Riceviamo e pubblichiamo questo contributo dai compagni della redazione Il Pungolo Rosso, già disponibile sul loro sito (vedi qui):
Pubblichiamo questa importante presa di posizione del collettivo femminista Qumi, che riunisce donne palestinesi e di diversi contesti e nazionalità di provenienza, scritta in occasione della giornata internazionale contro la violenza sulle donne.
Condividiamo in pieno la denuncia degli effetti dell’aggressione del governo sionista sulle donne palestinesi, e del “silenzio” assordante da parte di molti femminismi occidentali con cui viene di fatto avallata la pulizia etnica del popolo palestinese. La partecipazione attiva e militante delle donne palestinesi alla resistenza al colonialismo sionista di oggi, come al colonialismo britannico di cento anni fa, è una costante della loro vita che viene sistematicamente occultata. Le compagne palestinesi denunciano questo silenzio, che è sintomo di un appoggio della politica dello stato di Israele e di un atteggiamento neo-colonialista che ricalca gli stereotipi del peggior orientalismo sulle donne arabe sottomesse e bisognose di essere liberate da “noi”, magari a suon di bombe. Una resistenza che si accompagna alla lotta contro il patriarcalismo dilagante non solo nelle società arabe, ma anche nella nostra società.
L’obiettivo del collettivo Qumi di creare uno spazio femminista con un approccio anti-imperialista e anti-razzista è largamente condiviso dalla nostra Tendenza (sugli studi post-coloniali, sulla loro filosofia e sulla loro funzione c’è, invece, da discutere) e da altre realtà (come il Comitato 23 settembre) che, seppur minoritarie, si sono sempre dichiarate estranee all’impostazione ideologica e alla prassi proprie del femminismo maggioritario, in particolare di quello italiano – come si può constatare leggendo il nostro opuscolo “La posta in gioco”. Ci piace anche la conclusione di questa presa di posizione che collega la lotta delle donne palestinesi a quella “di tutte le donne invisibilizzate e oppresse” del mondo perché tornino “ad essere protagoniste attive della loro storia”, della loro liberazione, e della liberazione di tutti gli oppressi e gli sfruttati – aggiungiamo, sentendo di essere in sintonia con loro.
Pubblichiamo anche un appello alla mobilitazione e alla lotta del Collettivo Femminista Palestinese presente e attivo negli Stati Uniti da molti anni. Questo collettivo, partendo dall’affermazione che “la questione palestinese è una questione femminista”, si propone di denunciare le mille forme di sessismo e abusi sessuali cui sono sottoposte le donne palestinesi da parte dello stato occupante e i contenuti tossici con cui sono rappresentate le donne (e gli uomini) arabi in occidente, che accompagnano e tentano di “giustificare” le politiche neo-colonialiste dei governi occidentali. Se in primo piano emerge la denuncia del colonialismo di insediamento perpetrato dallo stato di Israele in Palestina, il collettivo sottolinea anche quanto sia presente, nel movimento femminista occidentale, l’adesione ad una ideologia neo-coloniale, che è spesso accompagnata dal razzismo e dall’islamofobia, e che è necessario combattere per garantire alle donne palestinesi, a quelle del sud del mondo e a tutte le oppresse e gli oppressi una reale liberazione. Un richiamo non solo culturale e ideologico, ma che si deve esprimere in azioni concrete di denuncia e di propaganda, basata sulla conoscenza effettiva della storia delle donne palestinesi e della loro attiva secolare resistenza, come è sottolineato dalla ampia bibliografia che il testo fornisce.
Redazione Il Pungolo Rosso
25 NOVEMBRE
GIORNATA INTERNAZIONALE
PER L’ELIMINAZIONE DELLA VIOLENZA SULLE DONNE
UNA PROSPETTIVA PALESTINESE
Come donne palestinesi, di diverse nazionalità e differenti contesti di lotta per la liberazione, il 25 novembre, Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, siamo in lutto per le più di 4000 donne palestinesi assassinate dall’esercito israeliano nella Striscia di Gaza, per tutte quelle madri che hanno perso delle figlie e dei figli tra i più di 6000 bambine e bambini uccis3 e per tutte quelle bambine e quelle donne che sono rimaste le uniche superstiti delle proprie famiglie. Siamo in lutto per il genocidio che sta subendo il popolo palestinese e siamo furiose per il silenzio e l’indifferenza assordanti di molti femminismi occidentali che, per l’ennesima volta, tacciono sulla pulizia etnica del popolo palestinese perpetrata da Israele da oltre 75 anni.
