Siamo tutti Mauro Gennari!
Continua la denuncia di un lavoratore della sede INPS Roma Monteverde vittima di licenziamento disciplinare.
Mauro Gennari, un lavoratore della sede INPS Roma Monteverde, vittima di licenziamento disciplinare, che ribadiamo per noi del S.I. COBAS va annullato perché ingiusto ed illegittimo, cerca di mantenere una relazione diretta con le/i lavoratrici/tori dell’INPS, attraverso alcune lettere aperte inviate al S.I. COBAS.
Mauro nelle sue lettere aperte si rivolge al nuovo Presidente dell’INPS, Pasquale Tridico.
Il neopresidente dell’INPS però ad oggi non ha risposto a Mauro o al S.I. Cobas in merito a quanto viene ben evidenziato dalle lettere aperte del lavoratore licenziato: l’organizzazione del lavoro imposta dall’Amministrazione è da rivedere completamente in quanto inspiegabilmente penalizza “l’anello debole” del personale.
Finalmente, dopo tanti anni di blocco del turn over, all’INPS si riprende ad assumere. Bene!
Allora chiediamo al neopresidente che rinnovate ed appropriate scelte organizzative vengano condivise con le/i lavoratrici/tori, allo scopo di garantire il necessario miglioramento delle condizioni lavorative e dei servizi offerti all’utenza.
Chiediamo al neopresidente anche che venga rivisto il codice disciplinare ingiustificatamente inasprito da pesanti sanzioni.
Questa rappresenterebbe già una piccola vera rivoluzione in INPS.
Licenziando Mauro per aver commesso presunti errori in una specifica tipologia di pratiche, quando per anni tali pratiche sono state costantemente controllate e approvate da chi in INPS è tenuto a svolgere tale adempimento, vuol dire porre a rischio licenziamento tutte/i le/i lavoratrici/tori.
Invitiamo ancora una volta il Presidente dell’INPS a rispondere a Mauro ed al S.I. COBAS nell’interesse di tutte/i le/i lavoratrici/tori.
Invitiamo ancora tutte le organizzazioni sindacali e tutte le RSU presenti in INPS a chiedere l’annullamento del licenziamento di Mauro.
Si allega ulteriore lettera aperta di Mauro.
9 luglio 2019,
SI COBAS Pubblico Impiego
Mauro Gennari, un lavoratore della sede INPS Roma Monteverde, vittima di licenziamento disciplinare, si rivolge al Presidente dell’INPS attraverso alcune lettere aperte (inviate all’organizzazione sindacale S.I. Cobas).
Terza lettera aperta (seconda parte)
Al Presidente dell’INPS
Prof. Pasquale Tridico
(tramite il S.I. COBAS)
Oggetto: tutte le pratiche contestatemi sono state controllate e approvate dai responsabili del procedimento e del provvedimento (parte seconda)
Egregio Presidente,
con la precedente lettera Le ho portato a conoscenza, con riferimento all’argomento in oggetto, i contenuti della contestazione disciplinare del 31/7/2018, delle tre relazioni ispettive redatte da un ispettore centrale Inps in 20 mesi (tanto sono durate le indagini) e della mia memoria difensiva consegnata all’Ufficio dei Procedimenti Disciplinari (di seguito UPD) in sede di audizione il 3/10/2018.
Con la presente lettera, e sempre con riferimento all’argomento in oggetto, le rappresenterò quanto è contenuto nei successivi atti di questa vicenda, dal provvedimento del licenziamento fino alla decisione del giudice del lavoro, e che a mio avviso evidenzierà ancora una volta la correttezza del mio operato e l’assurdità del procedimento disciplinare a mio carico (e solo a mio carico!) conclusosi con il mio licenziamento.
In data 27/11/2018 ho ricevuto da parte dell’UPD, del tutto inaspettatamente visti i contenuti delle contestazioni e delle mie difese, la sanzione disciplinare del licenziamento con preavviso.
