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[ANALISI] Le catene di approvigionamento “just in time”: debolezze, posti di lavoro creati e legami con la crisi climatica

Le catene di approvigionamento “just in time”,

le loro debolezze, il tipo di posti di lavoro creati

e i loro legami con la crisi climatica [1]

Kim Moody [2]

Uno shock dei prezzi del gas naturale sui mercati globali ha fatto crollare diversi piccoli fornitori di energia nel Regno Unito, lasciando i clienti senza riscaldamento e a subirne l’aumento del prezzo.

Un incendio ha messo fuori servizio l’enorme cavo che porta l’elettricità dalla Francia al Regno Unito, minacciando l’illuminazione delle case e provocando l’aumento delle bollette dell’elettricità.

La nave portacontainer Ever Given [200.000 tonnellate e 400 metri di lunghezza: di proprietà dell’azienda giapponese Shoei Kisen Kaisha, battente bandiera panamense, di proprietà della Evergreen Marine Corporation], che proveniva dalla Malesia ed era diretta a Felixstowe [il più grande porto container del Regno Unito], rimane bloccata per sei giorni nel Canale di Suez [a fine marzo 2021], causando un’interruzione del traffico marittimo per un costo stimato di 730 milioni di sterline e ritardando l’arrivo del gadget elettronico che hai ordinato da Amazon Prime.

Questi incidenti hanno in comune la velocità con cui un singolo evento può interrompere le catene di approvvigionamento in tutto il mondo.

Quasi ogni volta che ordini un articolo online, viene trasportato da una rete di aziende, ferrovie, strade, navi, magazzini e fattorini che insieme formano il sistema circolatorio (just in time) dell’economia globale.

Questa infrastruttura strettamente calibrata è progettata per avere un moto perpetuo.

Non appena un collegamento si interrompe o si blocca, l’impatto sulle odierne catene di approvvigionamento just-in-time si fa sentire immediatamente.

Il Just-in-time è un’idea di Taiichi Ohno, ingegnere della Toyota negli anni ’50, che si ispirò al lavoro di Henry Ford [1863-1947].

Ohno lo ha definito come un modo per eliminare gli “sprechi” – cioè inventario, lavoratori extra e “minuti non utilizzati” – nella produzione e nella movimentazione delle merci. Invece di sprecare tempo, manodopera e denaro per immagazzinare parti lungo la catena di montaggio o immagazzinare le merci (come hanno fatto i produttori per decenni), l’idea di Ohno è che i fornitori possano consegnare queste parti quando sono necessarie.

Ciò farebbe aumentare i profitti riducendo l’importo che le aziende spendono per la manutenzione delle scorte e il pagamento di manodopera aggiuntiva.

Dopo la sua introduzione in Occidente negli anni ’80, il modello just-in-time ha lasciato gradualmente la fabbrica di automobili per coprire tutti i tipi di produzione di beni e servizi.

Ha preso piede in tutte le catene di approvvigionamento fino a quando ad ogni fornitore, grande o piccolo che sia, è stato richiesto di consegnare rapidamente i propri prodotti all’acquirente successivo.

Ciò ha aumentato la concorrenza tra le aziende nella consegna rapida dei prodotti che ha consentito loro di ridurre i costi (di solito il costo del lavoro).

La consegna just-in-time (nel senso di tempo) ha quindi contribuito all’aumento dei lavori a basso salario, spesso più precari, con lavoratori assunti solo quando necessario.

Questa costante pressione sui lavoratori ha alimentato la nostra “cultura” del lavoro 24 ore su 24, 7 giorni su 7 e i problemi di salute mentale che li accompagnano, mentre i tentativi di ridurre il costo del lavoro hanno contribuito alle crescenti disuguaglianze socio-economiche, indipendentemente dal governo in carica.

La consegna rapida dei prodotti si basa sulle infrastrutture.

Dagli anni ’80, le autostrade si sono ampliate, i porti sono aumentati e qua e là sono state aggiunte piste di atterraggio per stare al passo con il cambiamento.

I magazzini del 21° secolo si sono evoluti da magazzini a enormi centri di distribuzione e logistica.

Ma la velocità, come ti dirà qualsiasi pilota di Formula 1, ha i suoi rischi.

Inondazioni, interruzioni di corrente, strade chiuse, controversie di lavoro e, naturalmente, pandemie possono interrompere il sistema.

Poiché il just-in-time ha sradicato l’inventario, una crisi improvvisa può portare a carenze impreviste e pericolose.

