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[CONTRIBUTO] Un piccolo dossier sulla repressione statale, e un rinnovato appello alla mobilitazione unitaria – TIR

Un piccolo dossier sulla repressione statale,

e un rinnovato appello alla mobilitazione unitaria

TIR

Piacenza, 13 marzo

Sarà un caso, ma non ci sembra proprio.

Fatto sta che dall’avvento del governo Draghi si stanno accumulando, giorno dopo giorno, una serie di operazioni repressive di stato, con protagonisti polizia e magistratura, o stanno venendo a maturazione operazioni repressive avviate sotto i precedenti governi. In testa a tutto c’è l’attacco al SI Cobas e ai combattivi proletari immigrati della logistica di Piacenza (qualche mese fa era stata la volta di quelli di Modena, contro cui sono stati messi in piedi molti processi e un maxi-processo – solo nella città di Modena pende la spada della “giustizia” di classe su 400 lavoratori di Alcar 1, Gls, Emilceramica, Bellentani, GM Carrozzeria e Cataforesi, Opera Group, Ups, Pamm, Italcarni, Emiliana Serbatoi, Gigi Salumificio); a seguire, il movimento No Tav, colpito di nuovo qualche ora fa con 13 provvedimenti restrittivi; quindi le perquisizioni della digos ai militanti del Collettivo autonomo lavoratori portuali di Genova; mentre si avvicina il processo per 45 anti-militaristi attivi contro le basi della Nato in Sardegna, quella Sardegna che detiene il non invidiabile primato di avere sul suo territorio il 60% della basi militari esistenti in Italia; e non passa un’occasione che sia una, senza che a Napoli il movimento dei disoccupati 7 novembre venga colpito da avvisi di reato e contestazioni che arrivano al ridicolo di chiamare in causa perfino l’uso di fumogeni (ma ci sono imputazioni ben più gravi). Per non parlare delle bastonate a freddo, intimidatorie e studiate, contro gli operai della Texprint a Prato, in sciopero per cancellare gli aberranti orari di lavoro 12 per 7. In momenti appena di poco precedenti abbiamo segnalato e denunciato le condanne in appello contro le compagne e i compagni anarchici del Trentino coinvolti nell’”operazione Renata”, e le perquisizioni a Trieste contro compagni solidali con i richiedenti asilo.

Il tutto nell’arco di un mese o poco più. E di sicuro dimentichiamo qualcosa (l’azione contro i No Tap, tanto per dire).

Il clima si sta facendo pesante. E solo chi vive fuori dal mondo può sottovalutare il ricatto brutale consistente nel revocare il permesso di soggiorno a proletari immigrati che potrebbero rischiare, da un momento all’altro, il rimpatrio in paesi in cui, se entri in galera, vieni inghiottito da un buco nero e puoi uscirne, spesso, solo da cadavere. Noi che siamo materialmente interni alle lotte della logistica, e ci sentiamo vicini ai movimenti di lotta e ai militanti colpiti anche quando ci dividono da loro riferimenti teorici e prospettive politiche, riteniamo sia oggi compito politico primario dei comunisti, e più in generale dei militanti anti-capitalisti degni di questo nome, denunciare questo processo repressivo nel suo insieme, e attivare contro di esso una risposta il più possibile unitaria, perché se si proseguirà con il dare risposte frammentarie e sostanzialmente locali, si finirà per consegnarsi pressoché inermi all’azione sempre più coordinata degli apparati repressivi dello stato.

Abbiamo costruito questo (incompleto) “dossier repressione” proprio per mettere in luce l’unitarietà dell’attacco statale e padronale, mentre, ancora, con la sola parziale eccezione della manifestazione di Piacenza organizzata dal SI Cobas, ci si continua ad attardare stancamente in risposte parziali e locali. Il dossier è incompleto anche perché non si occupa dell’altra faccia della repressione, non meno pesante, che è quella compiuta direttamente dai singoli padroni o dalle singole aziende. Si è fatto un assordante battage sul “blocco dei licenziamenti”, fiore all’occhiello dei dirigenti di Cgil-Cisl-Uil: sennonché ci si è dimenticati degli 800.000 precari lasciati a casa nel 2020, e dell’incremento dei licenziamenti disciplinari (+21% nel solo terzo trimestre del 2020 – pari a circa 40.000), che spesso sono attuati contro i lavoratori più “scomodi”, cioè più attivi.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/03/21/vietato-licenziare-pero-si-licenzia-i-disciplinari-21/6140467/

I materiali che compongono questo piccolo dossier non sono scritti da noi, e contengono quasi sempre una, o più di una, aperture di credito verso le istituzioni democratiche, o parti di esse, che noi non condividiamo in alcun modo, dal momento che le consideriamo al servizio integrale della classe sfruttatrice, sia nei loro apparati militari, repressivi e di controllo, sia nei loro apparati di indottrinamento e produzione del consenso. In certi casi incontriamo delle vere e proprie, stridenti stonature, come nel caso del comunicato concernente il CALP di Genova che si chiude con una citazione del papa in materia di anti-militarismo, proprio all’indomani di un viaggio papale in Iraq dai toni neo-crociati, concentrato sulla demonizzazione del jihadismo islamista, e quanto mai reticente sull’incancellabile crimine imperialista della doppia devastazione dell’Iraq e del suo smembramento su basi etnico-religiose, compiuti anche in nome del dio cattolico-cristiano e, comunque, dell’Occidente “cristiano”. Di esempi del genere ne potremmo fare molti, per quel che concerne l’attitudine da avere nei confronti delle istituzioni democratiche. Ma ciò non toglie che siamo perché si difendano oggi e domani, con le unghie e con i denti, i diritti democratici conquistati dal proletariato e dalle classi sfruttate nel corso delle rivoluzioni borghesi, e poi di continuo difesi a più riprese strenuamente, anche a prezzo del sangue, dalla tendenza storica della classe capitalistica, anche nei paesi imperialisti, a restringere e, quando necessario, sopprimere la democrazia, e con essa i diritti democratici dei lavoratori e degli oppressi.