Nel provvedimento, con riferimento all’argomento in oggetto, la dirigente UPD non si esprime se non a pag. 5, accennando ad una generica responsabilità personale di ogni lavoratore per la propria attività e introducendo, incredibilmente, la giustificazione dell’omesso/errato controllo da parte dei responsabili dell’Unità
Organizzativa competente e del Direttore di sede. Infatti si legge:
…………………………………………………………………………………………..
- “PRESO ATTO che il dott. Gennari ha eccepito che tutte le pratiche contestategli sono state da lui mensilmente sottoposte al controllo del Responsabile dell’Unità Organizzativa competente, come dimostrato dalla firma da questi apposta a mano o inserita nella procedura informatica, sui prospetti di riepilogo del calcolo dell’onere, nonché dalla firma del Responsabile di Agenzia, senza che nessun rilievo circa eventuali irregolarità nella liquidazione delle domande gli sia stato mosso dai predetti superiori;”
La dirigente UPD afferma di averne preso atto ma poi disattende tale presa d’atto comminandomi (e solo al sottoscritto) la sanzione del licenziamento. Faccio presente che quanto affermato non è solo eccepito da me ma è contenuto nelle tre relazioni ispettive redatte dall’Ispettorato centrale Inps
- “PRESO ATTO che, secondo quanto sottolineato dal dott. Gennari: a) le sottoscrizioni dei funzionari sovraordinati hanno attestato la correttezza delle proprie lavorazioni, determinando, nel contempo, il convincimento della legittimità del proprio operato; b) il danno derivato all’Istituto dalle pratiche contestate è attribuibile esclusivamente ai predetti funzionari sui quali gravava, giusta la normativa INPS, la responsabilità del procedimento e del provvedimento;”
Anche in questo caso la dirigente UPD afferma di averne preso atto ma poi disattende quanto affermato sanzionandomi con il licenziamento. Eppure anche l’ispettore centrale Inps riporta il tutto chiaramente nelle tre relazioni ispettive. Invece la dirigente UDP non solo sanziona solo il sottoscritto ma, senza tener conto dell’organizzazione dell’Istituto, mi attribuisce l’intero presunto danno delle pratiche contestate (tale scorretta attribuzione, in palese violazione dell’organizzazione Inps, viene commessa, come già detto e come specificherò in una prossima lettera, anche dal Direttore Regionale Lazio)
- RILEVATO in proposito che, indipendentemente dall’operato dei funzionari delegati al controllo, sussiste una responsabilità personale e diretta dell’operatore addetto circa la regolarità delle proprie lavorazioni e che, in particolare, nel caso di domande di riscatto ex art. 13 L. 1338/62, alla luce della normativa in materia, i compiti dell’addetto alla lavorazione comportano l’autonomo e corretto esame della posizione contributiva dell’utente e della documentazione allegata a corredo della richiesta per il duplice aspetto della regolarità e congruità;”
E’ ovvio che tutti i lavoratori sono responsabili del proprio operato, ma non si capisce perchè questo venga rilevato solo per il sottoscritto, che ha svolto un’attività istruttoria e non decisoria di cui ha ricevuto per tanti anni dall’Inps un’attestazione di regolarità e correttezza, e non anche e soprattutto per i Responsabili dell’Unità Organizzativa a cui l’Inps affidava il controllo e che tale attestazione di regolarità e correttezza hanno dato, secondo l’Inps sbagliando, alle mie lavorazioni
- “CONSIDERATO che il dott. Gennari si occupava quotidianamente e quasi
esclusivamente di tale tipologia di pratiche, mentre i funzionari citati presidiavano
l’intero ciclo del processo produttivo assicurato/pensionato con centinaia di prodotti e sottoprodotti ovvero la gestione e la performance produttiva dell’intera Agenzia di Roma Monteverde;”
Con tale considerazione la dirigente dell’UPD manifesta innanzitutto tutte le gravi difficoltà nel giustificare il mio licenziamento ed è costretta ad affermare il falso sull’attività del sottoscritto. Infatti in merito all’attività da me svolta negli anni a cui si riferiscono le pratiche di rendita vitalizia contestatemi, nella memoria difensiva consegnata alla stessa dirigente UPD il 3/10/2018, si legge chiaramente alle pagine 7 e 8: O) nella lettera del 31/7/2018 mi viene contestato di aver lavorato e indebitamente accolto “numerose” pratiche di riscatto ex art. 13 L. 1338/1962.