Le donne palestinesi sono, da sempre, coinvolte nella politica e nella militanza per la liberazione della propria terra dalla ferocia del colonialismo britannico prima ed israeliano poi.
Questo 25 novembre siamo focalizzate sulla violenza generata dal sistema coloniale sionista sul corpo di tutte le persone palestinesi e quindi anche delle donne che abitano e difendono con la propria vita la Palestina.
Oggi, come ieri e come domani, sentiamo l’esigenza di esprimerci circa l’assordante silenzio di molti movimenti femministi italiani nel condannare le azioni di Israele. In questo momento di lutto personale e collettivo sentiamo di dover avere la forza e la rabbia per poter ribadire che il femminismo occidentale e, in particolare, quello italiano, non ci rappresenta. Anzi riteniamo abbia contribuito negli anni a portare avanti una visione neocoloniale in cui le donne non occidentali e musulmane sembrano aver bisogno di essere liberate e protette da un femminismo moderno e secolarizzato, avallando una visione che vede le donne arabe come sottomesse e senza alcuna agency o capacità decisionale.
È questa la cornice politica, culturale e teorica che impedisce la costruzione di legami realmente intersezionali, dove la lotta contro il colonialismo di insediamento sionista e quella femminista possono trovare un comune terreno di rivendicazioni. La lotta non può che essere praticata contro il duplice assetto oppressivo e dunque sia contro il violento dominio coloniale, che ha come fine ultimo l’eliminazione della popolazione indigena palestinese, sia contro la violenza patriarcale e capitalista per la liberazione delle donne, compagne e sorelle che quotidianamente sono schiacciate su diversi fronti. Essere donne palestinesi, arabe, musulmane, figlie di diverse diaspore, ci inserisce in un posizionamento che non viene compreso e ascoltato in Occidente. Israele per molti rappresenta “l’unica democrazia del Medio Oriente” e la patria dei diritti della comunità queer e LGBTQIA+, in contrapposizione con una narrazione che schiaccia le donne palestinesi e arabe come vittime di un sistema barbaro. Ed è proprio a questa mistificata e inquinata rappresentazione di noi stesse, pregna del più terribile orientalismo, che decidiamo – a gran voce – di opporci, consapevoli della storia delle nostre lotte.
Quando parliamo del femminismo palestinese, non possiamo commettere l’errore di guardare solo alla nascita dei nuovi e più recenti movimenti femministi nati anche come risposta al femminismo bianco liberale che occupa la narrazione pubblica da sempre. La storia del movimento femminile di resistenza palestinese, infatti, affonda le sue radici agli inizi del Novecento, quando si cominciava a definire un processo che porterà le donne palestinesi a una graduale emancipazione sotto diversi aspetti.
Dalla Grande Rivolta degli anni Trenta – dove si assiste alla partecipazione alla lotta armata di uomini e donne che combattevano insieme – si arriverà poi alla tragedia della Nakba, che dal 1948 vedrà le donne impegnate in un processo sempre più forte e strutturale di emersione all’interno dello spazio politico e pubblico. L’obiettivo era chiaro: da una parte portare avanti, con ogni mezzo necessario, la resistenza contro l’oppressore sionista, dall’altra sradicare il sistema patriarcale dilagante nella società palestinese, come in tutte le società del mondo. È proprio in questa fase che si delineano le basi politiche che faranno da fondamenta ai comitati popolari femminili che nasceranno poco dopo.
Gli anni Settanta furono caratterizzati dalla nascita di comitati locali popolari che ricopriranno un ruolo fondamentale allo scoppio della I^ Intifada. Erano gli anni in cui si faceva avanti una nuova generazione di donne già politicamente impegnate, cresciuta nella realtà dell’occupazione e consapevole dei propri diritti negati. Si vennero a formare, così, comitati femminili che puntavano a rafforzare il ruolo della donna nella duplice lotta che portavano avanti e nel loro ruolo all’interno della società.
