Riceviamo e pubblichiamo questo contributo dalle compagne del Comitato 23 settembre, già disponibile sulla loro pagina (vedi qui):
SERVIZIO MILITARE OBBLIGATORIO PER RAGAZZI E RAGAZZE?
UN TIPO DI PARITA’ CHE RIMANDIAMO AL MITTENTE
Pochi sanno che nel conflitto in corso il 15,6% dei soldati ucraini e il 12% dei russi sono donne. Oltre 31.000 donne prestano servizio nelle forze armate ucraine, di cui oltre 4.000 sono ufficiali. Non è noto ovviamente quante sono morte. La censura da tutte e due le parti tiene ben nascosti i numeri dei morti, ma è certo che questa guerra sta “consumando” uomini e donne ad una velocità spaventosa, tanto che gli “esperti” discutono apertamente della mancanza di proiettili in Ucraina, ma anche del rischio che potrebbero venire a mancare i soldati da mobilitare. La coercizione e l’intimidazione sono ormai metodi di reclutamento comuni, mentre cresce l’indignazione e la protesta popolare per le migliaia di mutilati e invalidi che popolano gli ospedali.
Ecco allora che in Danimarca il governo, in modo preventivo, progetta di aumentare la leva obbligatoria da 4 a 11 mesi per gli uomini e di renderla obbligatoria anche per le donne. Il modello principale è Israele, che vanta un lunga storia di questa raggiunta “parità”. In Europa sono Norvegia e Svezia che (la prima nel 2015, la seconda nel 2017) hanno ripristinato la leva obbligatoria per entrambi i sessi. C’è poi la Svizzera dove se ne parla seriamente, con il presidente della Società svizzera degli ufficiali che vede nell’obbligo di leva per le donne il mezzo per arginare il problema della carenza di effettivi nelle forze armate.
“Una piena uguaglianza di genere” di cui non sentivamo assolutamente la mancanza.
La richiesta della parità a tutti i costi è un obiettivo tipico del femminismo neoliberale, che vuole l’inclusione in tutte le mansioni e funzioni del capitale, in particolare in quelle dirigenti, in modo acritico, e che comporta la sponsorizzazione di metodi ed obiettivi delle classi al potere. In realtà le donne, anche quando ammesse in ruoli tradizionalmente maschili, sono addette a mansioni subordinate. Invece che l’emancipazione, una duplice disciplina, e quindi un duplice asservimento per le donne, che noi rifiutiamo drasticamente. La nostra unica possibilità di liberazione sta nella capacità di criticare e demolire l’intero sistema di potere economico, politico e culturale da cui siamo oppresse. Non vogliamo essere in competizione con i maschi nel ruolo bestiale connesso al militarismo, lo rifiutiamo come parte di un rifiuto generalizzato delle classi oppresse e sfruttate che vi sono coinvolte e che pagano sempre il prezzo più alto nelle guerre.
Quello che accade in Danimarca, Svezia ecc. potrebbe accadere anche in Italia? Certo che si.
Qui la leva obbligatoria è sospesa (attenzione sospesa non abolita) dal 2005. Potrebbe essere ripristinata in qualsiasi momento da un voto del Parlamento e certamente in caso di guerra.
Naturalmente questi governi dichiarano: «Ci riarmiamo non per fare la guerra ma per evitarla». Una ipocrisia che non c’è bisogno neanche di smascherare.
Non cadiamo nella trappola della falsa parità, che non è che complicità con l’apparato militare che non è riformabile. E uniamoci nella denuncia di tutte quelle istituzioni, la scuola e l’università in primis, che sotto la pretesa della neutralità e della ricerca scientifica, lavorano per rafforzare la cosiddetta difesa, che altro non è che la difesa dei profitti dei loro padroni!
(Nella foto soldatesse ucraine in parata “autorizzate” ad indossare le scarpe con i tacchi. No comment)