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Hotel Africa sui monti della Sila

I numeri fanno impressione. In Calabria la crisi digrigna i denti, morde, fa tremendamente sul serio: 82mila posti di lavoro persi e ben 2700 aziende che hanno avviato procedure di mobilità e cassa integrazione. Insomma, un’economia a rotoli, un tracollo sociale. Tuttavia c’è un settore che non perde smalto, che anzi amplia le propria sfera d’influenza. È il business securitario, il vorticoso giro d’affari che ruota intorno ai centri di reclusione per migranti. Non bastassero il Cie/Cara Sant’Anna di Isola Capo Rizzuto (gestito dalle Misericordie, legato mani e piedi al Pdl provinciale e più volte al centro di inchieste giudiziarie) e il Cie Malgrado Tutto di Pian del Duca a Lamezia (retto da una cooperativa organica a Legacoop), l’ultima (balzana) idea partorita dalle sottili menti del Viminale, della Presidenza del Consiglio e della Protezione Civile ha del surreale: ghettizzare i rifugiati in strutture alberghiere, alleggerendo il carico sui Cara e sui Cie d’Italia. In attesa di rimpatriarli.

Sono già cinque gli Hotel Africa in Calabria: ad Amantea, Cetraro, Falerna, Gambarie. Ma il caso più increscioso si registra a Rogliano, nel Savuto. Un’area montana e boschiva, ponte di transito tra la Sila e la costa. Ma anche un distretto industriale. Nell’area di Piano Lago si colloca, infatti, la gran parte delle imprese presenti nel cosentino, specie nel comparto agroalimentare, nella gomma e nelle materie plastiche. Insomma, un comprensorio produttivo e dalle grandi potenzialità turistiche. Dove i solerti funzionari della Protezione Civile han pensato bene di impiantare un centro di accoglienza per i migranti provenienti da Lampedusa.

Ma né il sindaco, né la prefettura, né le associazioni locali ne erano stati informati. Almeno non prima dell’ultima decade di luglio quando si è cominciata a diffondere la notizia dei trasferimenti dei profughi. Quello che si sta abbattendo su Rogliano e negli altri paesi calabresi interessati risponde, dunque, al “modello Bertolaso”. Quello già sperimentato dopo terremoti e disastri idrogeologici (i casi L’Aquila e Cerzeto su tutti) e ora trasferito nel settore dell’immigrazione. Un modello fatto di procedure in deroga, affidamenti diretti e regimi temporanei, capace di operare in silenzio, stretto nelle mani di pochi: è il commissariamento coatto dei fenomeni migratori, la cui sovranità passa de facto alla Protezione Civile.

La cooperativa “La Rosola” gestirà le attività per i rifugiati fino al 31 dicembre 2011, termine in cui scadrà la temporanea concessione della struttura. Non c’è traccia di gara pubblica, né in paese nessuno mai ne aveva sentito parlare. Nel mentre, da quasi due mesi un centinaio di migranti sostano nell’albergo di Contrada Monchia in attesa di un futuro che si chiama rimpatrio. Tutti di colore, età media 25 anni, provenienti in larga parte da Malì, Nigeria, Ciad, Nuova Guinea. Parlano inglese, francese, arabo, molti hanno studiato, tanti manifestano disponibilità e capacità di apprendimento. Il sindaco, Giuseppe Gallo, ha appreso la notizia dell’operazione dalla stampa e non trattiene lo sfogo: «In tanti sapevano del nuovo centro tranne me». E così ha preso carta e penna per chiedere (inutilmente) al presidente della Regione, Peppe Scopelliti, di «sospendere ogni attività inerente all’apertura del Centro di accoglienza per profughi al fine di valutare e verificare le condizioni logistiche e organizzative per una più attenta e complessiva fattibilità che miri alla condivisione, al coinvolgimento e alla responsabilità di tutti i soggetti presenti sul territorio».