Fu fondamentale il lavoro di questi comitati, soprattutto a partire dagli anni Ottanta, perché saranno in grado di organizzare, insieme ad altre forze, la Resistenza dal basso. Sin dalla nascita dei movimenti femminili prima e femministi poi, la resistenza portata avanti dalle donne palestinesi si è da sempre caratterizzata per la sua inclusività, attraverso la quale si dava voce anche a quelle donne marginalizzate e lasciate fuori dagli spazi politici istituzionali in quanto provenienti dalle campagne o dai campi profughi. Un approccio, quello inclusivo, che vogliamo mantenere e ribadire affinché nessuna donna venga lasciata indietro, vittima della solitudine sistemica e istituzionale.
Quello palestinese non è mai stato un femminismo di superficie perché ha sempre indagato, analizzato e sollevato tematiche profondissime e complesse. È sempre andato ben oltre il proprio corpo, martoriato da più oppressori, per affermare il proprio diritto di esistere e di lottare. Ed è proprio a questa Resistenza che oggi guardiamo per darle spazio e restituirle dignità. È quella portata avanti dalle donne a Gaza, quella delle migliaia di donne detenute nelle carceri israeliane, quelle delle operatrici dell’informazione che vengono ammazzate perché documentano il genocidio in corso, donne che vengono silenziate e oscurate dalla narrazione eurocentrica asservita alla propaganda sionista. Vogliamo guardare e portare avanti la lotta di quelle donne la cui manodopera viene sfruttata nelle colonie illegali sioniste, quelle che non hanno accesso alle cure degne, mentre Israele viene elevato a esempio virtuoso per il suo sistema sanitario, considerato da sempre all’avanguardia.
Appoggiamo, senza compromesso alcuno, la Resistenza di quelle donne che non potranno mai essere libere, portando avanti percorsi politici endogeni, finché saranno oppresse dal colonialismo d’insediamento sionista. Il nostro non vuole essere solo un tentativo di dar voce alla resistenza delle donne palestinesi, da sempre oscurata, ma siamo spinte dalla volontà di affermare la nostra narrativa, restituendo a noi stesse la possibilità di scrivere le pagine della nostra Lotta, come protagoniste e non come vittime stereotipate e narrate da altri. Il nostro obiettivo è quello di creare uno spazio femminista, con un approccio postcoloniale, anti imperialista e antirazzista. Vogliamo essere un porto rassicurante e inclusivo per tutte quelle donne marginalizzate e messe in ombra dalla narrativa eurocentrica. Uno spazio di analisi politica, di discussione e di condivisione di pratiche in grado di riportare centralità all’intersezionalità delle lotte.
Un percorso in divenire che riesca a guardare alla resistenza delle donne palestinesi come esempio da cui partire per arrivare a dar voce alle lotta di tutte le donne invisibilizzate e oppresse che tornano così a essere protagoniste attive della loro storia.
Che il cambiamento in Italia e in Europa parta ora, dalle donne palestinesi e dall’eroica resistenza della Striscia di Gaza.
QUMI_قومي
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Battiamo il femminismo colonialista nella Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne
– Palestinian Feminist Collective (PFC)
Per celebrare la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, il Collettivo femminista palestinese (PFC) invita le nostre compagne di lotta femministe e tutte le persone di coscienza a battere una volta per tutte il femminismo colonialista.
Per femminismo colonialista ci riferiamo ai discorsi e alle politiche occidentali e coloniali che utilizzano il linguaggio della liberazione delle donne per giustificare invasioni, genocidi, occupazioni militari, estrazioni di risorse e sfruttamento del lavoro. Il femminismo colonialista descrive le donne palestinesi come vittime indifese che necessitano di essere salvate dalla propria cultura, società e religione, considerandole allo stesso tempo donne usa e getta, minacciose e meritevoli di morte. Queste tattiche si sommano per giustificare l’attuale occupazione sionista della nostra patria, l’espulsione del nostro popolo e la guerra senza fine intrapresa contro la vita dei palestinesi. Riaffermiamo che la Palestina è una questione femminista e affermiamo che il femminismo è incompatibile con il sionismo.
