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[INTERNAZIONALISMO] Libia: guerra per procura. Siriani contro siriani: Turchia, Russia e mercenari

Questa crisi sanitaria e sociale, che sta provocando i primi scioperi spontanei nelle fabbriche dopo decenni, e diviene ora anche crisi economica e finanziaria, mette alla prova i sistemi capitalistici, in Italia e nel mondo intero, e scuote le coscienze in settori della nostra classe cui si chiede di lavorare comunque, anche in assenza delle condizioni di sicurezza che vengono invece imposte al resto della popolazione.

Per la prima volta da decenni assistiamo a scioperi spontanei nelle fabbriche.

Anche nella lotta per ambienti di lavoro sicuri e adeguati dispositivi di protezione individuale, e nelle difficoltà di coloro che sono lasciati a casa con un futuro incerto, deve crescere la coscienza della necessità di lottare per superare questa società divisa in classi.

Contro le ideologie da “unità nazionale” tra sfruttati e sfruttatori.

Il virus globalizzato mette inoltre in chiaro l’inconsistenza delle prospettive di autonomie locali/localistiche, e delle scorciatoie “sovraniste”.

L’unica strada è quella internazionalista, dell’unione tra i proletari di tutto il mondo.

S.I. Cobas


Libia: guerra per procura

Mentre l’attenzione internazionale è concentrata sulla pandemia di coronavirus, continua il sanguinoso conflitto in Libia.

Un conflitto tra i due principali contendenti interni, il generale Khalifa Haftar, a capo dell’Esercito Nazionale Libico (LNA) che ha la sua roccaforte a Tobruk nella Cirenaica, e il capo del governo di Tripoli riconosciuto nel 2015 dall’Onu, Al Serraj.

Conflitto esasperato dalla presenza di molteplici e feroci raggruppamenti armati spesso su base tribale e alleati di volta in volta a uno dei due principale attori, in base ad interessi spesso contingenti, dal contrabbando di petrolio, al traffico di immigrati, etc.

I numerosi attori esterni sono divisi nel sostegno a uno dei due contendenti e, mentre a parole auspicano la fine della guerra e l’avvio di processo politico di pace, nella realtà contribuiscono alla continuazione e complicazione dello scontro armato, rifornendo di armi, fondi, mercenari l’una o l’altra parte.

Si teme che la situazione in Libia divenga sempre più quella di “una seconda Siria”.

Le potenze regionali che intervengono in appoggio del governo di Unità Nazionale sono Turchia e Qatar.

Dopo il 2014, Turchia e Qatar hanno ridimensionato il proprio intervento, constatando l’impopolarità tra la popolazione libica dei loro proxy islamisti, ma soprattutto a seguito dell’emergente consenso a livello internazionale al processo politico sostenuto dall’ONU (l’istituzione del Governo di Unità Nazionale di Serraj).

Le potenze regionali schierate dalla parte di Haftar sono Egitto, Giordania, Arabia Saudita, Sudan ed Emirati Arabi Uniti (EAU), sostenuti questi ultimi dalla Francia, che formalmente riconosce invece il governo di Unità Nazionale di Serraj, e “ignorati” dagli Stati Uniti, preoccupati soprattutto per il crescente ruolo della Russia.

Ad inizio luglio 2019, gli USA, che pure ufficialmente riconoscono il governo Serraj, bloccarono una risoluzione ONU, proposta dalla GB, di condanna dei bombardamenti di Haftar su un centro di migranti, in cui ne vennero uccisi almeno 40.

La Russia riconosce il governo di Fayez al-Sarraj, ma da quando nel gennaio 2017 ha firmato un accordo di cooperazione militare con il generale Khalifa Haftar, per l’installazione di una base militare in Libia, il suo supporto all’Esercito nazionale libico di Haftar è andato crescendo, assieme a quello di Egitto ed Emirati Arabi Uniti.

La Russia non ha mai inviato truppe regolari, ma in Libia sono giunti 2000
contractors della compagnia militare privata Wagner (sostenuta dal Cremlino) che alle milizie di Haftar fornisce supporto militare e mezzi, di cui assicura la manutenzione.

L’intesa con Haftar serve a Mosca ad ampliare la propria l’influenza nel Mediterraneo e in Africa, e ad ottenere in Cirenaica concessioni energetiche, assieme alla possibilità di utilizzare il porto di Tobruk come base per la sua flotta, aggiungendo una seconda base nel Mediterraneo dopo quella di Tartus, in Siria.