All’inizio della pandemia, c’era una diffusa carenza di DPI (dispositivi di protezione individuale), camici, maschere e guanti di plastica, tutti basati su una produzione just-in-time, con poche scorte di riserva.

Oggi, il nostro mondo just-in-time è sempre più soggetto alle crisi.

Gli orari per il trasporto di container sono risultati inaffidabili dall’inizio della pandemia all’inizio del 2020. L’aumento dei prezzi del carburante ha anche portato ad una riduzione della velocità di spedizione, nota come “navigazione lenta” [velocità della nave per ridurre il consumo di carburante, per ridurre i costi].

La British International Freight Association, nel frattempo, ha avvertito di una “carenza del trasporto terrestre” in altre parole, i lavoratori portuali o i magazzinieri a seguito del Covid-19 sono stati ridotti di numero e i camionisti scarseggiano in conseguenza dei numeri insufficienti a causa della pandemia e della Brexit, così come di anni di salari stagnanti, orari di lavoro lunghi e mancanza di formazione disponibile.

La Road Haulage Association stima che nel Regno Unito vi sia attualmente una carenza di 100.000 conducenti.

Troppo pochi conducenti significa porti congestionati, navi in ​​panne, scaffali vuoti e prezzi più alti.

I responsabili della catena di approvvigionamento e gli esperti di logistica sono consapevoli di tutti i potenziali problemi e negli ultimi dieci anni circa hanno discusso del compromesso tra “rischio” e “resilienza” – “resilienza” è la capacità di minimizzare o di ridurre le conseguenze di un impedimento.

Scorte basse in modalità just-in-time fanno aumentare il rischio di carenze in caso di crisi.

La “resilienza”, d’altra parte, implica un inventario più grande, più lavoratori, più fornitori e costi più elevati.

Questo crea un problema.

La concorrenza rende la resilienza stessa rischiosa per le singole imprese.

Chi vuole acquistare da un ritardatario i cui prezzi sono più alti?

Tuttavia, finché la profittabilità è la forza trainante del sistema, gli sforzi nazionali rivolti all’interno o di “ripresa” – ironia della sorte, spesso con l’obiettivo di creare una resilienza immaginaria, come presentata con la Brexit – non fanno che creare ulteriori disagi alle catene di approvvigionamento e prezzi più alti mentre le aziende cercano di recuperare le perdite.

Il regime dei beni di consumo a basso costo sta diventando sempre più difficile da mantenere.

Vi sono implicazioni ancora più importanti per questo regime di capitalismo rampante.

Tutto questo movimento globalizzato in tempo reale viene alimentato dai combustibili fossili che causano il degrado climatico.

L’aumento di tsunami, incendi boschivi, inondazioni e altri eventi meteorologici estremi rendono le catene di approvvigionamento e gli elementi essenziali che esse forniscono ancora più vulnerabili.

I manifestanti che fanno sit in nel centro di Londra o sulle autostrade non si sbagliano.

Ad ogni modo, se privi le grandi aziende dell’uso gratuito delle fonti energetiche nocive preferite, si potrebbero rallentare le cose ad un ritmo più umano – e forse nello stesso tempo anche salvare il pianeta.

Decenni di deregolamentazione, privatizzazione e culto del mercato hanno lasciato la società vulnerabile alla forza insidiosa delle catene di approvvigionamento “just in time”.

Sovvenzioni pubbliche, tagli alle tasse, formazione professionale e altre politiche tradizionali non saranno sufficienti a risolvere le crisi che dovremo affrontare, dalla pandemia alla crisi climatica, che stanno causando il fallimento delle catene di approvvigionamento.

È tempo di pensare non solo a come produciamo e consumiamo i beni, ma anche a come li spostiamo.

Note

1 The Guardian, 11 octobre 2021: tradotto dal francese da A l’Encontre, tradotto in italiano da Antonio Pagliarone

2 Kim Moody, ex leader della rete Labor Notes negli Stati Uniti, è autore di numerosi libri tra cui On New Terrain: How Capital Is Reshaping the Battleground of Class War (Haymarket Books 2017), In Solidarity: Essays on Working-Class Organization in the United States (Haymarket Books 2014). Attualmente è visiting scholar presso l’Università di Westminster. Su Countdown studi sulla crisi n° 4 è presente l’articolo “Lapolitica del lavoro negli Stati Uniti: paralisi o possibilità”