La violenza di genere e sessuale è essenziale per il colonialismo di insediamento e il suo obbiettivo di eliminare le popolazioni indigene, rubare le loro terre e reprimere la loro resistenza. In Palestina, il progetto coloniale-sionista è guidato da un’ansia demografica che considera i corpi, la sessualità e le capacità riproduttive delle donne palestinesi come minacce alla sicurezza. Le madri palestinesi sono classificate come “problematiche” e a loro vengono sistematicamente negate la giustizia e la sicurezza riproduttiva. In questo contesto, lo stato colonialista israeliano si presenta falsamente come un rifugio sicuro per le donne e le comunità Lgbtq. La loro propaganda ci descrive come violente e regressive anche se veniamo violate regolarmente, indiscriminatamente e senza riguardo alcuno per l’autonomia del nostro corpo.
Dal 7 ottobre, abbiamo assistito alla rinascita dei luoghi comuni del femminismo liberale, orientalista e colonialista da parte dei leader sionisti, dei media occidentali e delle femministe liberali che disumanizzano l’intera popolazione di Gaza. In questo contesto, gli uomini palestinesi sono stati descritti come aggressori lascivi e brutali, predatori sessuali e padri cinici che usano i loro figli come scudi umani. Il regime sionista ha strumentalizzato questi discorsi sessuali razzializzati per giustificare l’accelerazione del genocidio dei palestinesi a Gaza, e allo stesso tempo commette atti di violenza sessuale e di genere nella sua campagna di arresti di massa, umiliazioni sessuali e torture in tutta la Palestina. Né esaustive né nuove, le testimonianze e la documentazione che evidenziano tali violazioni e danni includono:
* la brutale uccisione di quasi 15.000 palestinesi a Gaza, più del 70% dei quali sono donne e bambini, che ha spinto il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ad affermare che Gaza è diventata “un cimitero” per i bambini. Piangiamo allo stesso modo le migliaia di uomini che sono stati uccisi semplicemente perché palestinesi. Sono i nostri compagni, i nostri fratelli, i nostri padri, i nostri cari.
* Le 50.000 donne incinte che dovrebbero partorire mentre si svolge il genocidio a Gaza, che definiscono le loro condizioni un “film dell’orrore”. Sono costrette a sottoporsi a tagli cesarei senza anestesia né antidolorifici e a partorire in condizioni non sterili. Donne e ragazze hanno fatto ricorso alla pillola anticoncezionale per interrompere il ciclo mestruale a causa della mancanza di assorbenti.
* L’arresto e la detenzione di più di 100 donne dal 7 ottobre come parte delle campagne di arresti in corso in Cisgiordania, Gerusalemme e nei territori occupati dal 1948. Alcune sono state rilasciate, mentre circa 84 donne prigioniere restano detenute. Ciò include il violento arresto e la detenzione della scrittrice palestinese Lama Khater di Hebron il 26 ottobre, che è stato minacciata di stupro mentre era detenuta dai soldati israeliani; Ahed Tamimi di Nabi Saleh del 6 novembre, accusata di “incitamento al terrorismo” sui social media, che si trova ancora in detenzione amministrativa; e la giornalista Somaya Jawabra di Nablus, madre di tre figli, incinta di sette mesi, rilasciata il 12 novembre e ora agli arresti domiciliari a tempo indeterminato e con il divieto di utilizzare Internet.
* L’arresto e la detenzione di oltre 200 bambini nelle ultime sei settimane. Ogni anno vengono arrestati sistematicamente tra i 500 e i 1.000 bambini palestinesi. Secondo un rapporto di Save the Children-Palestine, i bambini palestinesi prigionieri subiscono violenze fisiche, mentali e sessuali e sono privati della possibilità di vedere le loro famiglie.
* L’abuso sessuale e la tortura dei prigionieri palestinesi. Il 21 ottobre, i notiziari hanno riferito che tre uomini palestinesi in Cisgiordania sono stati denudati, picchiati e che un soldato ha tentato di penetrare con un oggetto uno di loro. I soldati che li hanno torturati hanno filmato e fotografato la violenza sessuale usata per sottomettere i palestinesi.
