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Art. 8, Camusso prepara il compromesso con Cisl e Uil

«A Confindustria, Cisl e Uil dico: scegliete, o l’accordo o la legge. Tutti e due non sono possibili». Da quel minaccioso “diktat” rivolto, nel giorno dello sciopero generale, ai firmatari dell’intesa del 28 giugno su contratti e rappresentanza, Susanna Camusso è passata al compromesso possibile sulla non applicazione dell’articolo 8 della manovra. Questo, almeno, sembra essere il segnale che giunge dal direttivo della Cgil, conclusosi venerdì sera con una profonda spaccatura tra la maggioranza che sostiene il segretario generale e la minoranza che si riconosce nell’area programmatica “La Cgil che vogliamo”.
Sull’articolo 8 – voluto dal ministro Sacconi, ma in larghissima parte difeso da Cisl e Uil – la posizione di Corso Italia è chiara: si tratta di una norma incostituzionale, che distrugge il diritto del lavoro perché consente a soggetti privati (sindacati e imprese) di siglare accordi aziendali che possano prevedere deroghe non solo a contratti nazionali ma persino a leggi dello Stato, Statuto dei lavoratori incluso. L’idea di Camusso per disinnescare questa mina, pronta a esplodere negli uffici e nelle fabbriche, è di realizzare un patto con Cisl, Uil e Confindustria. «E’ necessario trovare una modalità – propone la leader della Cgil – che, al momento della firma definitiva dell’accordo del 28 giugno, impegni tutte le parti firmatarie ad applicare integralmente i contenuti di quell’intesa».
Una mossa che, però, rischia di trascinare il più grande sindacato italiano sul terreno paludoso di una mediazione dagli esiti incerti. Di sicuro, infatti, Confindustria non può rinunciare alla cosiddetta norma “salva Fiat”, quella che rende validi retroattivamente (cosa che il 28 giugno non faceva) gli accordi di Pomigliano e Mirafiori. Per parte loro, Cisl e Uil hanno già fatto sapere di essere sì disposte a sottoscrivere patti con gli altri firmatari del 28 giugno ma solo per dire, come precisa Raffaele Bonanni, «che non toccheremo mai l’articolo 18». Difficile che ciascuno possa mantenere le posizioni di partenza. E con il Pd che preme sulla Cgil perché non si rompa il fronte unitario di sindacati e imprese, sarà difficile pure per Camusso mantenerla, anche se il segretario confederale Fulvio Fammoni fa la faccia dura: «Bonanni chiede di fare un patto solo sull’articolo 18? Il direttivo nazionale – dichiara a <+Cors>Liberazione<+Tondo> – ha chiarito che per noi vale soltanto l’accordo di giugno e non si applica l’intero articolo 8».
Per “la Cgil che vogliamo”, la posizione della maggioranza è invece «un capolavoro di ipocrisia», finalizzato a giustificare il mancato ritiro della firma dall’accordo del 28 giugno (di cui la minoranza dà un giudizio negativo) reso carta straccia dall’iniziativa del governo. Non solo: in questo modo «la Confindustria e le altre organizzazioni sindacali – osserva Gianni Rinaldini – portano “a casa” la legge senza conseguenze sul piano delle relazioni sociali». E una legge è cosa ben diversa da un patto scritto, che può essere rimesso in discussione in qualsiasi momento.
Per «uscire dall’ambiguità», “la Cgil che vogliamo” aveva proposto al direttivo di sospendere la riunione per «chiedere a Cisl, Uil e Confindustria, una posizione comune per il ritiro del Decreto dalla manovra finanziaria in discussione nei prossimi giorni in Parlamento». Proposta bocciata dalla maggioranza. Di sostenere il ritiro del decreto, gli altri sindacati non ci pensano proprio e questa richiesta della Cgil avrebbe interrotto il dialogo in partenza. Fammoni la vede diversamente: «A tre giorni dallo sciopero generale e con il precipitare della crisi, l’unica cosa che il direttivo non poteva fare – argomenta – era non dare indicazioni precise su cosa dovrà fare la Cgil nei prossimi giorni».
Altra decisione fortemente contestata è il mandato dato alla segreteria per sottoscrivere il 28 giugno senza che la Cgil abbia terminato la consultazione degli iscritti. «La consultazione – assicura ancora Fammoni – la faremo subito dopo la firma, ovviamente se ci sarà questo assenso da parte di Cisl Uil sul fatto che non verrà applicato l’articolo 8 del decreto».
Qui Rinaldini alza la voce: «E’ come dire – accusa – che è stata abolita la democrazia interna, cioè il voto vincolante degli iscritti alla Cgil come previsto dalle norme statutarie della nostra organizzazione, perché a quel punto la consultazione dopo la firma è una colossale presa in giro, non rispettosa della dignità dei lavoratori». Il leader della minoranza denuncia il rischio di una «vera e propria deriva che può riguardare la stessa mutazione genetica della Cgil», visto che «è stato perfino possibile fare un documento nel mese di agosto con tutte le forze sociali e presentarlo al Governo, dove al primo punto è prevista la richiesta di inserire nella Costituzione il pareggio di bilancio, mentre il documento Cgil sulla contro-manovra dice esattamente l’opposto».

Roberto Farneti data:12/09/2011 da Liberazione