Riceviamo e pubblichiamo questo contributo dai compagni della redazione Il Pungolo Rosso, già disonibile sul loro sito (vediu qui):
Cina: disoccupazione giovanile, morti per superlavoro, rifiuto del superlavoro
L’articolo che proponiamo alla lettura solleva un problema già notato in Urss negli anni ’60: la disoccupazione giovanile e la sua sezione di disoccupazione intellettuale. La questione meriterà ulteriori studi, ma questo testo già individua la distorsione legata al modo di concepire l’istruzione del tutto capitalistico e che finisce col presentare sul mercato del lavoro un’eccedenza di offerta di manodopera “intellettuale”.
C’è inoltre una variabile culturale che troviamo anche nelle società occidentali e che vede nell’istruzione la possibilità di realizzare per sé migliori condizioni di vita. Non si tratta, quindi, di un fattore legato semplicemente al passaggio da un’economia contadina ad un’economia industriale (in Cina già largamente avvenuto), ma di una trasformazione che investe lavoro, cultura e mentalità di massa.
Appare sulla scena la necessità – imposta dalla sempre più accesa concorrenza internazionale – di ricorrere al plus valore assoluto, e quindi pluslavoro, tutti innegabili indicatori della struttura economica e sociale del modo di produzione capitalistico: altro che avanzata verso il socialismo! Mercato del lavoro, disoccupazione, e quindi esercito di riserva, plusvalore assoluto,
apertura agli investimenti stranieri, esodo dalle campagne alla città, riforma agraria completano il quadro di una struttura da capitalismo maturo che dovrebbe smentire certe analisi che ancora si dilettano a vedere nella Cina di oggi una “transizione verso il socialismo tutt’ora non ancora conclusa” (!) … Scusa, hai detto socialismo?
Redazione Il Pungolo Rosso
Cina:
il gigante asiatico poggia i suoi piedi sulle morti per superlavoro.
Disincanto e frustrazione delle giovani generazioni di proletari cinesi
Riguardo alla “questione cinese”, la propaganda delle grandi testate giornalistiche, dei think tank, talk show televisivi fino ai social media concentra in genere la propria attenzione sulle strategie di sviluppo economico dell’imperialismo cinese. La Cina presentata come il Grande Dragone, il Gigante Asiatico, etc., in ogni caso sostanzialmente intesa come un monoblocco sociale unitario, forte di oltre un miliardo e quattrocento milioni di abitanti, omogeneo e coeso riguardo alla minacciosa proiezione internazionale imperialistica che contende il primato alla superpotenza americana. Quando parlano di crepe nel tessuto sociale della Cina, denunciano per lo più la violazione dei diritti umani contro le minoranze linguistiche o “etniche” musulmane dello Xingjang, uiguri, kazaki, hui, kirghizi, uzbeki e tagiki. Denunce di violazioni reali, ma pelose, interessate, perché non tanto preoccupate dell’aspetto umanitario quanto tese a dimostrare la concorrenza sleale, la anti-democraticità del sistema politico di Pechino, in contrapposizione alla supposta lealtà e democraticità delle potenze occidentali. Rari i riferimenti alle classi che compongono anche la società capitalistica cinese e alle sue contraddizioni politico-sociali. (Stesso approccio d’altra parte anche per le società capitalistiche occidentali, usato sia dai partiti parlamentari della cosiddetta sinistra, che da quelli dichiaratamente nazionalisti della destra).
Riconoscere il concetto di divisione della società in classi e di dittatura di una classe comporterebbe il riconoscimento dell’impossibilità di composizione degli interessi antitetici e inconciliabili tra la classe dominante e quella dominata, e di conseguenza la necessità del superamento dell’attuale assetto sociale, di una rivoluzione sociale.
Questo il motivo per cui affrontiamo qui brevemente una delle contraddizioni sociali che stanno emergendo nel Gigante Asiatico: la disoccupazione giovanile.