Faccio presente che nel corso degli anni dal 2011 al 2015 ho effettuato lavorazioni per 9703 diversi nominativi (1816 nel 2011, 1516 nel 2012, 2951 nel 2013, 2092 nel 2014, 1328 nel 2015, tutte documentabili) relative a differenti prodotti/servizi e con differenti criticità. In particolare in questo arco temporale ho lavorato tutti i tipi di riscatto, i versamenti volontari, le ricongiunzioni, gli estratti conto certificativi, gli accrediti figurativi e altro.
Sempre negli anni indicati ho definito (accolto e respinto) 1222 riscatti di cui 196 rendite vitalizie.
Nel corso di questi anni ho anche svolto attività di sportello, attività di consulenza per appuntamento e ho dato riscontro via telefono e mail alle richieste degli utenti.
P) sottolineo che nel corso della mia attività lavorativa mi sono visto assegnare repentinamente a settori lavorativi diversi e aumentare il carico di lavoro sotto la pressione di accelerare il numero di pratiche da lavorare e definire per contribuire a migliorare la produttività della sede.
La disponibilità richiestami ad occuparmi in contemporanea di più prodotti e servizi appartenenti ad aree lavorative diverse è stata totale, ma questo ha comportato una situazione di stress e difficoltà lavorativa dal sottoscritto più volte segnalata (ALL. 27 – alcune mail su carichi di lavoro e competenze da me inviate a direttori e responsabili)
Ed infatti nel ricorso che ho presentato il 13/2/2019 contro il licenziamento si legge, a pag. 16, che non si può fare a meno di evidenziare “la macroscopica falsità di quanto affermato a pag. 5 del licenziamento impugnato in ordine al fatto che il sig. Gennari, a differenza dei suoi superiori e responsabili, si occupasse quotidianamente e quasi esclusivamente della tipologia di pratiche contestate, sol considerando che le pratiche di riscatto del tipo rendite vitalizie lavorate dal sig. Gennari tra il 2011 e il 2015 rappresentavano invero una percentuale minima delle lavorazioni eseguite annualmente dal dipendente …”.
INVITO LA DIRIGENTE UPD, la signora M.P.S, A DICHIARARE PUBBLICAMENTE IL MOTIVO DELLA SUA AFFERMAZIONE FALSA SULLA MIA ATTIVITA’ LAVORATIVA!
Nella seconda parte della sua considerazione la dirigente dell’UPD ammette che i responsabili degli uffici competenti e i direttori di sede non hanno esercitato la funzione di controllo loro affidata e indennizzata motivando tale omissione con il sovraccarico di lavoro.
E’ mai possibile tutto questo? E’ accettabile che il sottoscritto, nonostante i carichi di lavoro più volte segnalati, abbia rispettato l’intero procedimento amministrativo dei riscatti, dalla domanda al provvedimento di accoglimento (o reiezione), e che ha avuto dall’Inps la garanzia della correttezza delle proprie lavorazioni, venga licenziato mentre chi non ha adempiuto al proprio dovere (come affermato dall’Inps attraverso la dirigente UPD) venga giustificato perchè aveva tanto da fare nell’esercitare le funzioni assegnategli e per le quali
veniva idennizzato?
E’ mai possibile che una così grave disfunzione organizzativa ricada sull’anello più debole dell’intero procedimento amministrativo e non su chi l’ha determinata?