* Soldati sionisti minacciano di cacciare i palestinesi queer da Gaza per costringerli a diventare informatori delle loro comunità.
*Sostenitori filo-israeliani incitano ad attaccare fisicamente e sessualmente i palestinesi e manifestanti filo-palestinesi negli Stati Uniti e in Canada.
* Gli abusi fisici, sessuali e verbali contro volontari palestinesi e internazionali sono documentati dagli abusi da parte di coloni e soldati sionisti avvenuti nell’area di Tuwani il 20 novembre.
Questi esempi, sebbene non esaustivi, illustrano i molteplici modi in cui la violenza sessuale e di genere è intrecciata nel tessuto del progetto coloniale sionista di insediamento – un progetto che non solo uccide indiscriminatamente donne e ragazze, diminuisce le loro possibilità di vita e di mezzi di sostentamento, ma prende anche di mira i maschi palestinesi con abusi sessuali e torture. Ti chiediamo di aiutarci a fermare l’incessante procedere della nostra lenta morte che il colonialismo dei coloni e le femministe colonialiste favoriscono con il loro linguaggio e le loro azioni che agevolano il genocidio.
Il nostro è un appello all’azione.
Noi, il Collettivo Femminista Palestinese, invitiamo i nostri alleati a:
Unirsi alla nostra campagna su Twitter per fermare il femminismo colonialista pubblicando le tue testimonianze sui suoi danni e sul perché dovrebbe essere smantellato. Usa gli hashtag #shutdowncolonialfeminism e #feministssaynotogenocide e tagga i nostri account sui social media;
Rifiutare e denunciare i discorsi femministi colonialisti quando emergono nei media, sul posto di lavoro e nelle conversazioni private, affermando al contempo che la Palestina è una questione femminista. Utilizza il toolkit PFC per spunti di discussione e risorse. Se sei affiliato a un’istituzione accademica, usa la nostra lettera agli amministratori per contrastare l’allontanamento di docenti e studenti che sostengono la Palestina;
Organizzare un insegnamento sul femminismo colonialista e sulla Palestina come questione femminista nella tua comunità. Utilizzare, insegnare e divulgare la nostra crescente lista di letture sul colonialismo dei coloni e sulla violenza di genere.
Se sei un’organizzazione femminista, firma la lettera congiunta del Fronte Femminista e del Collettivo Femminista Palestinese che chiedono la fine del genocidio e un cessate il fuoco immediato.
Migliora la nostra campagna “Say No To Genocide”, una collaborazione tra PFC e INCITE! Donne di colore contro la violenza, stampando e utilizzando i nostri poster e adesivi durante le vostre azioni locali.
Resta sintonizzato per le azioni e gli inviti in corso man mano che questa campagna si evolve. Segui i nostri account sui social media @palestinianfeministcollective.
Per saperne di più su come il femminismo coloniale viene utilizzato come arma contro i palestinesi e sulle intersezioni tra violenza sessuale, di genere e coloniale di insediamento, dai un’occhiata a questa selezione di letture:
- Nada Elia, Greater than the Sum of Our Parts Feminism, Inter/Nationalism, and Palestine (Pluto Press, 2023).
- Lila Abu-Lughod, “Do Muslim Women Really Need Saving? Anthropological Reflections on Cultural Relativism and Its Others,” American Anthropologist 104, no. 3 (2002): 783–90, https://doi.org/10.1525/aa.2002.104.3.783.
- Lila Abu-Lughod, Rema Hammami, and Nadera Shalhoub-Kevorkian, eds., The Cunning of Gender Violence (Durham, NC: Duke University Press, 2023).
- Sarah Ihmoud, “Palestinian Feminism: Analytics, Praxes and Decolonial Futures,” Feminist Anthropology 3, no. 2 (2022): 284–98, https://doi.org/10.1002/fea2.12109.
- Nadine Naber, Eman Desouky, and Lina Baroudi, “The Forgotten ‘-ism’: An Arab American Women’s Perspective,” in Color of Violence: The INCITE! Anthology, edited by INCITE! Women of Color Against Violence (Cambridge, MA: South End Press, 2006), pp. 97–112.
