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[GERMANIA] Sull’accordo della IG Metall: vogliamo il pane e anche le rose

Accordo in Germania tra la IG Metall (il sindacato dei metalmeccanici e degli elettrici) e le organizzazioni padronali della regione del Baden-Wurttemberg.

Un contratto pilota, che per ora riguarda 900.000 lavoratori, ma che si vuole estendere ai 4 milioni di lavoratori del settore.

Sui media si è parlato di accordo storico.
Storico?
Ma non è accaduto niente di storico.

Si tratta semplicemente di un altro accordo sulla flessibilità degli orari di lavoro, più che sulla riduzione dell’orario di lavoro. Infatti, a leggere tra le righe non è affatto oro quello che si vuole mettere in vetrina.

L’accordo prevede la riduzione dell’orario di lavoro settimanale dalle 35 ore attuali a 28 per un periodo massimo di 2 anni. Riguarda solo i lavoratori a tempo indeterminato che devono accudire  bambini o parenti malati, e chi svolge lavori usuranti.
Vengono pagate 28 ore (con una parziale compensazione del salario da parte dello stato); la rinuncia all’integrazione del salario è compensata con 8 giorni di ferie in più.

Contemporaneamente, ma non viene messo in luce, le imprese incassano la facoltà di estendere la settimana lavorativa a 40 ore (in questo caso, però, non ci sono vincoli di durata).

Quindi la teorica possibilità di nuove assunzioni, conseguente alla riduzione d’orario, è vanificata.
Si è, invece, perfettamente in linea con le esigenze di flessibilità del ciclo produttivo fatto di picchi e rallentamenti, e per la prima volta in un accordo che riguarda l’intera categoria dei metalmeccanici  il padronato è autorizzato a sfondare il tetto, fissato nell’accordo del 1984, delle 35 ore.
Un tetto che è già stato sfondato nei fatti in tante aziende uscite dalla Confindustria tedesca, e che hanno deciso di non attenersi più agli accordi conclusi a livello nazionale.

Con questo accordo fa un altro passo avanti la linea della massima stratificazione e frammentazione della classe lavoratrice (in una stessa fabbrica chi farà 28, chi 35, chi 40 ore…) attuata in Germania, prima che altrove, con jobs act e i mini job (lavoro part time) con paghe che non superano i 450 € e con corollario di incentivi fiscali alle imprese. Anche da questo accordo si capisce che questa linea, da soluzione transitoria, è diventata la norma. 

Non si può dire, quindi, che sia un accordo storico per i lavoratori.  Solo  un piccolo numero di lavoratori vedrà riconosciuta, in parte almeno, una propria esigenza a fronte di un generalizzato aumento dell’orario di lavoro.  La stessa Linke, partito schierato a sinistra della SPD, ne denuncia limiti e unidirezionalità. 
Altra cosa sarebbe imporre la riduzione generalizzata degli orari di lavoro a parità di salario! 

Gli stessi aumenti di salario arrivati dopo una tregua salariale che dura da decenni e dopo l’ultimo contratto del 2013 senza richieste salariali, sono appena del 4,3%. Su una busta paga media in Germania di 1.800 €, sono 77€.  Per assurdo è meno di quanto si vuole concedere a tutto il settore del P.I. in Italia.

In Germania si lavora 1371 ore annue, in Italia 1725. Il differenziale è la produttività del lavoro più alta in Germania che impiega più tecnologia. Certamente i lavoratori italiani lavorano di più. Meglio sarebbe in Germania e in Italia far lavorare più le macchine e usurare meno gli uomini.
Con i parametri di produttività tedeschi, si avrebbero 6,6 milioni di nuovi posti di lavoro.

Altro tema dei valutatori acritici è che questo accordo vada incontro alla conciliazione tra tempo di vita e tempo di lavoro. In realtà si accentua una divaricazione tra chi cerca un tozzo di pane con lavoretti anche part-time, o addirittura in nero, e chi allungando il tempo di lavoro ha come miraggio il miglioramento del tenore di vita, ma rinunciando allo svago e alla cura della famiglia.

“Vogliamo il pane e anche le rose” (più salario e riduzione dell’orario di lavoro) fu lo slogan di uno sciopero gridato dalle lavoratrici tessili americane nel 1912. Questo slogan va ripreso integralmente.

 Il che rende di stretta attualità la riduzione generalizzata dell’orario di lavoro a parità di salario, ma l’esempio non è quello attuato della IG Metall. In altri tempi la si sarebbe chiamata senza tante storie linea Social Imperialista.

Solo la lotta indipendente dei lavoratori dagli interessi padronali e dalle esigenze del ciclo produttivo può affermare condizioni di vita migliori. La produttività del lavoro che rivendichiamo è quella che preserva il lavoro.

Lavorare meno, lavorare tutti, lavorare meglio!