Successivamente, a pag. 9, sempre per tentare di giustificare il mio licenziamento, la dirigente UDP, si limita ad affermare in maniera del tutto generica, utilizzando delle mere formule di stile, che “le lavorazioni effettuate dal dipendente appaiono, nel loro complesso, caratterizzate da negligenza grave, reiterata ed inescusabile”, che l’istruttoria delle domande risulta “inadeguata per palese, erronea o mancata applicazione delle disposizioni in materia” e che viene tenuto conto “del rilevante danno arrecato dal dipendente al’Istituto, quantificato complessivamente dagli accertamenti ispettivi in euro 3.814.000,00”.
Ma come è possibile fare tali affermazioni se tutte le pratiche a ma contestate hanno ricevuto nel corso degli anni la garanzia della legittimità e correttezza dell’iter istruttorio da parte dei Responsabili del procedimento e del provvedimento a cui l’Inps affidava tale funzione?
La dirigente UPD non ha letto le tre relazioni ispettive redatte dall’Ispettorato centrale INPS dove sono chiaramente e correttamente indicati ruoli e responsabilità?
Come è possibile che la dirigente UPD, che ha il delicato compito di prendere una decisione che potrebbe incidere sulla vita di un lavoratore e della sua famiglia, non sia a conoscenza dell’organizzazione dell’Istituto e delle circolari che prevedono e regolamentano la funzione di controllo sugli atti dell’Istituto aventi rilevanza esterna?
Negli atti successivi relativi all’impugnazione del licenziamento (ricorso e note autorizzate) tutto quanto finora descritto viene diffusamente e chiaramente rappresentato al giudice del lavoro.
Evito di riportare tutti i contenuti di tali atti che si riferiscono all’argomento oggetto di tale lettera.
Naturalmente su tale argomento gli avvocati Inps, anch’essi in evidente difficoltà, sono costretti a sorvolare e addirittura ribadiscono (a pag. 46 della memoria di costituzione in giudizio e pag. 22 delle note autorizzate) l’affermazione falsa della dirigente UPD circa la mia attività lavorativa (anzi scrivono “A comprova della gravità dell’operato del Gennari si è evidenziato che il dipendente si occupava quotidianamente e quasi esclusivamente di tale tipologia di pratiche…) nonostante io alleghi, relativamente ad un mese, e precisamente maggio 2013 (ma potrei farlo per tutti i mesi dal 2011 a 2015) i documenti relativi alla mia variegata attività lavorativa con i nomi degli utenti che hanno ricevuto dal sottoscritto una lavorazione.
In definitiva sia la dirigente UPD che gli avvocati Inps non spiegano il motivo per cui non si debba tener conto della firma dei responsabili e dei direttori di sede sui prospetti di calcolo dell’onere dei riscatti, in evidente contrasto con le circolari Inps e con le tre ralazioni ispettive redatte dall’Ispettorato Centrale Inps.
Nel tentativo di fuorviare la realtà arrivano anche ad affermare, nelle note autorizzate (pag. 15) che il controllo sui riscatti/rendite vitalizie veniva effettuato “a campione” e che “gli accertamenti svolti appunto a campione, non hanno rilavato anomalie… perchè il campione di pratiche era notevolmente esiguo…”.
Allora perchè i responsabili firmavano?
A che titolo?
Perchè omettono di dire che la stessa circolare a cui fanno riferimento, la n. 178/2003, prevede che tutti i provvedimenti di accoglimento dei riscatti necessitano del controllo dei responsabili che li firmano garantendo la correttezza della lavorazione?
E se gli ulteriori controlli a campione sono stati effettuati su “un campione notevolmente esiguo” la colpa è dell’operatore che ha istruito le pratiche oppure è di chi ha definito male il campione?