- Eman Ghanayem, “Colonial Loops of Displacement in the United States and Israel: The Case of Rasmea Odeh,” Women’s Studies Quarterly 47, no. 3 (2019): 71–91, https://doi.org/10.1353/wsq.2019.0045.
- Rema Hammami, “Destabilizing Mastery and the Machine: Palestinian Agency and Gendered Embodiment at Israeli Military Checkpoints,” Current Anthropology 60, no. 2 (2019): S87–S97, https://doi.org/10.1086/699906.
- Sahar Francis, “Gendered Violence in Israeli Detention,” Journal of Palestine Studies 46, no. 4 (2017): 46–61, https://doi.org/10.1525/jps.2017.46.4.46.
- Walaa Alqaisiya, “Decolonial Queering: The Politics of Being Queer in Palestine,” Journal of Palestine Studies 47, no. 3 (2018): 29–44, https://doi.org/10.1525/jps.2018.47.3.29.
- Rabab Abdulhadi, Suzanne Adely, Angela Davis, and Selma James, “Confronting Apartheid has Everything to Do with Feminism,” Mondoweiss, March 17, 2021, https://mondoweiss.net/2017/03/confronting-apartheid-everything/.
- Rabab Abdulhadi, “Israeli Settler Colonialism in Context: Celebrating (Palestinian) Death and Normalizing Gender and Sexual Violence,” Feminist Studies 45, no. 2 (2019): 541–73, https://doi.org/10.1353/fem.2019.0025.
- Julie Peteet, “Language Matters: Talking about Palestine,” Journal of Palestine Studies 45, no. 2 (2016): 24–40, https://doi.org/10.1525/jps.2016.45.2.24.
- Rosemary Sayigh, “Silenced Suffering,” Borderlands 14, no. 1 (2015): 1–20.
- Maya Mikdashi, “Can Palestinian Men be Victims?: Gendering Israel’s War on Gaza,” Jadaliyya, July 23, 2014, https://www.jadaliyya.com/Details/30991.
- Nadera Shalhoub-Kevorkian and Suhad Daher-Nashif, “Femicide and Colonization: Between the Politics of Exclusion and the Culture of Control,” Violence Against Women 19, no. 3 (2013): 295–315, https://doi.org/10.1177/1077801213485548.
- Nahla Abdo, Captive Revolution: Palestinian Women’s Anti-Colonial Struggle within the Israeli Prison System (London: Pluto, 2014).
- Nadera Shalhoub-Kevorkian, Sarah Ihmoud, and Suhad Dahir-Nashif, “Sexual Violence, Women’s Bodies, and Israeli Settler Colonialism,” Jadaliyya, November 17, 2014, https://www.jadaliyya.com/Details/31481/Sexual-Violence,-Women%E2%80%99s-Bodies,-and-Israeli-Settler-Colonialism.
- Nadera Shalhoub-Kevorkian, Militarization and Violence against Women in Conflict Zones: A Palestinian Case-Study (Cambridge: Cambridge University Press, 2009).
- Lena Meari, “Resignifying ‘Sexual’ Colonial Power Techniques: The Experiences of Palestinian Women Political Prisoners,” in Rethinking Gender in Revolutions and Resistance: Lessons from the Arab World, edited by Maha El Said, Lena Meari, and Nicola Pratt (London: Zed Books, 2015), pp. 59–85.
- Loubna Qutami, “Why Feminism? Why Now? Reflections on the ‘Palestine is a Feminist Issue Pledge,’” Spectre Journal, May 3, 2021, https://spectrejournal.com/why-feminism-why-now/.
- Hala Marshood and Riya Alsanah, “Tal’at: A Feminist Movement that Is Redefining Liberation and Reimagining Palestine,” Mondoweiss, February 2020, https://mondoweiss.net/2020/02/talat-a-feminist-movement-that-is-redefining-liberation-and-reimagining-palestine/.
- Tara Alalami and Rawan Nabil, “The Birds Shall Return: Imagining Palestinian Feminist Futurities,” Briarpatch, May 4, 2022, https://briarpatchmagazine.com/articles/view/imagining-palestinian-feminist-futurities.