Contro guerra ed economia di guerra!
Il contratto della sanità pubblica è scaduto dal 31 dicembre 2019.
In un mondo sconvolto da pandemia, crisi economiche, crisi ecologica e guerre, stride questa immobilità in un contesto che peggiora velocemente.
Le spese per la guerra trovano stanziamenti urgenti: 800 milioni pronta cassa per le armi spacciate come singolari veicoli di pace nel conflitto tra Russia e NATO.
Per i contratti, la regola è il rinvio: la copertura economica è da trovarsi, ci sono i vincoli di bilancio, i rilievi della Corte dei Conti, nonché i cavilli contabili della Ragioneria di Stato e per finire la disputa di competenze tra Governo e Regioni.
Neanche il rinnovo dei parlamentini delle RSU ha dato la scossa che ci si aspettava.
Poteva essere un nuovo segnale di ritorno alla “normalità” pre-pandemica, ma evidentemente una cosa è la cosmesi democratica altra cosa sono i soldi, soldi che non vanno a rivalutare gli stipendi fermi da anni perché servono a sostenere
rendite, profitti di guerra e di pace (ma sempre capitalistici) e parassitismo sociale.
Le politiche di reclutamento del personale in tutta l’area sanitaria, sia pubblica che privata hanno favorito la crescita numerica degli OSS (costano meno) e proporzionalmente una decrescita delle professioni sanitarie.
Nel variegato mondo delle attività socio sanitarie (cura di anziani, disabili, cronici e fragili), la figura dell’OSS è diventata centrale ed ha eroso ruolo e competenze strettamente professionali.
Anche il numero è cresciuto di conseguenza.
Oggi gli OSS sono tutt’altro che marginali, sono 56.000 ed il trend è in crescita.
Questa evoluzione del mercato del lavoro che non guarda a titoli, master o professionalità variamente definite è sostenuta dall’imprenditoria pubblica e privata.
Cosi si è imposto il passaggio degli OSS dal ruolo tecnico a quello sociosanitario.
Ovviamente questo è solo un escamotage linguistico per parare le ire professionali degli ordini.
Fatto sta, che questa figura si impone nella pratica e deve trovare spazio nella contrattazione.
Resta un problema.
Al profilo acquisito per via extracontrattuale deve corrispondere un conseguente
inquadramento economico.
L’ipotesi più accreditata dovrebbe essere il passaggio nel livello C. o una indennità specifica.
Su questo punto, e più in generale sul riassetto dei profili e delle aree, assistiamo all’impasse del Comitato di Settore della Sanità, organismo che vede il concorso di Regioni e Governo, detta le linee di indirizzo e fissa le grandezze di spesa.
Tutta questa diatriba serve a dilatare i tempi della firma e serve ancor di più a non affrontare la questione del salario: per costoro è come se gli “angeli” e gli “eroi” della pandemia non avessero una vita materiale e bisogni da soddisfare.
In attesa che dalle segrete stanze emergano dettagli, si ragione su un aumento medio di 175 € ma solo a regime e cioè solo dal 2021, comprensivo quindi della vacanza contrattuale, e un compenso irrisorio una tantum per gli aumenti non corrisposti e comunque già bruciati dal rincaro dei beni energetici e dall’inflazione che inizia a marciare a due cifre.
Le divisioni tra i lavoratori della sanità, alimentate dalle cattive sirene di una malintesa professionalità, vanno rigettate e al loro posto rivendichiamo la quattordicesima mensilità e la scala mobile per tutti, a difesa dall’inflazione.
Rivendichiamo un contratto unico per tutta l’area sanitaria, da costruirsi con lotte per obbiettivi comuni.
I soldi ci sono, basterebbe non finanziare le guerre che perseguono un ordine che non potrà mai esistere perché generato dalla concorrenza per i mercati e destinato ad essere sempre rimesso in discussione.
Noi lavoratori, salariati, precari, disoccupati siamo già in guerra per la nostra sopravvivenza!
Rigettiamo le guerre della borghesia internazionale.
Siamo con i lavoratori di tutto il mondo!
Per questo il 20 maggio aderiamo allo sciopero generale contro la guerra promosso dal sindacalismo di base.
S.I. Cobas