Riceviamo dal Comitato 23 settembre e pubblichiamo il contributo qui sotto.
Questa crisi sanitaria e sociale, che sta provocando i primi scioperi spontanei nelle fabbriche dopo decenni, e diviene ora anche crisi economica e finanziaria, mette alla prova i sistemi capitalistici, in Italia e nel mondo intero, e scuote le coscienze in settori della nostra classe cui si chiede di lavorare comunque, anche in assenza delle condizioni di sicurezza che vengono invece imposte al resto della popolazione.
Per la prima volta da decenni assistiamo a scioperi spontanei nelle fabbriche.
Anche nella lotta per ambienti di lavoro sicuri e adeguati dispositivi di protezione individuale, e nelle difficoltà di coloro che sono lasciati a casa con un futuro incerto, deve crescere la coscienza della necessità di lottare per superare questa società divisa in classi.
Contro le ideologie da “unità nazionale” tra sfruttati e sfruttatori.
Il virus globalizzato mette inoltre in chiaro l’inconsistenza delle prospettive di autonomie locali/localistiche, e delle scorciatoie “sovraniste”.
L’unica strada è quella internazionalista, dell’unione tra i proletari di tutto il mondo.
S.I. Cobas
Documentiamo con queste foto l’ennesima coraggiosa lotta dei palestinesi per difendere la propria esistenza contro l’incessante attacco repressivo da parte del governo israeliano che tenta di annientarla definitivamente.
Non bastano la fame, la reclusione, le carceri strapiene, l’apartheid, la colonizzazione incessante, l’educazione all’odio, la falsificazione storica inoculata fin dall’infanzia, non bastano i fili spinati e le bastonate, e i morti di cui si è perso il conto. Lo stato di Israele si dà obiettivi ogni giorno più aggressivi, da “soluzione finale” del “problema”.
Contro questa aggressione le donne palestinesi mettono il loro corpo e la loro maternità al servizio della sopravvivenza del loro popolo, i giovani fanno della resistenza il motivo centrale delle loro vite.
Un popolo di oppresse e di oppressi indomabile, al di là dei compromessi e della corruzione a cui si sono piegati i loro dirigenti e rappresentanti (domati da Israele, dalle satrapie arabe e dalle potenze imperialiste).
Un popolo di oppresse e di oppressi isolato, le cui rivolte sono ormai da lungo tempo snobbate in Occidente, sorpassate prima dal Chiapas, poi dal Rojava, e comunque da ogni ribellione, vera o presunta, che sembri avvicinare i popoli oppressi all’Occidente piuttosto che denunciare gli attacchi dei vecchi e nuovi paesi imperialisti.
Nel frattempo, gli avvenimenti hanno allontanato definitivamente il sogno di tanti palestinesi e la prospettiva dei due popoli /due stati, grazie al procedere incessante dell’occupazione dei territori palestinesi, col beneplacito di tutte le istituzioni mondiali.
Ma, è questo il rovescio della medaglia, si avvicina per noi la prospettiva per cui lottare da anticapitalisti rivoluzionari: che lo stato di Israele, avamposto dell’imperialismo nel mondo arabo, venga attaccato dall’interno dalle proletarie e dai proletari di quel paese, a più riprese colpiti dalla crisi economica e sociale che coinvolge anche Israele, in una lunga marcia di convergenza e di rifiuto di essere complici dell’oppressione che non potrà che ritorcersi anche contro di loro. In questa unità tra oppressi le donne palestinesi e israeliane sono state sempre in prima linea, creando momenti di unità in cui hanno denunciato, anche quando colpite in prima persona, con la morte dei propri figli, i veri responsabili della guerra in atto da 75 anni.
E’ questa prospettiva che va sostenuta, e la cui possibilità di successo è legata all’impegno comune, qui in Italia e in Occidente, a rompere il silenzio e sostenere la lotta delle donne e degli uomini sfruttati di Palestina e di tutto il mondo arabo, bersaglio dell’aggressione mortifera del capitalismo e dell’imperialismo mondiale.