È molto critico, il sindaco, «perché è indecente ammassare le persone negli alberghi scavalcando le autorità istituzionali. Da due mesi siamo abbandonati al nostro destino da uno Stato che ci ha lasciati soli. Nonostante ciò insieme alla Rete delle associazioni cerchiamo di praticare un modello di accoglienza». E così hanno deciso di aprire ai migranti la locale Casa della Cultura, «ma se ci avessero interpellato avremmo costruito un percorso partecipato virtuoso. Ma Protezione Civile e Viminale hanno voluto fare di testa loro in barba al contesto sociale ed istituzionale di Rogliano. E da allora sono scomparsi, nessuno li ha più visti e lo stesso dicasi per la Regione». La struttura trasformata in Cara è pessima. L’albergo “La Calavrisella” è sprovvisto di tutto, è in ristrutturazione, agli inizi mancava persino l’allaccio fognario. Poche visite mediche finora, nessun raccordo con la cittadinanza, assenza delle cose più elementari. I migranti vagano in paese, ma sono disorientati non avendo a breve prospettive lavorative. «Ho personalmente firmato – ci dice il sindaco – un protocollo di intesa per cercare di inserire alcuni di loro nelle scuole». Ma tutto è lasciato al caso, all’iniziativa lodevole dei singoli, manca una guida di raccordo con Roma. La Rete Antirazzista è molto attenta e sta seguendo passo dopo passo l’evoluzione degli incontri fra Comune, Cgil, associazioni. Nella Calavrisella oggi vi sono ospitati 160 migranti provenienti dal centro Africa, fra questi un nutrito gruppo di ragazzi nigeriani che erano sul barcone giunto a Lampedusa con 25 cadaveri nella stiva.

Il business degli alberghi è molto remunerativo. Per ogni migrante ospitato lo Stato versa 48 euro al giorno (che salgono ad 80 in casi straordinari). Ma i servizi forniti sono piuttosto lacunosi. Ahmed è un mediatore culturale. Ha lavorato al Calavrisella fino a qualche giorno fa «ma poi mi hanno cacciato. Se vuoi stare qui mi hanno detto devi farti i fatti tuoi». Tuttavia, lui non ne ha voluto sapere e ha denunciato l’assenza di diritti, le prestazioni carenti, la gestione disinvolta. «All’inizio mancava tutto – interviene Pino Tiano del Comitato Beni Comuni del Savuto – nemmeno l’ordinaria assistenza medica veniva fornita. E dire che in base alla convenzione l’ente gestore dovrebbe garantire la mediazione linguistica, i vestiti, le medicine, la raccolta dei rifiuti, l’ambulatorio, il servizio barberia e tante altre prestazioni che invece da 2 mesi sono lettera morta». Questo astruso meccanismo è figlio dell’ordinanza della Presidenza del Consiglio 3933, che da aprile ha stabilito il Piano accoglienza di concerto con le Regioni e, con esso, le quote di ripartizione dei migranti e la possibilità di gestire in deroga l’accoglienza in loco. Dunque a Rogliano, individuato l’ente gestore, la Protezione civile regionale si è limitata a vigilare sullo stato di vivibilità dei luoghi e gli standard qualitativi. Si fa per dire.

«Con la scusa dell’emergenza, creata ad arte per agire in deroga a qualsiasi legge, la protezione civile apre Cara che poi facilmente si trasformano in Cie senza interloquire con i territori, senza fare limpide gare d’appalto e costruendo un lucroso business sulla pelle dei nostri fratelli migranti – denunciano i circoli Prc del Savuto – la popolazione locale, impaurita dalle sofferenze di una crisi economica che travolge ogni sicurezza, bombardata dai messaggi egemoni della politica attuale che indicano nel migrante il nemico del pianerottolo, il portatore di ogni male e la principale minaccia alla nostra sicurezza, si trova disorientata e impaurita ma i migranti sono ragazzi come noi, fuggiti da scenari di guerra dove lo sguardo si abitua all’orrore, protagonisti meravigliosi di quel vento nuovo che ha abbattuto i regimi sanguinari del Maghreb e che chiede democrazia e libertà. Non sono un problema di ordine pubblico ed è per questo che rifiutiamo la logica emergenziale». Gli attivisti contrappongono al modello emergenziale di Maroni e Gabrielli quello dell’accoglienza dei comuni della Locride. Non è un caso se qualche giorno fa 2 famiglie di migranti (in tutto 11 unità) siano state trasferite da Rogliano a Riace dopo una loro esplicita richiesta. Erano insofferenti a questo sistema che specula sul loro travaglio e si sono ribellati. Sbilanciamoci nella sua contromanovra ha calcolato il risparmio che si otterrebbe dalla chiusura dei centri di detenzione per migranti: al netto dei tanti Hotel Africa (come quello di Rogliano), 250 milioni annui. Con cui si potrebbe ridurre il debito. E anche la vergogna.  Silvio Messinetti da il manifesto 16 settembre 2011