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[PUBBLICOIMPIEGO] Poste: il solo rischio accettabile è = 0

Il solo rischio accettabile è = 0

Le poste, ma soprattutto i postali, convivono con l’amianto sin dalla notte dei tempi; a partire dai grandi centri di movimentazione tipo Milano Ferrovia, passando per i “nuovi” cpd di Recapito tipo MI Baggio, e chissà quanti altri.

In varie forme e tipologie: spruzzato sulla struttura (cd a matrice friabile) come isolante, o conglo merato con cemento per contro-soffitti, manufatti per riscaldamento o idrici, divisori, pannelli di riempimento, o avvolto su tubature e condotte di vario tipo, la sua presenza è stata costante.

Mimetizzato, dimenticato, “confinato” o, più semplicemente, negato, è sempre stato presente, sornione, silente, e mortale.

La linea di demarcazione tra l’uso a piene mani e il suo divieto risale al 1992, da allora molto amianto è passato sotto i ponti ma per tante ragioni non ha ancora finito di scorrere.

L’amianto c’è ancora intorno a noi, anzi, considerato quanto sta accadendo al CMP di Peschiera, c’è persino in posti insospettabili, dichiarati salubri, non toccati da questa peste.

Come è noto a Peschiera la notizia si è diffusa nelle scorse settimane, con sorpresa dei lavoratori, con la comparsa di cartelli apposti in alcuni luoghi del
centro che ne dichiarano la presenza.

Sorpresa, perchè Poste non ha dato nessuna comunicazione di merito al momento del “ritrovamento” (avvenuto a quanto è dato di capire ad opera di una ditta esterna che faceva manutenzione nel centro a dicembre) ma solo nei giorni scorsi con una comunicazione agli RLS locali nella quale scrivono che “gli esami di laboratorio escludono la presenza di fibre di matrice asbestosa” e stanno aggiornando il documento di valutazione rischi.

Quindi Poste, per decenni, ha fatto convivere migliaia di lavoratori con l’amianto, localizzato in zone soggette a danneggiamento dei manufatti che lo contengono, ma prima di comunicarlo ai lavoratori si premunisce facendo svolgere esami di laboratorio (a chi?) e ritiene di aver risolto il tutto con quattro cartelli ed un aggiornamento della documentazione.

Non c’è che dire, sembra proprio che ci sia del metodo in questa esibizione di arroganza fuori luogo.

I vari dirigenti che si sono succeduti nel centro, i vari responsabili della sicurezza, i vari capi e capetti individuati dalla normativa sulla salute/sicurezza come referenti a vario titolo e variamente responsabili, che hanno omesso di valutare la presenza di amianto, e tutte le azioni conseguenti, possono stare tranquilli, perché gli attuali responsabili hanno già risolto il problema in un batter di ciglia e senza farla tanto lunga, la produzione può continuare e gli obiettivi praticati.

Con questo possono dormire sonni tranquilli anche i lavoratori, c’è chi pensa per loro, si occupino piuttosto della rincorsa ai premi che tutto è risolto.

Ma veramente è così?

Veramente, da una parte i presunti esami di laboratorio, dall’altra la modifica dei documenti, hanno già risolto il problema?

Banalmente: ammesso e non concesso che i rilievi siano oggi negativi, chi può sostenere che lo fossero due, tre, quindici, venti…. anni fa?

Se qualche disgraziato si fosse ammalato nel frattempo sarebbe colpa del destino? della sfiga? o di Poste, nelle varie forme di ragione sociale succedutesi, e dei vari responsabili a seguire?

Non sapevano, come sempre dichiarano i padroni e i loro subalterni quando sono chiamati in tribunale a rispondere di decine di morti?

Loro non sapevano fino a ieri ma il compito di garantire l’assenza di questo rischio di chi è?

Chi deve tutelare la salute dei lavoratori se non il padrone, pubblico o privato che sia?

Altro non c’è da aggiungere.

Al di là di questa considerazione sulla “immunità da non conoscenza”, problema sostanziale certo, ma che costituisce solo una tessera del quadro, vanno presi in considerazione altri aspetti decisamente importanti.

Possiamo riassumere il breve ragionamento in questa formula: “Il solo rischio accettabile è il rischio zero”.

E’ questo l’assioma alla base delle lotte che sono state condotte sin dagli anni ‘70 in varie fabbriche, lotte che si sono condensate, tra l’altro, nella nascita di Medicina Democratica, e che hanno portato a contestare tesi quali la tollerabilità del rischio al di sotto di una determinata soglia percentuale o di unità, per determinati agenti nocivi, tossici o cancerogeni, tra i quali, appunto l’amianto.

Non è vera la tesi che si può respirare un po’ di amianto purché sia nei limiti che la scienza sostiene e che i padroni rivendicano, l’amianto-asbesto è cancerogeno a qualsiasi concentrazione, ovvio che se il tuo lavoro è quello di spalare montagne di polvere d’amianto per produrre eternit hai un rischio maggiore del postale che a Linate oggi lavora in ambienti in cui è presente ufficialmente l’amianto seppur (stando alle dichiarazioni aziendali) in misura adeguata alla normativa, cioè inferiore ad una certa soglia.