Dunque le grandi potenze Russia e Francia tengono esplicitamente il piede in due staffe, ma anche le altre potenze, a cominciare dagli USA, non disdegnano di perseguire equilibrismi tattici per non rafforzare eccessivamente uno dei due contendenti libici, e in questo modo minare la propria influenza diretta nella partita.

Gli Emirati Arabi Uniti

Gli EAU sono considerati dagli esperti uno dei principali sostenitori di Haftar, la cui forza si basa principalmente sul loro appoggio militare, e sulla loro di influenza diplomatica, e gli garantisce l’impunità internazionale.

Nel 2017, mentre era in corso il confronto politico internazionale per porre fine al conflitto, Abu Dhabi stabilì una propria base aerea nell’Est Libia.

Questa base ha permesso ad Haftar di espandersi territorialmente in ampie aree, mentre gli Emirati gli fornivano copertura aerea.

Gli EAU hanno via via fornito sistemi d’arma avanzati, dai droni cinesi Wing Loong II, al sistema di difesa aerea avanzata russo Pantsir S-1, oltre ad aerei, veicoli militari, combustibile per i caccia.

I bombardamenti con i droni effettuati dagli Emirati hanno provocato decine di vittime e enormi danni materiali, costi pagato per la maggior parte dalla popolazione civile libica.

Gli Emirati puntano su Haftar per istituire in Libia un regime autoritario bandendo qualsiasi forma di islam politico, in contrapposizione a Qatar e Turchia, i quali preferirebbero che gli islamisti (Fratellanza Musulmana) detenessero una quota di potere.

(Similmente nel 2013, gli Emirati avevano finanziato e sostenuto politicamente in Egitto il colpo di stato contro Morsi per disfarsi della Fratellanza Musulmana.)

Dal 4 aprile 2019 si calcola che gli Emirati abbiano lanciato a sostegno di Haftar oltre 850 attacchi con droni e caccia.

Da gennaio 2020, (dati open source), ci sarebbero stati oltre 100 trasporti aerei di armamenti dagli Emirati alla Libia orientale e all’Egitto.

Tramite Mohamed Hamdan Dagalo, il capo delle famigerate milizie sudanesi Rapid Support Forces (gli ex Janjaweed dei massacri nel Darfur) gli EAU hanno fatto giungere 3000 mercenari sudanesi, e fornito, a sostegno dello sforzo bellico di Haftar.

Mentre le potenze cercavano di raggiungere una “soluzione politica”, si rafforzava per converso l’influenza degli Emirati, la cui attività non è stata frenata né dall’Onu, né dalle grandi potenze Usa e Francia loro alleate.

Attualmente pare che sia diminuito il consenso popolare agli obiettivi ideologici propugnati dagli Emirati (no all’islam politico).

Molti libici, delusi dal caos del dopo-rivoluzione, preferirebbero un leader forte capace di portare un’apparenza di stabilità e sicurezza.

La forza reale dello stesso Haftar è inoltre alquanto dubbia.

Senza il sostegno di Emirati ed Egitto Haftar non avrebbe potuto conseguire le vittorie di Pirro a Bengasi e Derna.

Consapevoli del declinante ruolo Usa in Medio Oriente e Nord Africa, gli Emirati hanno sfruttato l’incapacità dei paesi europei di proiettare collettivamente la propria influenza.

Il principale alleato europeo degli Emirati in Libia è la Francia, con cui essi condividono già accordi di sicurezza bilaterali.

Come tutti i membri permanenti ONU la Francia ufficialmente riconosce il governo di Unità Nazionale di Serraj, ma dal 2015 sostiene nascostamente il despota Haftar (come d’altra parte fa con despoti di altri paesi africani per la sicurezza del Sahel.)

La recente scoperta di suoi quattro missili anticarro Javelin di fabbricazione americana) trovati nella base militare dell’LNA a Gheryan, sui monti a sud di Tripoli, ha svelato ufficialmente l’appoggio di Parigi ad Haftar.

A Gheryan oltre ai missili sono stati trovati anche bombe cinesi con un marchio degli Emirati.

L’elezione di Macron alla presidenza francese (2017) ha fornito agli Emirati una copertura diplomatica e politica fondamentale.

L’appoggio francese ha permesso ad Haftar di far pesare politicamente il suo
controllo dell’Est del paese e di buona parte delle infrastrutture petrolifere.

E viceversa ha legittimato l’iniziativa di Macron di un incontro a Parigi tra Haftar e Serraj, a seguito del quale è uscito una ipotesi di condivisione del potere, avallata formalmente a livello internazionale, ma vuota di contenuto reale, dato che le due parti libiche contrapposte non lo auspicano.