Secondo gli ultimi dati dell’Ufficio nazionale di statistica, a luglio la disoccupazione giovanile in Cina ha raggiunto il 19,9%, il livello più alto dal 2018–anno in cui Pechino ha iniziato a pubblicare questo indice, e la disoccupazione giovanile era del 9,6%.
In termini assoluti ci sono circa 20 milioni di giovani tra i 16 e i 24 anni disoccupati nei centri urbani – secondo i calcoli della CNN, basati su statistiche ufficiali che stimano la popolazione giovanile urbana a 107 milioni. Ricordiamo che la disoccupazione delle aree rurali non è inclusa nei dati ufficiali.
Si tratta della peggiore crisi occupazionale giovanile da quattro decenni, nel quadro del rallentamento economico degli ultimi anni a cui si sono aggiunte le rigide regole di contenimento della pandemia Covid-19. A causa dei protratti lockdown di marzo-maggio a Shanghai e Pechino,la Banca Mondiale ha abbassato di quasi un punto (-0,8%) le previsioni di crescita dell’economia cinese per il 2022,al4,3%.
La crisi è più evidente e pesante nel settore tecnologico, sottoposto alla stretta normativa del governo cinese e alle pesanti sanzioni americane. Questo settore, in precedenza molto dinamico, è stato a lungo la principale fonte di posti di lavoro altamente retribuiti per i giovani lavoratori cinesi istruiti, ma ora le principali aziende stanno tagliando il personale in misura inedita.1
Alibaba, il gigante dell’e-commerce e del cloud, ha licenziato 13.000 dipendenti nei primi sei mesi di quest’anno; Tencent, il gigante dei social media e dei videogiochi, ne ha licenziato quasi 5.500 nel secondo trimestre, la maggiore contrazione di forza lavoro in oltre un decennio.
Secondo l’esperto americano Craig Simpleton2, “Questi recenti tagli rappresentano una duplice minaccia per Pechino: non solo migliaia di persone si ritrovano inaspettatamente senza lavoro, ma ora i giganti tecnologici cinesi disporranno di un minor numero di dipendenti qualificati … per affrontare i loro concorrenti occidentali”.
I dati reali sulla disoccupazione giovanile potrebbero essere peggiori delle cifre ufficiali, secondo un’esperta americana, Dorothy Solinger, docente presso l’Università della California.
L’alto tasso di disoccupazione, anche tra laureati, mette in discussione le reali prospettive di miglioramento delle condizioni delle nuove generazioni, alle quali famiglia e società continuano a chiedere di eccellere negli studi, per poi trovare un lavoro ben pagato, formarsi una famiglia e acquistarsi un’abitazione. La generazione attuale sta scoprendo di non avere più le opportunità di “promozione sociale” che ebbe quella dei suoi genitori, coloro che nacquero negli anni ’50, ’60 e ’70, a seguito delle riforme economiche di Deng Xiaoping del 1978 (apertura agli investimenti stranieri, zone economiche speciali, riforma agraria, decollettivizzazione della terra, enorme esodo dalle campagne alle città…).
Nel 2021 è sorto il movimento tang ping, in inglese lying flat (adagiarsi/accontentarsi), un tentativo di risposta passiva delle giovani generazioni alla contraddizione tra la forte pressione della cultura cinese del superlavoro (comune ad altri paesi asiatici, dal Giappone a Singapore e Corea del Sud) e la realtà delle diminuite prospettive di lavoro, di salari svalutati a fronte di un forte incremento del costo degli alloggi e del costo della vita in generale. Il movimento esorta i giovani “a rinunciare alla lotta per il successo sul posto di lavoro e a rifiutare la promessa di soddisfacimento come consumatori”.
Il primo riferimento online al termine tang ping è apparso a marzo 2021 nel forum di discussione Tieba, sul motore di ricerca cinese Baidu. Il post anonimo “accontentarsi/adagiarsi è giusto” spiegava come sia possibile vivere una vita felice senza un reddito stabile in una società in cui il reddito medio mensile dei laureati nel 2019 era di poco più di 777 dollari, pari a 5.400 RMB, secondo il sito China Banking News.
