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[TURCHIA] L’attacco di Erdogan, la risposta delle donne: la loro lotta è la nostra lotta

Non abbiamo mai fatto affidamento sulle leggi che sanzionano o puniscono la violenza sulle donne, certe che essa non dipenda dalla mancanza di norme, ma dal patriarcalismo tanto utile  agli stati borghesi per garantire l’ordine in famiglia e nella società. 

Il governo turco si è ritirato ieri dalla “Convenzione di Istanbul”, di cui era stato il primo firmatario nel 2011, un trattato che vincola gli stati europei ad adottare misure legislative e di prevenzione adatte a contrastare la violenza sulle donne, a limitare I matrimoni forzati di ragazze minorenni (483.000 fra il 2009 e il 2018 in Turchia), a contrastare lo stupro, l’aborto forzato, la sterilizzazione forzata, le molestie sessuali il “delitto d’onore” e il matrimonio riparatore. Un gesto chiaro, politico, che mostra una direzione di marcia ben precisa: l’intenzione di passare sotto il rullo compressore, senza ostacoli di alcun genere, sui corpi e sui diritti delle donne turche. D’altra parte l’adesione formale alla Convenzione non è stata in questi anni in Turchia un deterrent  nei confronti della violenza personale e generalizzata contro le donne. Al contrario, negli ultimi anni le violenze in Turchia sono aumentate; nel solo ultimo anno oltre 300 donne sono state ammazzate, un numero [quello ufficiale] molto inferiore al reale, visto il gran numero di suicidi sospetti (171). Il 42% delle donne adulte dichiara di aver subito violenza da parte del partner almeno una volta nella vita.

Il ritiro dalla Convenzione è motivato dagli argomenti cari all’oscurantismo internazionale: la denuncia della violenza sarebbe un attentato all’unità familiare e un incentivo al divorzio, la non discriminazione verso le persone LGBTQ un incentivo all’omosessualità. A ciò si aggiunge la rivendicazione dei matrimoni combinati delle bambine e la propaganda che chiede pene severe alle donne che non fanno abbastanza figli, definendo le madri che lavorano “donne a metà”. Motivazioni condite in salsa islamica in questa parte del pianeta, ma identiche a quelle che proibiscono l’aborto negli Usa (vedi il caso dell’Arkansas, che non resterà un caso isolato negli Usa), in Polonia e in gran parte dell’America Latina, e che lo rendono inapplicabile da noi con il dilagare dell’obiezione di coscienza.

Inoltre, l’attacco generalizzato non è solo alle conquiste o ai diritti. L’attacco è contro il diritto di manifestare, le donne che intendono farlo si devono sentire minacciate. Pochi giorni fa a Londra una manifestazione pacifica in memoria di Sarah Everard, rapita e uccisa da un poliziotto, è stata repressa dalla polizia, con arresti, denunce e pestaggi. Lunedì prossimo a Napoli un presidio denuncerà l’ennesimo brutale femminicidio. In tempi di crisi, l’attacco alle donne si fa particolarmente violento e esteso a livello internazionale. Dovranno accettare di portare il peso della crisi sociale e sanitaria. La loro volontà deve essere spezzata.

Le donne turche stanno lottando da anni per evitare di essere ricondotte al ruolo di schiave domestiche.

La loro lotta è la nostra lotta!

Comitato 23 settembre

comitato23settembre@gmail.com