Sarà, ma questo addensarsi in un breve arco di tempo di operazioni repressive sempre più pesanti e direttamente rivolte contro decine e centinaia di proletari e di militanti, non ci sembra un caso. Forse non siamo ancora arrivati, come ipotizza G. Iozzoli nel suo scritto, alla provocatoria costruzione di un’imputazione di “associazione a delinquere” per il SI Cobas. Ma è giusto denunciare, come lui fa, che in più di un atto della magistratura e della polizia si comincia ad alludere a questo, se è vero che si nega all’organizzazione sindacale più combattiva oggi in campo, capace nell’ultimo decennio di conquistare significativi avanzamenti materiali e normativi per decine di migliaia di lavoratori, proprio la natura di organizzazione sindacale.

Non è un caso, è sicuro, che questa catena di interventi repressivi prenda corpo mentre il governo Draghi, dichiaratamente “euro-atlantico”, e – sia chiaro – più atlantico che euro, è impegnato a corpo morto a sostenere l’offensiva da “guerra fredda” (solo fredda?) che la “progressista” amministrazione Biden ha scatenato contro la Russia del “killer” Putin e la Cina del “genocidio” degli uiguri. Mentre governo, alti corpi dello stato e mass media militarizzati celebrano la dotazione degli F-35 per le “nostre” portaerei, l’avanzamento del programma di un esercito europeo, l’aumento delle spese militari, la presenza italiana nel Sahel e nel Corno d’Africa, il ritrovato protagonismo in Libia (con l’aiuto yankee, pare), l’inasprimento della guerra agli emigranti a tutti i confini dell’Europa – celebrano, cioè, il killeraggio di stato e la produzione di massacri made in Italy e in the West. E mentre generali ed esercito sono magnificati in prima pagina come perno della campagna vaccinale, dopo averli fatto scorazzare in lungo e in largo nelle scuole a decantare i massacri bellici di ieri e “l’ordine e la sicurezza” di oggi. Sono le due facce della stessa medaglia, da spezzare e gettare negli scarti della storia pre-umana.

Sicché ci permettiamo qui di riprendere tal quale, senza modificarne una virgola (solo: al posto di Conte-bis si deve leggere Draghi-1), l’appello che formulammo alcuni mesi fa in occasione del rinvio a giudizio di 120 operaie e operai di Italpizza e militanti SI Cobas a Modena, quando anche la locale Cgil riconobbe che “manifestare per i propri diritti non è reato, e non deve mettere a rischio la libertà dei lavoratori”:

“Se così è, e così è; se la questione sollevata dall’asse padronato/polizia/magistratura a Modena [oggi a Piacenza] è una questione nazionale (almeno!); allora siamo chiamati ad una risposta di lotta (almeno) nazionale. Per denunciare e contrastare questa aggressione, e per riaffermare con forza il diritto di sciopero e di organizzazione sindacale. Per rivendicare con la massima decisione la cancellazione dei decreti Salvini e Minniti che sono una mannaia sul collo dei proletari immigrati/e, e che il governo Conte-bis non intende toccare nella loro sostanza, come si è visto nella squallida vicenda della “sanatoria” che ha escluso la quasi totalità dei braccianti senza permesso di soggiorno. Per mettere all’ordine del giorno il massimo sforzo unitario per favorire la ripresa in grande delle lotte operaie e popolari contro il padronato, il governo Conte-bis e gli apparati della repressione statale, che sempre in questi giorni continuano a colpire i No Tav, i disoccupati organizzati del movimento 7 novembre a Napoli, i richiedenti asilo, gli occupanti di case, i collettivi antimilitaristi e quant’altri.

“Il nostro appello alla mobilitazione va anzitutto alle forze e ai singoli compagni e compagne che si sono uniti nel Patto d’azione per un fronte unico anticapitalista. Ma vuole andare molto al di là di questo ambito: alle lavoratrici e ai lavoratori più combattivi, non importa a quale sindacato siano iscritti; ai tanti e alle tante senza sindacato e senza partito che non accettano più di continuare a subire la violazione sistematica di diritti un tempo acquisiti e della propria stessa dignità; ai giovani nati senza privilegi a cui si prospetta, al di là delle profferte demagogiche alla Draghi, un futuro sempre più scuro; agli attivisti e ai partecipanti ai movimenti ecologisti, femministi, anti-militaristi che cominciano a comprendere che se non ci uniamo, se non fondiamo le diverse spinte di lotta in un solo fronte contro i comuni nemici, non riusciremo a spuntarla su nessun terreno.”

Il massimo sforzo unitario di mobilitazione di piazza – è l’appello che torniamo a rivolgere con forza. A trainarlo saranno, ancora una volta, con la forza e la centralità della loro organizzazione, i proletari del SI Cobas. Ma già dalle prossime iniziative, a cominciare dal 1° maggio, ci auguriamo di vedere in campo un fronte di lotta allargato (non annacquato). Lavoreremo per questo obiettivo. E perché i suoi collegamenti internazionali e internazionalisti non rimangano soltanto virtuali.

23 marzo – Tendenza internazionalista rivoluzionaria

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