Secondo il forum di discussione online Zhihu, gli aderenti al movimento tang ping rinunciano a sposarsi, ad avere figli, ad acquistare una casa o un’auto e a partecipare alla macchina aziendale per fare soldi. Il movimento tang ping incoraggia a fare il minimo indispensabile e a tenere uno stile di vita minimalista.
Da un post: “Ho scelto di accontentarmi e non sono più stressato”. L’autore, che non ha specificato il suo reddito, dice di lavorare a chiamata e di riuscire a vivere con circa 32 dollari (o 200 RMB) al mese.
Il movimento tang ping rifiuta la cosiddetta “vita da 996”, che consiste nel lavorare dalle 9 a.m. alle 9 p.m. per 6 giorni alla settimana, un orario dell’industria tecnologica che si è diffuso anche in altri settori, compreso quello delle consegne a domicilio, e che spesso non garantisce ai lavoratori esausti neppure un reddito sufficiente per andare avanti.
Dall’intervista ad un giovane 24enne laureato, che abita in una zona rurale del Sichuan: molti suoi compagni di classe e amici stanno ancora cercando di trovare lavoro nelle grandi città, “ma tornano a casa o con malattie dovute al troppo lavoro o con una montagna di debiti”. “Ho scelto di “adagiarmi” fin dall’inizio. È troppo difficile comprare una casa e un’auto nelle grandi città. È difficile trovare qualcuno da sposare e, se hai dei figli, devi iscriverli a ogni tipo di attività al fine di garantire loro un vantaggio”.
E quando i laureati trovano lavoro, molti si sentono obbligati a lavorare fino all’eccesso. Qualche esempio.
Lucy Li, 35 anni, lavora nel settore bancario a Pechino. “Nella nostra banca, la direzione passa senza preavviso intorno alle 20 per vedere chi sta ancora lavorando, e quelli che sono ancora in ufficio sono quelli che vengono promossi”. “Così tutti finiscono per lavorare 12 ore al giorno”.
Un altro lavoratore, Wang, racconta di essersi licenziato dal gigante tecnologico Alibaba perché spesso iniziava a lavorare verso le 9 del mattino, rientrava a casa verso le 19 e ritornava in ufficio dopo che i suoi due figli erano andati a letto, o verso le 21, per poi lavorare fino a mezzanotte, o anche fino alle 2-3 del mattino se doveva sviluppare un prodotto o se era la stagione di punta.
Nel 2019 Jack Ma, fondatore del gigante dell’e-commerce Alibaba, ha dichiarato sulla piattaforma cinese di social media Weibo, simile a Twitter, che “è una grande fortuna poter fare 996“.
La rapida espansione dell’industria di Internet ha inizialmente attirato giovani laureati delle migliori università cinesi alla ricerca di buone retribuzioni, che consideravano accettabili i turni pesanti e la pressione intensa. Ma una regola non scritta prevede che i dipendenti di questo settore vengano licenziati prima dei 35 anni. L’età media dei lavoratori dei gruppi hi-tech cinesi è spesso inferiore ai 30 anni.3
Questa “cultura” è stata sponsorizzata dai grandi gruppi tecnologici, da sociologi ed educatori al servizio del PCC, in particolare sul giornale di partito Global Times: “le giovani generazioni anziché seguire sempre le ‘virtù’ della lotta, della dedizione e del sacrificio per affrontare lo stress, preferiscono un temporaneo ‘adagiarsi’ come catarsi e adattamento”.