Le conferenze sulla Libia organizzate a turno dalle potenze europee (Roma, Parigi, Berlino,) sono state seguite in genere seguite dal tentativo di Haftar di guadagnare terreno con nuove operazioni militari, da far contare in eventuali trattative.

Nel febbraio 2019, poco dopo un’operazione militare appoggiata dalla Francia, Haftar conquistò la regione sudoccidentale del Fezzan e prese il pieno controllo delle infrastrutture petrolifere.

Gli Emirati organizzarono un suo incontro con Serraj in cui venne raggiunto un accordo per una fase di transizione, accordo rinnegato in aprile da Haftar attaccando Tripoli, mentre gli Emirati usavano i droni in suo appoggio.

L’attacco a Tripoli provocò la morte di almeno 1000 persone e decine di migliaia di profughi.

A fine aprile 2020 Haftar ha dichiarato “conclusi gli accordi Onu di Skhirat del 2015”, (che avevano determinato la costituzione del Governo di Accordo Nazionale di Tripoli.) annunciando: «Il nostro esercito guiderà l’intera Libia, accettiamo il mandato del popolo, che ce lo ha chiesto», una specie di Golpe.

Queste dichiarazioni, respinte da Usa, Russia, Italia, Germania, sono state interpretate come segnale di debolezza, dopo 12 mesi di tentativi di prendere la capitale.

Ad inizio maggio Haftar ha di nuovo bombardato Tripoli, e la strada costiera della città di Tajura, e le forze dell’avversario al Serraj hanno lanciato una grossa offensiva con cinquecento mezzi militari, droni turchi e caccia, contro la base di Al Watya, a 140 km a sud-ovest della capitale, occupata dalle forze di Haftar.

Traduzione a cura di GL di materiale tratto da: Foreign Policy, 21.04.2020, (Emadeddin Badi, Consiglio Atlantico); Telegraph, 10.07.2019; Al-Jazeera, 09.01.20 (Ramy Allahoum ) + vari; The Guardian, 24.12.’19, (Jason Burke e Zeinab Mohammed Salih); The Arab weekly, 03.03.’19; Middle Ear Eaye, 09.11.’19 (Daniel Hilton); Agi, 050.05.’20; Defence News, 10.07.’19; Repubblica, 28.04.’20 (Vincenzo Nigro); Anadolou, 07.05.’20 (Walid Abdullah)


IN LIBIA SIRIANI CONTRO SIRIANI

Turchia e Russia stanno usando mercenari disperati dell’ultima guerra per combattere nella successiva.

di Anchal Vohra – traduzione GL

Mohammad Abu al-Saar (nome fittizio), meccanico di un’officina di riparazioni auto a Homs, Siria, nell’aprile 2012 venne arrestato e torturato dal regime, come migliaia di altri manifestanti, in una delle sue prigioni sotterranee.

Quando venne rilasciato, si procurò un’arma per vendicarsi, proteggere la sua città e inaugurare una nuova era di libertà politica.

Nel 2014, quando Bashar al-Assad perse Homs, Saar si trasferì con la sua famiglia ad Aleppo, in mano ai ribelli; per guadagnarsi da vivere aderì, pur essendo arabo, alla Divisione Sultan Murad, un gruppo ribelle composto principalmente da turkmeni siriani addestrati e finanziati dalla Turchia.

Nel 2018, fu tra i ribelli assoldati dalla Turchia per cacciare le milizie curde e centinaia di migliaia di civili da Afrin, Nord della Siria.

(La Turchia accusa le milizie curde di condurre attacchi terroristici all’interno della Turchia e di istigare la secessione.)

Ad Afrin, Saar veniva pagato con 450 lire turche, pari a 46 $ al mese.

A seguito delle lunghe privazioni inflitte da una guerra senza fine in Siria, Saar, 38 anni e padre di quattro figli, da ribelle è divenuto mercenario.

Combatte in una guerra altrui, a 1.200 miglia di distanza in Libia, è uno dei ribelli siriani assoldati dalla Turchia per combattere a fianco delle forze del governo di accordo nazionale (GNA).

In Libia, è pagato molto di più che in Siria, 2000$ al mese.

Dice: “In quattro mesi in Libia, ho guadagnato più di tutti gli anni di combattimenti in Siria”.

La Turchia non ha fornito solo mercenari al GNA ma anche droni e sistemi di difesa aerea.

Il GNA è una delle parti in lotta per il potere nel prolungato conflitto libico, iniziato con una rivolta contro Muammar al-Gheddafi nel 2011, poi divenuta una lotta per i redditizi affari nel petrolifero e per l’influenza regionale.