Ma il rischio c’è ed è reale, perché, per questo tipo di agenti non c’è limite di tollerabilità, il solo rischio accettabile è quello pari a zero, come appunto dicevamo.

Ma la scienza dice invece che il limite è accettabile, non crediamo alla scienza? No, quando la scienza serve da supporto agli interessi padronali di profitto: la scienza e la tecnica applicata ai processi produttivi non sono neutri, sono di parte, dalla parte del più forte.

Ma cosa ne sappiamo noi lavoratori della scienza e della tecnica?

Tanto o poco che ne sappiamo di certo dobbiamo evitare di delegare chiunque: scienziato, tecnico, ASL, incaricato aziendale, ma anche sindacalisti, rsu-rls venduti, per decidere della nostra vita e della nostra salute, ripetiamo: il solo rischio accettabile è quello zero.

Ma la norma dice che va bene anche un piccolo rischio purché si attuino determinate precauzioni: l’amianto si può controllare, monitorare, confinare; i
lavoratori devono essere informati della sua presenza e collocazione, deve essere loro vietato il danneggiamento dei supporti che lo contengono pena sanzioni pesanti.

Naturalmente la norma segue i dettami della scienza, almeno quando gli interessi coincidono; la tecnica li applica, ci vuol molto a capire che qualche pannello di cartongesso che “isoli” l’amianto (vedi Linate) è più consono agli interessi di Poste Italiane spa che una rimozione fatta a regola d’arte, con tutti i crismi, compresa l’assenza dei dipendenti sul luogo di lavoro?

Quando poi, come nel caso di Linate, le coperture dovessero essere danneggiate, crepate, attraversate da tubi, producano “polvere” di chi sa quale tipo, non avrà importanza, l’amianto risulterà confinato, i cartelli lo segnaleranno, quindi non ci sarà problema per Poste e ASL, ma per per i lavoratori?

Siamo arrivati a due punti centrali, infatti se per quanto riguarda il ruolo dell’ASL non si può che rimandare a quanto detto sopra per normativa e tecnologia, per
l’applicazione della norma, le pratiche di rilevamento (durata, copertura dei luoghi, condizioni ambientali, movimentazione o meno di materiali ecc), l’accuratezza dei sopralluoghi, l’autonomia sostanziale di funzionari e tecnici ASL (nessuno di coloro che si sono succeduti nel centro si è interrogato su quei pannelli che oggi a Peschiera sono dichiarati come composti da amianto, per la semplice ragione che la loro attività, paradossalmente – ma la legge questo prescrive – si basa sulla valutazione dei rischi che Poste fornisce loro, quindi come nel nostro caso, se Poste non “sa”, Poste non dichiara e i tecnici ASL verbalizzano come tutto ok), qualche dubbio bisogna porselo e in questo interviene il punto centrale da affrontare: il ruolo dei lavoratori.

Il ruolo dei lavoratori-il rifiuto della delega

Abbiamo già detto che uno dei principi fondamentali per la tutela dei propri interessi è il rifiuto della delega a tecnici, funzionari, incaricati, sindacati ecc, nessuno può difendere meglio la propria salute/sicurezza che i lavoratori stessi. Interrogarsi sull’ambiente in cui si lavora quotidianamente è la prima regola, ve-
rificare le situazioni critiche è fondamentale.

Leggere su un cartello messo da Poste che c’è l’amianto deve smuovere il cervello del postale a chiedersi cosa comporta?

Sono al sicuro?

Rischio di ammalarmi?

Perché se c’è non viene levato?

È vero che non fa male?

Posso fidarmi di quel che dicono le poste o chi per lei?

O dei sindacati?

L’esperienza ci dice che questo raramente accade.

Il più delle volte ragioni esterne alla salute, come l’interesse a rimanere in un luogo per l’orario di lavoro, la vicinanza dell’abitazione, la tipologia di lavoro e, non ultimo, l’interesse economico, cioè la monetizzazione del rischio, fanno fare spallucce, e tirare avanti, sperando che il guaio non capiti a me ma, se statisticamente deve accadere, che capiti a qualcun altro.

In questa ultimo paragrafo è condensata “l’ideologia del postale medio”, portatore di una soggettività miserevole, che preferisce non sapere (come le poste, ma lì era ben più efficace questa ignoranza, ricordate?) piuttosto che prendere una posizione che difenda realmente gli interessi, non del singolo meschino postale, ma almeno di tutta la categoria, se non proprio della classe di appartenenza.

Sarà questa la volta buona?

I lavoratori di Peschiera e Linate riusciranno ad alzare la testa e rivendicare il diritto alla salute sul luogo di lavoro, senza se e senza ma, senza limiti di sorta, senza confinamenti, pratiche di mantenimento, ed altre prese per i fondelli?

Ripetiamo: per l’amianto il solo rischio accettabile è quello quello = 0.

S.I. Cobas Poste