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[ITALIA] Viviamo un tempo drammatico, ma abbiamo esempi straordinari: sulle lotte dei lavoratori Fedex e Ceva in sciopero

VIVIAMO UN TEMPO DRAMMATICO,

MA ABBIAMO ESEMPI STRAORDINARI

Basterebbe questo titolo a descrivere quello che stiamo provando da qualche giorno a Piacenza.

Anzi, ci correggiamo: da qualche mese.

Anzi, ancora no: da qualche anno.

Da qualche giorno i lavoratori e le lavoratrici CEVA stanno bloccando l’impianto di Stradella [nella foto il picchetto dello sciopero di oggi], dove è in corso uno degli attacchi più diretti che fanno da “antipasto” alla grande ristrutturazione produttiva su cui si gioca il “PNRR” governativo.

Non solo “torta da dividere” per la compagine di governo, ma anche e soprattutto il più immane sforzo dell’apparato capitalista degli ultimi 50 anni per risettare le dinamiche di potere e sfruttamento.

Il refrain è sempre lo stesso: superare le “rigidità” (leggesi: diritti) imposti con la lotta dalla forza lavoro con la ristrutturazione della rete infrastrutturale, l’automazione, l’espulsione delle sacche resistenti dal mercato del lavoro e la pacificazione sociale a suggellare il tutto.

CEVA è certo un’avanguardia in questo senso, e la resistenza degli operai e delle operaie (una incinta ricoverata dopo le cariche e i gas lacrimogeni) sono straordinari esempi di strada da seguire per non permettere questo annichilimento, con la loro lotta che prosegue da una settimana incessantemente, mentre a pochi chilometri le operaie e gli operai OVS fermavano analoga provocazione e le lavoratrici della sanità si aprivano finalmente la strada della dignità nella loro azienda.

Ma in queste stesse ore, altri 300 eroi stanno battendosi senza riserve: parliamo degli operai Fedex-TNT, se vogliamo la punta più avanzata della meschinità del capitalismo 4.0, con tutto il suo codazzo di arresti, cariche, denunce, accordi in Prefettura sbugiardati dalla chiusura del magazzino.

E qua davvero sono mesi che si prosegue, scontrandosi anche con guardie private armate assoldate contro gli scioperanti nel silenzio della “democratica” società benpensante.

Ma sono anni, per riaggangiarci al nostro incipit, che questa storia prosegue.

Un ciclo espansivo che ha dato l’esempio al paese, in cui mentre tutti vedevano erodere i propri diritti e i propri salari si riusciva al contrario ad espanderne il campo, ribaltando quella visione e quell’uso colonialisti del soggetto migrante che i partiti della sinistra istituzionale e le loro propaggini di movimento ci avevano lasciato in eredità dai primi anni duemila.

Una storia che è lastricata di gloria, ma anche di dolore, di sofferenza, di aule di tribunale.

L’articolo che linkiamo arricchisce queste brevi considerazioni, noi di certo non retrocederemo di un millimetro:

Meglio morire in piedi che vivere in catene!

S.I. Cobas Piacenza