Il GNA è riconosciuto dalle Nazioni Unite ed è sostenuto dai Fratelli Musulmani, un gruppo transnazionale che diffonde l’Islam politico sostenuto da potenti alleati come il presidente turco Recep Tayyip Erdogan.

La Turchia, approfittando di questo puntello religioso, si è mossa in aiuto del governo ad interim, contribuendo a capovolgere le sorti della guerra a favore del GNA.

In Siria altri ex ribelli, che avevano patito le stesse privazioni, sono stati finiti nell’orbita dell’altro contendente libico, il generale Khalifa Haftar, il principale rivale del GNA sostenuto da Russia, Emirati Arabi Uniti ed Egitto.

A marzo, anche la Russia ha coinvolto l’alleato siriano Assad per fornire appoggio ad Haftar, e ha iniziato a reclutare mercenari per la Libia.

I ribelli siriani dicono che l’uomo incaricato di guidare questa campagna di reclutamento è stato il colonnello Alexander Zorin (nel 2016, l’inviato del ministero della Difesa russo presso la task force con sede a Ginevra sulla cessazione delle ostilità in Siria).

Zorin è conosciuto in Siria come “il padrino” degli accordi di riconciliazione tra il regime e i ribelli a Ghouta, Daraa e Quneitra.

All’inizio di aprile Zorin si è recato nel Sud della Siria, un’area considerata terreno molto fertile per il reclutamento russo, sia per la dilagante povertà che perché nessuna altra potenza regionale o globale è presente.

Nel luglio 2018, molti ribelli di questa regione, avevano già cambiato fronte a favore di Assad, perché gli Stati Uniti avevano rifiutato di dare aiutarli ulteriormente.

In collaborazione con i funzionari dell’intelligence di Assad, Zorin avrebbe avviato negoziati con alcuni gruppi ribelli per mandarli a combattere in Libia.

Il leader di un gruppo ribelle, che ha combattuto

lo stato islamico a Quneitra nel Sud della Siria, ha incontrato Zorin e ha accettato di andare in Libia con i suoi combattenti.

L’offerta era di 5.000 $ al mese per un comandante e di 1.000 $ per un combattente.

I ribelli sono stati attirati non solo dalla retribuzione ma anche dall’amnistia garantita ai disertori dell’esercito siriano e a coloro contro i quali il regime aveva un procedimento aperto.

Ha accettato l’offerta russa anche il leader di un altro gruppo ribelle nel Sud della Siria, che ha procurato oltre cento giovani da far addestrare dai russi in una base di Homs a metà aprile.

Zorin avrebbe promesso agli ex ribelli che avrebbero potuto ampliare il loro potere e aumentare il numero dei combattenti e avessero mandato almeno 1.000 uomini ciascuno in Libia.

Tuttavia, i comandati di due gruppi di ribelli siriani che avevano accettato l’offerta russa hanno scoperto di essere stati ingannati, credevano di essere stati ingaggiati solo per sorvegliare le installazioni di petrolio nella Libia orientale controllata da Haftar, ma quando giunsero nel loro di addestramento a Homs, scoprirono che avrebbero dovuto combattere e morire per Haftar, e che lo stipendio mensile sarebbe molto più basso, solo circa $ 200.

Così hanno ritirato la loro adesione e chiesto di essere rimandati a casa.

La Russia ha in genere faticato più della Turchia a costruirsi una forza di mercenari siriana da mandare in Libia.

Ma secondo analisti libici ci sono già siriani nella Libia orientale per rafforzare le difese di Haftar.

Mentre i mercenari russi del gruppo Wagner guidavano l’offensiva nel tentativo di Haftar di conquistare Tripoli, erano stati mandati dei siriani a sostenerlo (dice Anas El Gomati, il direttore del primo think tank di politica pubblica di Tripoli) Haftar fa sempre più affidamento su potenze straniere per sostenere la sua campagna.

Haftar ha proclamato una tregua per il Ramadana, ma solo dopo che il suo Libyan National Army aveva perso una serie di città a favore del governo di Accordo Nazionale. Sembra stia cercando di guadagnare tempo per radunare le sue forze di terra e convincere la Russia a contrastare la potenza militare.

La Russia finge ancora di essere equidistante da tutte le parti libiche.

Ma se decide di accrescere il proprio intervento, avrà, come Ankara, molti siriani disperati tra cui scegliere come reclute potenziali.

Traduzione di GL, da FOREIGN POLICY, 5 maggio 2020, Anchal Vohra – corrispondente indipendente per Al Jazeera, scrive regolarmente per Foreign Policy