Scaricano su di me tutta la responsabilità di eventuali errori su pratiche da me lavorate e di cui ho rivendicato la regolarità in tutte le sedi senza considerare che la mia attività era meramente istruttoria mentre l’onere di garantire la correttezza della lavorazione (idoneità della documentazione e correttezza del calcolo dell’onere) e di dare all’istruttoria la natura di provvedimento con rilevanza esterna gravava sui responsabili dell’U.O. competente.
In questo procedimento disciplinare vengo dall’Inps considerato contemporaneamente operatore, responsabile e controllore di me stesso, senza avere il riconoscimento della posizione organizzativa e della relativa indennità.
E’ mai possibile tutto questo?
Addirittura gli avvocati Inps, sempre nel tentativo di fuorviare la realtà, affermano (pag. 19 note autorizzate) che il sottoscritto “vorrebbe deresponsabilizzarsi” nonostante sia “un funzionario di area C, in possesso di diploma di laurea, istruttore esperto, che ha fatto corsi di formazione appositi …..” e che “a tali corsi formativi ha partecipato anche il ricorrente….“ (pag. 3) citando però in particolare, e a dimostrazione di essere in totale confusione, due corsi di formazione su Riscatti, Ricongiunzioni e Accediti figurativi svoltisi dal 27 al 30 novembre 2006 (dimenticandosi che io ho iniziato ad occuparmi di rendite vitalizie dal 2010!) e dal 28 al 30 settembre 2015 (dimenticandosi che le pratiche contestate riguardano l’arco temporale 2005-2015!).
Non spiegano però perchè danno per scontata la completa e contemporanea “deresponsabilizzazione” dei veri funzionari responsabili, visto che anche loro erano funzionari area C (io C1, loro almeno C4), anche loro in possesso di laurea, solo loro incaricati di posizione organizzativa (che fa presumere conoscenze superiori) e indennizzati per la funzione che avrebbero dovuto svolgere.
La verità da cui tentano di sfuggire sia la dirigente dell’UPD sia gli avvocati Inps è che con l’ulteriore indagine ispettiva l’Istituto viene a conoscenza non dell’erronea istruttoria effettuata dal sottoscritto, già valutata positivamente dallo stesso Istituto in sede di controllo dei Responsabili U.O. come da regolamentazione interna, ma del mancato o erroneo controllo dei Responsabili/Direttori di sede.
Purtroppo il giudice ha rigettato il mio ricorso senza fornire alcuna valutazione sulle motivazioni da me presentate.
Infatti nelle 7 pagine dell’ordinanza di rigetto del 31/5/2019 anche il giudice sottovaluta il ruolo dei responsabili e il fatto che tutte le pratiche riportavano la loro attestazione di regolarità.
In particolare a pag. 6 e nei primi due capoversi di pag. 7 il giudice affronta la sussistenza o meno delle irregolarità dando per scontato che sussistono.
Infatti, dopo aver esposto molto sinteticamente i rilievi del sottoscritto (senza riportare, e lo sottolineo di nuovo, che tutte le pratiche erano state già sottoposte a controllo positivo da parte dei responsabili, come da normativa Inps), il giudice afferma “Tuttavia l’Inps ha rappresentato come le negligenze contestate abbiano concretato una violazione della normativa vigente che il ricorrente non poteva non conoscere…
Ma se questo vale per me, signor Presidente, non dovrebbe valere a maggior ragione per i responsabili?
E perchè da per scontata “la violazione della normativa vigente”?
Perchè non fa una sua valutazione in merito alle argomentazioni da me esposte spiegando perchè non sono valide e da prendere in considerazione?
Di seguito il giudice parla genericamente di responsabilità della “qualità della prestazione lavorativa” da parte dell’addetto alle pratiche di riscatto e afferma che tale prestazione non è stata correttamente espletata ma senza dire perchè, configurandosi come “sicura e grave violazione di quel rapporto di fiducia sotteso al rapporto di lavoro”.