La filosofia del 996 ha portato alla morte per sovraffaticamento, un fenomeno rilevato per la prima volta nella filosofia del posto di lavoro giapponese, o karoshi.4
Impossibile trovare dati ufficiali recenti sulle morti in Cina dovute al superlavoro. Su China Labour Bulletin, 11 agosto 2006 si leggeva: «Un nuovo fenomeno – la morte per eccesso di lavoro (guolaosi) – è diventato sempre più comune in Cina dall’inizio del secolo e negli ultimi mesi ha suscitato ampia eco e attenzione sui media cinesi. (Un fenomeno simile è da tempo al centro dell’attenzione pubblica in Giappone, dove è noto come karoshi). Nel luglio 2006, la rivista Liaowang Eastern Weekly (Liaowang Dongfang Zhoukan) ha rivelato che, secondo le statistiche pubblicate dall’Associazione cinese per la promozione della salute fisica, attualmente in Cina almeno un milione di persone muore ogni anno a causa del troppo lavoro. Una cifra impressionante.» Bloomberg, 3 luglio 2014, titola: «In Cina, 1.600 persone muoiono ogni giorno per il troppo lavoro.» China Daily, 11 dic. 2016: «Più di mezzo milione di cinesi muore ogni anno per eccesso di lavoro, secondo quanto riportato da CCTV news (China Central Television, un canale televisivo controllato dal PCC). La Cina ha superato il Giappone nella classifica del numero di persone che muoiono per eccesso di lavoro, raggiungendo un totale di 600.000 (all’anno, n.d.t). Le statistiche rilevano che il gruppo [dei colpiti] è molto più giovane e riguarda molti settori, i media, la pubblicità, l’assistenza medica e l’informatica.»
Un servizio interessante su queste morti per la gloria del Capitale (in inglese): https://www.youtube.com/watch?v=l8wWoQ3_F00
Lo scorso maggio 2021, Weibo ha condotto un sondaggio sui suoi utenti (l’80% dei quali è di età compresa tra i 17 e i 33 anni) sulla scelta di “adagiarsi/accontentarsi”. Su 241.000 partecipanti al sondaggio, il 43% ha detto di condividere pienamente il concetto, il 31% si è detto in qualche modo d’accordo e un altro 18% ha detto che sì, vorrebbe adagiarsi/accontentarsi, ma deve rispondere a troppe altre responsabilità.
La popolarità del movimento “adagiarsi/accontentarsi” preoccupa il governo cinese, che considera l’occupazione dei laureati come fattore di stabilità sociale.Il movimentocontraddice la filosofia del sogno cinese del Presidente Xi Jinping, che usò questo termine nel 2012, all’inizio del suo primo mandato: la Cina deve “sforzarsi di raggiungere il sogno cinese del grande ringiovanimento/rinnovamento della nazione cinese”.
È dunque in atto in Cina una crisi occupazionale che, da una parte, mina il progetto di Xi Jinping di promozione dell’imperialismo cinese a superpotenza tecnologica, dall’altra potrebbe minare la tenuta sociale del gigante asiatico,suscitando malcontento e frustrazione tra i giovani, potrebbe spingerli a trasformare “l’adagiarsi/l’accontentarsi” in ribellione.
Note
1 Nel 1999 i neo laureati in Cina furono meno di 1 milione, sono più che decuplicati nel 2022 (10,7 milioni). Ma anche questa fascia di forza lavoro altamente qualificata ha ora difficoltà a trovare un lavoro.
2 Craig Simpleton è attualmente membro del think tank americano The Foundation for Defense of Democracies (FDD) [La Fondazione per la difesa delle democrazie], istituto di ricerca che si occupa di sicurezza nazionale e politica estera, consulente del governo USA.
3 Il nome di alcuni dei grandi gruppi dell’High Tech: Alibaba; Baidu; Huawei; Didi; Xiaomi; Realme Chongqing; Tencent; Bilibili; ByteDance, proprietaria di TikTok; Pinduoduo; JD; Meituan…
4 Nel 2018 il Giappone ha approvato la legge di Riforma dello Stile di Lavoro per limitare le settimane lavorative troppo lunghe.