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[CONTRIBUTO] No Meloni? No party

Riceviamo e pubblichiamo dai compagni della redazione Il Pungolo Rosso questo contributo, già disponibile sul loro sito (vedi qui):

No Meloni? No party.

A quelli che riducono tutto alla difesa della Costituzione (noi non siamo tra quelli) diciamo subito che questo è il governo della più spudorata illegalità. Un ministro che nemmeno aveva giurato e già emanava direttive contro le Ong, ora si cimenta con un “nuovo reato” e lo applica con urgenza senza curarsi della banale circostanza secondo cui l’istituzione di un nuovo reato è materia del Parlamento e non del Governo. Una caterva di errori giuridici di un governo di cretini? No! Non tutti hanno fatto caso a qualcosa che sembra marginale: la vaghezza del reato. Questo è un difetto giuridico che dovrebbe far intervenire la Corte Costituzionale (speranza inutile!), ma la cosa non è così semplice perché è proprio questo il trucco: non definire i contorni del reato in modo che i poteri dello Stato possano agire con la più ampia discrezionalità perseguendo “a piacimento”. L’essenza dello Stato dispotico consiste proprio nella incertezza del diritto, nel non definire bene cosa si può e cosa non si può fare.

E’ la stessa logica del terrorismo di Stato: nessuno deve sentirsi al sicuro per quanto innocente, per quanto prudente nei comportamenti, per quanto viva lontano dalla politica, dal sindacato, da ogni forma di organizzazione. Il “cittadino” prudente non si fermerà ad ascoltare un comizio perché corre il rischio di essere arrestato dato che il reato è di tipo penale. Ogni riunione potrà essere qualificata come adunata sediziosa, ogni riunione potrà essere sciolta e i partecipanti identificati e sottoposti a fermo.

Quindi la questione va ben oltre la definizione della pena, se a sei anni di carcere o meno, come se tutto l’obiettivo potesse essere ridotto a questione di quantità. Esiste, è vero, una sproporzione tra i partecipanti ad un concerto ed una riunione di mafiosi che staranno attenti a non essere più di cinquanta, ma il termine dei sei anni è stato introdotto con cognizione di causa: una pena superiore ai cinque anni presuppone l’arresto immediato! Ed il problema non è la semplice riduzione delle libertà civili, dei diritti civili ma l’arbitrio che è tutto rivolto alle attività del proletariato organizzato. Il neoministro fulminato dallo zelo ha anche proposto le intercettazioni telefoniche a preventivo presupponendo che i partecipanti ai rave party siano colpevoli alla pari dei mafiosi e della delinquenza organizzata, ma anche l’eventuale abolizione di questa parte del decreto ministeriale non cambia la natura intima della questione. Se ad un concerto, ad esempio, il cantante è antipatico al questore perché canta contro la guerra o contro il capitale, il potere giudiziario può intervenire con le modalità già dette.

Tutta l’operazione, però, non è una novità. Gran parte delle misure del decreto no party, così come quelle contro le Ong, erano dentro un pacchetto di “iniziative legislative” messe a punto durante la gestione della ministra Lamorgese ma mai approvate: così il governo Meloni prosegue e completa l’opera del governo Draghi su questo tema come sull’atlantismo, l’europeismo, la guerra e tutta “l’agenda Draghi” del precedente governo contro il quale la Meloni lanciava frecce e maledizioni dalle sedie del Parlamento (sulle quali la ‘popolana’ della Garbatella siede da 16 anni, con oltre 3 milioni di euro di incassi…).

Mentre PD e soci sono ridotti al silenzio da un passato che non si distaccava molto da questo presente delle destre, le formazioni politiche di “sinistra popolare” che hanno tentato l’opzione elettorale con un programma già di per sé penoso, ora che dovrebbero scendere in piazza come promesso in campagna elettorale ad alta voce invocando “rivoluzioni alla De Magistris”, al di là di qualche strepito verbale, stanno fermi. Proletari e gente comune hanno molta più intelligenza di quel che si crede, e si sono guardati bene dal votare i vari manipoli dei millantatori.