Le elezioni. Tra il 5 e il 7 del prossimo mese di marzo, dopo oltre quattro anni, saremo chiamati tutti ad eleggere i nostri rappresentanti sindacali.
Naturalmente non è la prima volta che ciò accade e come ogni altra volta vedremo ripetersi una specie di “rito”.
I muri del nostro ospedale si riempiranno di volantini che prometteranno di tutto e di più, ricompariranno sigle sindacali delle quali avevamo perso le tracce e parole come “diritti”, “salario”, “dignità”, dimenticate per tre anni, torneranno a riaffacciarsi sulla scena…
Le bacheche del nostro ospedale si riempiranno di volantini pieni di nomi e cognomi di quei lavoratori che per convinzione, per amicizia, per conservare qualche piccolo privilegio o che per chissà quale altro motivo decideranno di candidarsi a rappresentare tutti gli altri all’interno di quell’organismo che ha il compito di contrattare con la Direzione Aziendale le nostre condizioni di lavoro ed economiche.
Come al solito ci stupiremo nel trovare tra le liste il nome di chi, in linea di principio, dovrebbe difendere gli interessi e i diritti dei lavoratori e che, invece, ogni giorno, per il ruolo che riveste, dai lavoratori pretende la rassegnazione e la negazione della propria dignità.
Ci meraviglieremo nel vedere la sproporzione tra il numero di candidati, di gente cioè disposta a dedicare il proprio tempo all’attività sindacale, e il numero di lavoratori che normalmente partecipa alle assemblee.
Resteremo di stucco nel riflettere sul fatto che almeno 200 persone nella nostra azienda non dovrebbe più dire “i sindacalisti sono tutti venduti” e “tanto non cambierà niente, i sindacati sono tutti uguali…”
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