Subito dopo però il giudice, giustificando il fatto che per la complessità della struttura Inps (che però, come eccepito più volte in tutti gli atti del procedimento, non può essere invocata nel mio caso perchè i controlli erano ben regolamentati e assiduamente esercitati) “i responsabili dell’ufficio non potessero concretamente controllare tutte le pratiche, con annessa documentazione, lavorate da ciascun dipendente dell’ufficio …..” (ma le tre relazioni ispettive, nella parte relativa ai controlli, smentiscono il giudice), parla di approvazione delle pratiche necessariamente basata “sulla fiducia riposta nell’operato del dipendente”.
Ma in realtà, come ben affermato anche dalla sentenza della Cassazione n. 10069 del 17/5/2016 più volte citata dagli stessi avvocati Inps, “il carattere fiduciario del rapporto di lavoro subordinato… implica che il datore di lavoro normalmente conti sulla correttezza del proprio dipendente, ossia che faccia affidamento sul fatto che egli rispetti i propri doveri…”.
E’ evidente che “il rapporto di fiducia sotteso al rapporto di lavoro” prima indicato dal giudice riguarda il rapporto tra datore di lavoro (Inps, soggetto giuridico di diritto pubblico) e dipendente (cioè operatore/responsabile/direttore) e non quello tra due dipendenti, cioè operatore/istruttore e responsabile d’ufficio/direttore.
Il funzionario responsabile, a cui sono affidati compiti di controllo dell’attività dei dipendenti che lavorano nell’ufficio che presiede, non può esercitarli “sulla fiducia” ma deve esercitarli effettivamente proprio perchè “il datore di lavoro normalmente conti sulla correttezza del proprio dipendente, ossia che faccia affidamento sul fatto che egli rispetti i propri doveri…”.
Ne consegue che per 44 pratiche di rendita vitalizia che il datore di lavoro Inps ritiene irregolari si è rotto il rapporto di fiducia non con l’operatore, a cui l’Istituto ha già riconosciuto per anni, mese per mese, la correttezza e regolarità della sua prestazione lavorativa, ma tra l’Istituto e responsabili/direttori di sede che hanno omesso il controllo loro affidato o che lo hanno esercitato irregolarmente.
Non posso accettare la successiva affermazione del giudice secondo cui “L’astratta responsabilità dei firmatari degli atti fa, comunque, salvi gli ulteriori provvedimenti che l’Inps ritenesse di dover adottare nei loro confronti”, in quanto il giudice non può non sapere che, dalla documentazione prodotta in giudizio dall’Inps (e che sarà oggetto di una prossima lettera aperta), l’Istituto non ha nessuna intenzione di procedere disciplinarmente contro i responsabili, e che per due di loro, nei confronti dei quali ha aperto un procedimento disciplinare, lo ha poi archiviato con motivazioni, a mio avviso, a dir poco discutibili.
Signor Presidente, già da queste prime quattro lettere che mi sono permesso di inviarLe, tramite l’unica organizzazione sindacale, il S.I.COBAS, che ha deciso di vederci chiaro, è evidente il tentativo dell’Istituto e della sua dirigenza di trasformarmi in capro espiatorio salvando tutti gli altri, dai funzionari responsabili degli uffici competenti fino alla dirigenza stessa.
Vista l’evidenza dei fatti, Le chiedo non più una Sua autorevole opinione ma un immediato, deciso e risolutore intervento per ripristinare la legalità e ridare al sottoscritto la dignità di lavoratore pubblico.
E’ ormai dall’aprile scorso che mi ritrovo senza busta paga e relativo stipendio, pertanto io e la mia famiglia non possiamo più permetterci di aspettare.
In mancanza di Suo cortese sollecito riscontro mi riterrò libero di rivolgermi altrove e di intraprendere, insieme al S.I.COBAS, tutte quelle iniziative che riterrò necessarie per difendere i miei diritti e la mia dignità.
Nell’attesa porgo cordiali saluti.
Roma, 9 luglio 2019
Mauro Gennari