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Corrieri, i nuovi schiavi metropolitani

Pubblichiamo un articolo che fa il punto sulla realtà dei corrieri. Come SI Cobas stiamo trattando con due cooperative presenti sul sito SDA di  Carpiano (MI) sulla base di una piattaforma rivendicativa che prevede tra l’altro la sostituzione del CCNL UNCI con quello logistica trasporto merci e spedizione, l’eliminazione di continue pause che impegnano il lavoratore anche per 14 ore (pagate sei), scatti di livello e innalzamento delle ore per i contratti a par time.

“Ieri circa 50 ispettori del lavoro sono andati nelle sedi romane di SDA, azienda che effettua consegne per conto di Poste Italiane per verificare la fondatezza delle accuse di inadempimenti contrattuali : solo un terzo della busta paga rientrerebbe nella retribuzione ordinaria, il resto sarebbero “premi” o “trasferte in Italia”
Cinque euro all’ora per girare come trottole nel traffico a consegnare pacchi e buste, per 10 ore al giorno filate, senza pause, mangiando un panino sul sedile del furgone. Cinque euro, quasi quanto davano alle fasoniste di Barletta per lavorare in una palazzina pericolante che è crollata seppellendole tutte. Con una differenza. Le ragazze pugliesi lavoravano completamente in nero, mentre gli sfruttati dei pacchi, un simulacro di inquadramento contrattuale ce l’hanno. Solo un simulacro, però, perché per tutto il resto sono trattati come lavoratori di serie C, alla stregua delle maglieriste barlettane, appunto.

Sono peruviani, ghanesi, tunisini, marocchini, ma anche numerosi italiani, ragazzi soprattutto. Chi abita nelle grandi città li vede tutti i giorni a trafficare intorno ai furgoni con le scritte delle aziende per cui effettuano le consegne: Sda, Bartolini, Dhl, Tnt, Ups. Aziende affermate che, però, da un po’ più a un po’ meno, non ci vanno con la mano leggera. Da un punto di vista formale sono tutte estranee allo sfruttamento, nel senso che il servizio lo appaltano a terzi e sono questi che hanno un rapporto contrattuale diretto con i lavoratori. Ma la sostanza è diversa e le grandi società c’entrano, eccome.

A leggere le buste paga dei nuovi schiavi metropolitani, i nomi delle grandi società di spedizione in effetti non compaiono. Al loro posto si trovano mille sigle di cooperative o piccole aziende di «padroncini»; solo le fornitrici SDA, per esempio, sono 300 in tutta Italia con circa 4 mila furgoni. Le buste paga hanno un elemento ricorrente: la retribuzione ordinaria in senso stretto è in genere appena un terzo del totale. Il resto sono «premi» e diarie o «trasferte Italia». Se per esempio il compenso totale è 1.000 euro, la retribuzione è 340 circa, i premi 460, le trasferte un po’ più di 200.

Stando alle testimonianze dei lavoratori raccolte dai sindacati, le ore retribuite pagate sono molte meno di quelle effettive. In genere ogni lavoratore fa una decina di ore al giorno, ma è grasso che cola se gliene conteggiano 3. Dieci ore al giorno per 22 giorni al mese fa 220 ore e considerato che la paga è di circa un migliaio di euro ecco che la retribuzione oraria è meno di 5 euro. Secondo i sindacati con questo sistema si sfruttano i lavoratori e si truffa pure lo Stato, perché le voci dei premi e delle trasferte sono fittizie, inventate con lo scopo di pagare meno contributi ed eludere il fisco. Sulla retribuzione in senso stretto, infatti, tasse e contribuzione sono piene per legge, mentre sulle altre voci sono agevolate di parecchio.

Il segretario regionale Cgil dei trasporti del Lazio, Rocco Lamparelli, ha raccolto un voluminoso dossier su queste che considera clamorose violazioni. La conclusione a cui il sindacalista è arrivato è sconsolante: in cima alla lista di chi spreme di più i lavoratori ci sono gli appaltatori che lavorano per Sda, società pubblica che effettua consegne per conto di Poste posseduta al 100 per 100 da Poste stesse. Una cinquantina di ispettori del lavoro ieri mattina si è presentata proprio negli uffici SDA di Roma 1 e Roma Hub di via Corcolle e di Roma 2 in via Porta Medaglia per verificare la fondatezza delle accuse.

Secondo il sindacato la SDA nella sostanza sarebbe la causa prima dello sfruttamento imponendo alle ditte appaltatrici contratti antieconomici, con corrispettivi per il servizio addirittura inferiori al costo vivo del lavoro. Per rientrarci, le ditte appaltatrici si rifanno sui lavoratori pagandoli poco e male. In pratica SDA indurrebbe di fatto gli appaltatori a sfruttare i dipendenti per poter poi praticare tariffe superscontate ai clienti imponendosi sul mercato con un’azione di dumping.

E’ sorprendente che a guidare la carica dello sfruttamento, insomma, sia un’azienda statale proprio mentre il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano invita tutti a vigilare contro il lavoro nero e le irregolarità. In una nota inviata al Fatto, SDA non esclude tassativamente che si siano verificati casi di «inadempimenti» contrattuali dei fornitori nei confronti dei lavoratori, ma nega di esserne la causa e assicura che attua tutti i controlli possibili: «Non vi è alcuna costrizione da parte di SDA sulle tariffe contrattuali che vengono determinate dal mercato tenuto conto delle esigenze del mercato stesso».

Che SDA operi in dumping, però, lo suggerisce anche il deputato Daniele Toto di Futuro e libertà che in un’interrogazione basata sui dati di bilancio svela il paradossale meccanismo finanziario alla base della faccenda. SDA ha chiuso gli ultimi due bilanci in passivo (34 milioni di euro nel 2010 e 24 l’anno precedente) anche a causa del «mancato o parziale pagamento dei servizi da parte della controllante», cioè Poste che così abbellisce il suo bilancio.

Per non finire a gambe all’aria SDA ha ricevuto dalle stesse Poste, che non hanno certo problemi di liquidità, un finanziamento di 25 milioni di euro più 56 milioni di affidamenti sul conto intersocietario. Cioè Poste è allo stesso tempo debitrice commerciale e creditrice finanziaria di SDA. In pratica le perdite di SDA vengono sostenute dalle Poste e in ultima istanza sovvenzionate dal contribuente italiano, cioè tutti noi, costretti ad essere gli involontari complici del dumping e dei 5 euro all’ora agli schiavi dei pacchi.”

da Il Fatto Quotidiano del 22 ottobre 2011