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Biennale: intesa sui precari o accordo “prendere o lasciare”?

Per chi sta in alto discorrere di mangiare è cosa bassa. Si capisce: hanno già mangiato. (Bertolt Brecht)

Apprendiamo dalla stampa locale (cfr. La Nuova di Venezia) che in data 30 luglio 2010 è stato siglato l’accordo sui precari della Biennale di Venezia con il quale si sancisce la precedenza dei lavoratori “storici” nelle assunzioni stagionali. Secondo la stampa è previsto un “tavolo” onde costruire un “bacino di risorse professionali per le esigenze degli enti culturali della città”. Secondo la Cgil “è un accordo importante ottenuto grazie alla partecipazione dei lavoratori”.

In quanto Coordinamento dei Lavoratori della Cultura in Lotta non riteniamo che un simile patto possa essere definito “importante” poiché ratifica l’estromissione di parecchi precari, lasciati a casa senza alcuna garanzia di sostentamento, e decurta il monte ore complessivo dei prestanti servizio.

Riferendoci proprio alla 12ª Mostra internazionale di Architettura, possiamo affermare che l’ente committente (grazie all’atteggiamento pilatesco del Comune) intende far precedere l’assunzione di soli 60 guardasala (che diventeranno 86 solo durante i giorni di vernice), con un taglio occupazionale stimabile intorno alla metà dell’organico rispetto alla scorsa esposizione d’Arte. Bisogna inoltre ricordare tutte quelle figure lavorative intermittenti che operano all’interno della “macchina culturale” e sono svincolate da qualsiasi accordo o garanzia per il futuro. A questi precari si affiancano i mediatori culturali: studenti aggiogati al sistema di precarizzazione che le Fondazioni di Biennale e Musei Civici Veneziani più il Museo Pinault di Punta della Dogana e Palazzo Grassi impiegano come manodopera a basso costo. Essendo tali figure in “prestito”, sono più gestibili dall’autorità committente: la loro flessibilità li rende particolarmente adatti a svolgere mansioni divergenti rispetto all’inquadramento (purtroppo non del tutto chiaro) se richiesto. Basta ammagliarli col fare esperienza nel loro campo di studio, promettergli che una volta laureati troveranno più agevolmente lavoro nella “macchina culturale” salvo poi, a fine contratto, tagliarli fuori e relegarli alla precarietà a vita.

Oggi in città chi è contrattualmente più debole, vedi i precari della Biennale, i portinai di Ca’ Foscari, gli operatori dei Cinema Comunali e del Candiani, i guardasala e affini dei Musei Civici, ai quali si assommano i dipendenti delle imprese di pulizie e chi fa assistenza ad anziani e disabili, si trova tra le due corna del dilemma. Da una parte la pressione sempre più forte esercitata dai datori di lavoro e dall’altra una presenza sindacale che promette il tiepido rispetto dei contratti o magari, come detto sopra, si rallegra per l’accordo siglato nella vertiginosa caduta dei diritti tanto declamati. In un clima difficile da affrontare i sindacati chiudono sempre più di sovente gli occhi lasciando libero corso alla drammatica frammentazione delle realtà lavorative.

Combattere veramente il sistema di sfruttamento che sta alla base delle “collaborazioni di lavoro” , della “precarietà a vita” e della “guerra tra poveri” richiede uno sforzo collettivo che la classe lavoratrice tutta deve mettere in campo. Per questo è importante il coordinamento dal basso dei lavoratori al di là delle asfissianti gabbie di mestiere o di categoria.

Coordinamento dei Lavoratori della Cultura in Lotta