volume di 4,5 miliardi di euro di fatturato e con l’indotto e l’apporto indiretto supera i 12 miliardi. E come non parlare dell’effetto moltiplicatore che c’è sul campo delle tecnologie critiche, della ricerca, della creazione di brevetti?



Dunque, l’investimento militare impatta in termini di sistema-Paese.  Dove si dirigeranno, primariamente, questi investimenti? Mappare i cluster più importanti e le reti produttive chiave può permetterci di aver chiara la geografia dell’industria militare italiana.

Leonardo l’italiana

Il primo gruppo da tenere in considerazione è chiaramente Leonardo. La monocompany nato dall’accorpamento della galassia Finmeccanica è dopo la Brexit il più grande gruppo industriale della Difesa in Europa. Leonardo sviluppa e produce  elicotteri (negli stabilimenti ex Agusta Westland), aerei (negli impianti Alenia Aermacchi, Superjet International), elettronica per la Difesa e sicurezza (Selex ES), armamenti e sistemi di Difesa (negli impianti Oto Melara, Wass, MBDA). Inoltre, opera nell’ambito spaziale (attraverso la controllata Telespazio e la partecipata Thales Alenia Space).

Leonardo controlla poco meno di un terzo del fatturato dell’industria della Difesa italiana con il 31,58% della quota della quota di mercato e domina la classifica degli esportatori, contribuendo in maniera decisiva ai 4 miliardi di euro di export di armi capaci di fare dell’Italia il settimo Paese al mondo dopo Stati Uniti, Russia, Francia, Cina, Russia e Germania.

Leader nell’Aerospazio, Difesa e Sicurezza [dal sito ufficiale]

Leonardo sviluppa capacità operative multidominio nel settore dell’Aerospazio, Difesa e Sicurezza, indirizzandone l’evoluzione nel tempo.

Profilo aziendale

€14,7 mld

ricavi

€37,5 mld

portafoglio ordini

51.392

persone

105

siti nel mondo

€2,0 mld

investiti in R&S

55% delle fonti di finanziamento legato a parametri ESG



La divisione aerostrutture di Leonardo ha sede presso lo stabilimento di Venegono Superiore un tempo appartenente ad Alenia (ex Aermacchi), a cui si sommano gli stabilimenti di Pomigliano d’Arco e Torino Caselle. L’area di Varese è invece dominata dalla produzione di elicotteri: gli stabilimenti ex AgustaWestland di Sesto Calende, Vergiate, Lonate Pozzolo e Cascina Costa sono il pivot della produzione d’eccellenza di elicotteri in Italia. Mbda si divide tra Brescia e La Spezia, mentre Telespazio ha stabilimenti e centri di ricerca a Scanzano, vicino Palermo, sul Fucino, nell’Aquilano, a Gera Lario, nel Comasco e a Matera.

Dove opera Fincantieri

Fincantieri, in joint venture con Leonardo in Orizzonte Sistemi Navali, è seconda azienda per valore della produzione detenendo un quarto delle quote di fatturato e valore aggiunto. Essa rappresenta una delle più competitive, avendo conquistato spazi nei mercati principalmente grazie alle sue super-fregate apprezzate in tutto il mondo.



A Riva Trigoso, frazione del comune ligure di Sestri Levante, sono stati costruiti cacciatorpediniere, navi veloci, fregate. Castellammare di Stabia è invece sede della produzione della più moderna nave italiana, la TriesteMuggiano, vicino Venezia, è invece l’hub in cui sono state realizzate le Fremm (Fregate europee multimissione) di classe “Bergamini” per la Marina Militare e più innovativi sottomarini della flotta italiana.

Gli altri hub

C’è poi da prendere in considerazione tutto l’hub della produzione di mezzi di trasporto e altri sistemi d’arma. La terza impresa italiana per fatturato nella Difesa, e prima senza partecipazione statale, è Iveco Defence Vehicles (Idv) di proprietà del gruppo Exor. La sezione militare di Iveco, avente sede principale a Bolzano e impianti a Piacenza, Vittorio Veneto e in Brasile, partecipa e ha partecipato ai principali programmi per veicoli cingolati e mezzi corazzati della Difesa nazionale. Tra questi il celeberrimo Lince, mezzo che ha fatto epoca, acquistato anche da Regno Unito, Spagna, Brasile, Belgio, Ucraina e Russia, l’autoblindo Centauro usato anche da Spagna e Giordania, il veicolo da combattimento Freccia, il trasporto truppe Puma.



Sul fronte delle armi leggere, spicca senz’altro la Beretta di Gardone Val Trompia attiva dal 1526 (continuità che fa dei Beretta la più antica dinastia industriale al mondo in attività) e i cui prodotti sono usati da eserciti e polizie di tutto il mondo, Stati Uniti compresi. La Benelli con sede a Urbino ha invece fornito il corpo dei Marines, mentre anche la toscana Pardini (produttrice di armi da addestramento e di precisione) e la Fiocchi di  Lecco specializzata nelle munizioni non sono in secondo piano. Sul fronte delle bombe e dei proiettili, c’è spazio anche per la Sardegna con lo stabilimento della tedesca Rmw a Domusnovas.

Dunque, come visto, parliamo di un settore distribuito tra tutte le regioni e le province d’Italia in cui il sistema-Paese può veder valorizzate competenze e storie imprenditoriali di lungo corso. Dalle industrie tradizionali alla tecnologia di frontiera, dalle pistole alla cantieristica navale l’Italia ha una grande tradizione militare-industriale. E questo va tenuto in conto pensando a quanta quota di Pil e occupazione questi settori strategici permettano di preservare. Un ulteriore punto da non sottovalutare in una fase in cui anche la produzione e la crescita vogliono la loro parte nel percorso verso la difesa del sistema-Paese.

Una recente impresa del complesso militare-industriale italiano

Qui sotto un’istantanea di una memorabile impresa del duo D’Alema-Mattarella e del “nostro” (loro!) militarismo imperialista, compartecipe un “komunista” di nome Marco Rizzo, mentre i collitorti “verdi” facevano finta di dissentire, senza schiodarsi dalle poltrone che occupavano al governo e a livello locale, continuando a spacciare h 24 veleni anti-serbi e, soprattutto, anti-jugoslavi funzionali all’aggressione alla Jugoslavia, ed in particolare ai proletari della Jugoslavia – anche in questo caso sulla scia di Benito.

Altri materiali utili, o utilissimi

https://www.combat-coc.org/dallucraina-al-tempest-per-limperialismo-italiano-riarmo-e-prove-di-alleanza/

[CONTRIBUTO] Soldati italiani nell’Europa dell’Est. 1.500 militari pronti alla guerra con la Russia